
A meno di un piano
Le grida del professor Corelli avevano anticipato di poco il mio tentativo di suicidio. Quante possibilità c’erano che un suicidio fosse interrotto da un grido? Voglio dire, se venissi colto sul fatto, appena prima dell’atto, sarebbe comprensibile. Ma qui non c’era nessuno.
E allora cos’era, un segno? Il destino? Io non credevo nel destino. Ma quel grido era riuscito a immobilizzarmi. A farmi desistere immediatamente da quanto stavo facendo. Mollai la presa e lasciai cadere la pistola sulla scrivania. Ma non bastò. Dovetti riprenderla in mano e riporla subito nel cassetto, dov’era mia abitudine tenerla. Lo spinsi fino al termine delle guide, più in fondo che potevo. Diedi due colpi decisi al centro, come a volerne sancire la chiusura definitiva.
Così come non credevo nel destino, non agivo quasi mai d’impulso. Eppure, fui pervaso dall’irrefrenabile desiderio di lasciare quella stanza, di cui non riuscivo a tollerare neanche l’odore, a cui ero di certo abituato e che per la verità era neutro, ma che ora mi appariva nauseante. Ma volevo di più, volevo uscire dalla casa. Uscire, respirare.
Corsi verso la porta della stanza. Mi fermai un momento a fissare la scrivania e la sedia su cui ero stato seduto fino a poco tempo prima. E scrutai attentamente l’ambiente per capire se avessi lasciato qualche particolare che potesse ricondurre al mio gesto. Pensai che se avessi scritto una lettera d’addio, avrei dovuto farla sparire. Come? L’avrei fatta a pezzi. O forse l’avrei bruciata. Sì, bruciata, l’unico modo plausibile. E poi ne avrei gettato le ceneri dalla finestra. Ma non avevo scritto nessuna lettera e, lucidamente, dissi a me stesso che l’unica cosa che potesse riportare al mio gesto, era la pistola. Avendola già sistemata, tornai sui miei passi.
Senza accorgermene avevo già raggiunto la porta di casa. Misi una mano sul cappotto sopra all’appendiabiti e, con l’altra, girai la maniglia della porta, pronto a scappare via. Dalla piccola fessura che si creò vidi due persone che salivano le scale a gran velocità, saltando i gradini forse oltre i due a due. I passi si fermarono davanti alla porta del professor Corelli. L’appartamento del professore era sopra al mio, ad una sola rampa di scale di differenza. Visto che di consueto ci sono due rampe di scale che separano i livelli delle abitazioni, dicevo sempre che l’appartamento del professor Corelli era a meno di un piano dal mio. Sentii un lamento che assomigliava al pianto di una bambina disperata. Poi, in modo più nitido, udii:
«Ma che è successo?» chiese una voce che arrivava dalla tromba delle scale.
«Si è ammazzata», disse una voce strozzata.
«Chi?» rispose un’altra che sembrava più lontana.
«Clara. Clara si è ammazzata.»
Clara era la moglie del professor Corelli. Era lei che si era ammazzata. Ecco perché il professore aveva gridato.
Di colpo, la mia mente diventò un turbine di domande, l’una sull’altra. Quindi si era suicidata? Perché lo avrebbe fatto? Perché non mi ero mai accorto di nulla? Se avessi anticipato il mio gesto di qualche secondo, si sarebbe ammazzata lo stesso o sarebbe stata frenata dal rumore del mio sparo, così com’era capitato a me con il grido del professore? E la più grossa di tutte: quante possibilità c’erano che non uno, ma ben due suicidi, volessero compiersi nello stesso momento e nello stesso palazzo, a meno di un piano di distanza?
Non avrei mai avuto quelle risposte. Continuai a vedere persone correre sulle scale. Qualcuno le scendeva ma la maggior parte le salivano. Avevo paura di essere scoperto, così tirai la porta verso di me, lasciando una fessura ancora più stretta, quasi impercettibile. Scoperto per cosa, poi? Sarebbe stato del tutto normale che fossi uscito anche io, a correre sulle scale come tutti gli altri. Invece quel baccano quasi mi urtava, disturbava i miei pensieri. Io non avevo alcuna voglia di andare a vedere. E il momento dopo pensai che non avevo alcuna voglia di rispondere alle quelle domande . Il destino? Non scherziamo, non ho mai creduto a simili sciocchezze. E l’istinto? Poteva tornarsene da dov’era venuto. Tolsi una mano dal cappotto, l’altra dalla maniglia e serrai la porta a chiave. Avevo chiuso bene il cassetto con la pistola? Credetti di sì, ma era meglio controllare. Mi tornarono in mente tutti i motivi per cui ero arrivato a quel gesto. Forse la sera ci avrei riprovato.
Avete messo Mi Piace1 apprezzamentoPubblicato in Narrativa
Questo brano è scritto molto bene. Incalzante e angosciante, riesci a immaginare la scena e percepire l’asia del protagonista. 👏
@Tiziana.M grazie per le tue parole
Pensieri che si rincorrono, che prendono forma. Intreccio di destini… Tutto molto scorrevole, ma molto inquietante!