A come Adorazione, come Alienazione

Serie: Abbecedario sentimentale


Adorazione e Alienazione

Adorazione

Lo aveva osservato a lungo prima di sfiorarlo. Non per timidezza, ma per un rispetto profondo che sfociava in qualcosa di simile alla venerazione. Aveva imparato a riconoscere ogni movimento del suo corpo, ogni fremito che attraversava le sue spalle larghe quando si rilassava, ogni battito delle ciglia che accompagnava un pensiero profondo.

Quella sera, la luce filtrava attraverso le tende con morbidezza dorata. Lui era seduto sul letto, la schiena nuda, la pelle scura e compatta. Lei gli si avvicinò piano. Iniziò dal collo, con le labbra appena dischiuse, seminando baci leggeri come piume.

Ogni bacio era una parola non detta, una preghiera silenziosa. Il suo respiro si fece più profondo, e le mani di lei si mossero con delicatezza assoluta. Scivolarono lungo la spina dorsale, si attardarono sulle scapole.

Lui non disse nulla. Non ce n’era bisogno. In quella camera, in quell’ora sospesa, comunicavano con un linguaggio che sfuggiva alla grammatica: fatto di pelle, di sguardi, di piccole pause cariche di senso.

Quando lui si voltò, cercando i suoi occhi, lei sorrise. Aveva imparato a perdersi nel suo sguardo, in quella profondità bruna che la faceva sentire nuda e protetta allo stesso tempo.

«Non devi fare niente», gli sussurrò. «Lasciati soltanto amare.»

Prese il suo volto tra le mani. Ogni ruga d’espressione, ogni segno del tempo era per lei un dettaglio che arricchiva la mappa del desiderio. La pelle sotto le dita era viva, pulsante.

Le mani di lui si posarono infine sui suoi fianchi. I loro corpi si riconobbero senza esitazioni, senza imbarazzo. Era un incontro fatto di lentezza, di ascolto, di brama contenuta. Lei lo amava così: senza fretta, senza clamore. Lo adorava nel modo in cui lui lasciava spazio, nel modo in cui non cercava di possederla, ma di accoglierla.

Fece l’amore con lui come si danza: con ritmo, con cura, con tutta la grazia che si può offrire a un altro essere umano. E mentre si muovevano insieme, mentre si fondevano e si separavano, comprese che quella non era solo passione. Era dedizione. Era gratitudine.

Dopo, restarono in silenzio. Lei poggiò il viso sul suo petto e ascoltò il battito regolare del cuore. Non c’era nulla da aggiungere.

In quell’abbandono, in quel respiro condiviso, lei trovò la definizione più alta dell’adorazione: amare senza voler cambiare nulla.


Alienazione

Francesca aveva imparato a sorridere con precisione chirurgica. Le sue labbra si curvavano al momento giusto, il tono della voce era educato ma mai troppo acceso, gli occhi leggermente socchiusi in segno d’ascolto. Eppure, dentro, tutto era ovattato.

Camminava per l’ufficio come su una passerella invisibile. I colleghi la salutavano, alcuni con affetto, altri con distratta cortesia. Nessuno si accorgeva che ogni gesto era uno sforzo misurato, ogni parola un atto di volontà. Le sembrava di indossare un costume troppo stretto, cucito addosso da qualcun altro.

Il mondo attorno a lei era popolato da ombre in movimento. Le voci degli altri arrivavano filtrate, come se qualcuno avesse abbassato il volume alla realtà. Sorrideva, annuiva, prendeva appunti. Ma dentro, le mani stringevano solo vuoto.

C’era stato un tempo in cui si sentiva piena. Quando ancora scriveva versi sulle tovagliette dei bar, quando il silenzio della sera era pieno di possibilità e non di ansia. Poi qualcosa si era spezzato. Non con un rumore secco, ma con il suono impercettibile della rassegnazione. Aveva cominciato a dire “sì” per non dover spiegare i “no”, a indossare colori neutri per non attrarre sguardi, a fingere che tutto andasse bene.

Una sera, tornando a casa, si osservò allo specchio dell’ascensore. La luce fredda le restituì un’immagine pulita: capelli ordinati, trucco leggero, vestito impeccabile. Ma nei suoi occhi c’era una crepa. Piccola, invisibile forse a tutti, ma per lei evidente come una fenditura nel vetro.

Quando entrò nel suo appartamento, lasciò cadere la borsa sul pavimento e si libero delle scarpe. Si accasciò sul divano senza accendere la luce. Il buio era l’unico luogo in cui si sentiva vera.

Non pianse. Non ne aveva più la forza. Ma respirò. A fondo.

Il telefono vibrò. Un messaggio.

“Stasera pizza da me? Anche in silenzio va bene.”

Era di Lucia, l’amica d’infanzia con cui aveva perso i contatti. Un legame che si era allentato. Succede spesso quando la vita prende strade diverse. Ma quel messaggio era arrivato come una mano che si tende nella nebbia.

Non rispose subito. Andò in bagno, si lavò il viso. Guardandosi di nuovo allo specchio, si vide stanca, ma ancora viva. E quella piccola crepa, per la prima volta, non la fece vergognare.

Scrisse: “Arrivo. Ma la birra la porto io.”

Quella sera, a casa di Lucia, non parlò molto. Mangiarono in silenzio, con la televisione accesa su un film già visto. Ma quando le loro mani si sfiorarono per sbaglio mentre prendevano una fetta di pizza, Francesca capì che non era sola. Che anche le crepe possono far passare la luce.

Serie: Abbecedario sentimentale


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Discussioni

  1. Ciao Rocco, cosa ti posso scrivere… La tua scrittura è evocativa, ricca di metafore visive e di un realismo emotivo che colpisce. Inizio con “Alienazione” perché è il brano che mi ha colpito di più. Hai descritto molto bene la dissociazione tra l’apparenza (perfetta, controllata) e il vuoto interiore (“le mani stringevano solo vuoto”). Mi piace il finale: il contatto casuale delle mani e la consapevolezza che “anche le crepe possono far passare la luce” chiude il cerchio con poesia e la speranza che questa condizione si risolva. Su “Adorazione”, pezzo altrettanto bello, mi ha impressionato la struttura: hai affrontato il tema senza utilizzare un dialogo. Di solito è l’escamotage che ci permette di tenere alta l’attenzione. Dico questo perché, io sono una di quei lettori che davanti a descrizioni lunghe si distrae e in questo caso non è successo.

  2. È superfluo dire che il tuo modo di scrivere è leggero e scorrevole come l’acqua. In questi due brani, le poche parole tra i protagonisti sottolineano che, quando i sentimenti sono veri, anche il silenzio parla. Bravo, Rocco.

  3. Mi è piaciuto molto l’accostamento tra le due immagini. Due incontri “complentari” unoti dal silenzio. Nella prima corpi che si fondono, nella seconda mani appena sfiorate. Eppure in entrambi i casi ci si trova, e ci si riconosce.