19 luglio
Tutto passa, la vita incombe, l’urgenza del quotidiano sorpassa le intenzioni. E mentre le facce mutano con una lentezza ingannevole, mentre i capelli imbiancano e la pelle avvizzisce, spunta il ricordo di te poco più che bambina e di un giovane uomo barbuto, dall’aspetto serio, dai modi discreti, dal sorriso gentile.
Era il 19 luglio del 1992.
Mio nonno era ancora vivo come viva era la sua casa. Di lì passavano, attratte come mosche dal fresco estivo, le vite di figli, nipoti, cognati e fidanzati. Io la chiamavo la casa del prima e del dopo: prima e dopo la scuola, il lavoro, la spesa, la danza, la bici, il pranzo e la cena.
Me lo ricordo molto bene quel giorno di luglio.
Era prima della doccia con il Badedas Noir, doccia schiuma maschile che io e le mie amiche di allora avevamo preso a usare convinte che, quell’odore a buon mercato, donasse alla nostra pelle una nota di volatile sensualità dal retrogusto vagamente genderfluid.
Era, dunque, prima della doccia e dopo la passeggiata in bicicletta.
Mi stupii del fatto che non ci fosse silenzio. Mia zia, come suo solito, era china sulle chianche. Sbuffava e non per il caldo e la fatica, ma per la povertà che non le concedeva di possedere un pavimento in marmo, bello da vedere e facile da lavare con una passata di “quel bonazzo di Mastrolindo”.
Mio nonno dormiva invocando, nel sonno sazio e ronfante, i suoi santi protettori contro l’invidia della gente per la sua ultima invenzione: un frigorifero con ruote, pratico da spostare per cambio disposizione mobilio o per stanare blatte e topi, ospiti fissi in quelle vecchie case a pianterreno. Era certo che quella trovata gli avrebbe cambiato la vita, riabilitandolo agli occhi di chi, moglie compresa, lo canzonavano per la sua evanescenza. Intanto, sua sorella Vincenza, nel sottarco angusto ed espiatorio, si guadagnava un posto in paradiso a botte di Ave Maria il cui cospicuo numero era testimoniato da cerini bianchi e rossi allineati con cura sulla panca di legno. Ad ogni Ave Maria un cerino, nel caso in cui la Madonna, presa da altre questioni di ordine celeste, “non si accorge di me e mi manda dritta dritta in purgatorio”.
Quel 19 luglio avrebbe potuto essere essere un giorno qualunque di quella torrida estate, se non fosse stato per quella TV accesa a rompere il silenzio subito dopo la controra, se non fosse stato per la faccia di mio zio che, davanti a quella stessa TV, se ne stava immobile. Quella faccia, la faccia tirata dalla rabbia, dalla commozione, dalla fierezza io me la ricordo. La faccia della persona onesta che assiste alla sopraffazione della corruzione e del male. La faccia dell’uomo che guarda, suo malgrado, la fine tragica di altri uomini. La faccia di chi non soggiace alla legge del più forte anche davanti alla manifestazione più violenta della brutalità umana. Quella faccia, la faccia di mio zio, io me la ricordo. Ruppe la leggerezza dei miei 13 anni, mi fece sentire grande, responsabile, cittadina prima ancora che persona.
Ci sono uomini che urlano e fanno rumore eppure nulla hanno da dire. Altri ti puntano gli occhi addosso, sorpassandoti con lo sguardo. Pochi restano. Pochissimi si fermano e si accomodano in alcuni gesti, in un pugno di parole, in un sorriso trattenuto, in un sopracciglio sollevato. Ci sono persone che ti vivono vicino senza per questo starti accanto. Altre invece sono lontane, silenziose, gentili, discrete eppure ti vivono dentro.
Sono passati 33 anni da allora e nonostante l’incedere del tempo si diverta a confondere i ricordi, quella faccia, la faccia dell’impegno civile, dell’incorruttibilità, della fierezza io la ricordo bene, la incontro allo specchio ogni mattina, nel gesti di cura quotidiani, nello sguardo delle persone che amo.
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Stupendo, complimenti. Mi sono immersa nella lettura e mi sono persa nelle immagini che evocavi. Brava 👏👏👏
Grazie Tiziana. Sono contenta che il racconto ti sia piaciuto.
Mi ha colpito molto. C’è calore, ironia, memoria e poi quel punto di svolta improvviso, che spacca l’infanzia e fa entrare il mondo. È un racconto che scava piano, con affetto e lucidità, fino a diventare testimonianza. E quella faccia… resta davvero.
Lino, ti ringrazio per il tempo dedicatomi e per il bel commento.
Ha un tono pacato, e per via della mia scarsa memoria delle date, c’ho messo un po’ a capire quale fosse il soggetto. Le fotografie sono molto belle, un po’ sbiadidite a sottolineare il passare del tempo. E’ particolare l’apertura in seconda persona che poi cede il posto alla prima nella narrazione. Letto con piacere, grazie
Ti ringrazio, Paolo. Sono lieta che ti sia piaciuto.