6 – Interno Notte

Serie: Obbedienza


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: .

Riccardo è disteso sul letto. Indossa ancora la camicia. Entrando in camera non l’ha tolta: ha slacciato un solo polsino, l’altro è rimasto chiuso. Il tessuto gli tira sotto le ascelle quando inspira più a fondo. Tiene gli occhi aperti, fissi su un punto del soffitto che nella penombra non distingue. Il display del cellulare si accende e si spegne a intervalli regolari. Il sonno non arriva. Il corpo resta in uno stato di vigilanza ostinata. Sposta una gamba sotto il lenzuolo, la distende, poi la riporta dov’era. Il cuore batte forte, il sangue gli pulsa nelle orecchie, il colletto sfiora la pelle del collo, umida.
Ripensa a Felicia. Frammenti isolati. Un panno bagnato che scivola sul pavimento. Un bicchiere allineato al millimetro sul ripiano. La ragazza chinata che resta in ginocchio più del necessario. Una dipendente, si ripete, e quella parola dovrebbe bastare.
Allunga il braccio verso il telefono, lo stringe nel palmo, lo gira un istante prima di attivare lo schermo. La luce gli colpisce gli occhi. In alto un solo nome: Marta. Nessuna nuova notifica. Il messaggio che le ha mandato è ancora lì, poche parole neutre, inviate per abitudine più che per desiderio. Non si aspetta una risposta. Potrebbe arrivare il giorno dopo o restare sospesa. Ciò che conta è la presenza di quel nome nella lista. Un tracciato noto. Spegne il display e appoggia il telefono sul comodino, a faccia in giù. La stanza ricade nel buio. Tira un respiro più lungo, sente la cucitura della camicia sulla schiena. Pensa di sbottonarsela del tutto, poi rinuncia. Ogni gesto lo irrita.
Dall’altra parte della casa anche Felicia è sveglia. È sdraiata sul fianco sinistro, le ginocchia raccolte verso il petto, la coperta tirata fino al mento. Con una mano stringe il bordo del tessuto, le dita contratte. Il materasso è rigido, cede appena. Il cuscino ha ancora l’odore del detersivo. Le irrita la gola e la fa sentire fuori posto.
Si
Si gira lentamente sulla schiena. Il letto scricchiola appena e lei trattiene il respiro. Attende che il silenzio torni compatto. La pioggia picchia sui vetri del corridoio, un rumore continuo, distante. A volte le sembra di sentire altro: un colpo secco, forse un ramo, forse una tapparella. Non distingue.
Le frasi che si ripete sono sempre le stesse. Non va bene. Non è giusto. Non deve. Non è per lei, si dice. Le parole scorrono una dopo l’altra, stanche. Non producono effetti. Restano nella testa.
Rivede Riccardo. Non il volto. Le spalle sotto la camicia chiara, la schiena quando si ferma in cucina, il busto seduto al tavolo. Il modo in cui entra in una stanza senza alzare la voce. Si concentra sul suono della sua voce, sulla timbrica bassa, sulle pause. L’immagine si ferma lì. Non arriva al contatto.
Le gambe si tendono sotto la coperta, poi si rilasciano. Il respiro resta alto, nel petto. Tra le cosce avverte una tensione sottile, precisa. Non si allarga, non travolge. Resta. Non allunga la mano. Rimane immobile, a sentire.
Riccardo piega un braccio sotto la testa. Il gomito affonda nel materasso, la spalla tira, ma non cambia posizione. Il pensiero insiste sempre sullo stesso punto. Non è una fantasia. È una verifica continua. Un’attenzione che torna su qualcosa di cui non vuole riconoscere il peso. Stringe i denti, espira dal naso. Le mani restano ferme lungo il corpo. Non cerca quei gesti che altre notti gli hanno permesso di scaricare la tensione. Gli sembrano fuori posto. In quel momento non gli interessa placare il corpo. Gli interessa capire fino a che punto quella presenza in casa interferisca con la sua vita abituale.
Felicia si volta di lato, poi di nuovo sulla schiena. Il lenzuolo le scivola sul ventre, aderisce in alcuni punti, in altri resta sollevato. Avverte il proprio odore mescolato a quello del sapone. La imbarazza. Chiude le palpebre, le tiene chiuse a lungo, ma l’immagine di lui in piedi in cucina resta nitida. Non parlava. Due dita appoggiate alla tazza. Lei registrava ogni minimo gesto. Fa scorrere la lingua sui denti, deglutisce. Pensa di alzarsi, andare in bagno a bere. Guarda la porta e l’idea di aprirla le pesa. Resta dov’è. I capelli le sfiorano il collo, una ciocca le cade sulla guancia. Cerca il cuscino con la nuca finché trova una posizione stabile.
Riccardo chiude gli occhi per qualche secondo, poi li riapre. Il buio non è pieno. Un filo di luce filtra dalle tapparelle e disegna una riga opaca lungo il bordo della finestra. La segue con lo sguardo, come fosse una misura. Il pensiero torna al corridoio che separa la sua stanza da quella di lei. Pochi metri, un angolo, una porta. Uno spazio che potrebbe annullare in poco tempo e che in quel momento gli sembra enorme. Non si muove.
Felicia guarda il buio senza vedere. Ha l’impressione di riconoscere i contorni degli oggetti: il comodino, la sedia con i vestiti piegati, le scarpe sotto la finestra. Ripassa mentalmente l’ordine della stanza, gli angoli puliti, il bordo del battiscopa, l’alone cancellato sul pavimento. Il pensiero scivola verso il giorno dopo: le superfici, le stanze, i gesti da ripetere.
La tensione tra le cosce resta identica. Non sale, non scende. La registra insieme al rumore del respiro e allo scorrere lontano dell’acqua nelle grondaie. Rimane così, con la mano chiusa sul bordo della coperta, finché il braccio inizia a intorpidirsi. Le dita, poco alla volta, si allentano.

Continua...

Serie: Obbedienza


Avete messo Mi Piace1 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni