
Alla vigilia della cerimonia. L’incubo del discorso
Serie: Considerazioni disilluse di uno scrittore dimenticato
- Episodio 1: Alla vigilia della cerimonia. L’incubo del discorso
- Episodio 2: La camera bianca
- Episodio 3: La camera nera
- Episodio 4: Marcus e Greta
- Episodio 5: Il pavone nero
- Episodio 6: La ruota panoramica
- Episodio 7: Prima intervista
- Episodio 8: Il carcere purpureo
- Episodio 9: Il racconto di Greta: “Il tordo”
- Episodio 10: La costellazione dell’Ofiuco
STAGIONE 1
1)
Sono sveglio dalle sei. Finalmente, dopo essermi rasato, lavato e vestito di tutto punto, sono pronto per cominciare la mia esistenza da autore premiato, insignito da qualche ora di un riconoscimento ambìto, sognato da molti e non raggiunto nemmeno da scrittori di grande fama e statura, da quanto mi è stato riferito da fonti autorevoli e ben inserite nel sottobosco labirintico dei premi letterari, che non conosco in modo capillare, per quanto risentano di una complessa stratificazione di situazioni poco chiare, spesso incomprensibili, specie se si confrontano gli esiti con la qualità delle opere e degli autori – non sempre è così, ma talvolta può accadere.
2)
Per alcuni, nel mio caso, si è trattata di fortuna, per altri del frutto di un lungo periodo di operosità e abnegazione che avrebbe reso un mio risultato dichiaratamente straordinario, conseguenza matematica di un mio programma impiegatizio del tutto ordinario, riducendo drasticamente l’aura romantica di impresa che avrei immaginato evocare nei miei amici scrittori, come risonanza del mio traguardo.
Nessuno di loro mi ha mai parlato di valore, di predisposizione, di attitudine o di talento. Nemmeno di sensibilità artistica, come se questi fossero termini poco utilizzabili o scaduti, in una fase ormai conclamata, e abbiano ragione d’essere solo dentro la zona acerba del potenziale o nelle aule buie di scuola, dove tutto è nascosto, sotteso e protetto, e potrebbe accadere o non accadere per congiunzioni oscure, indipendenti da una sola volontà interna, ma solo da una concertazione meccanicistica di reazioni non sempre univoche, che nulla hanno a che vedere con l’unicità dell’individuo, ma con la funzionalità del dividuo (Vedi Novalis).
Le persone che mi hanno scritto o telefonato per congratularsi con me del premio, non hanno mai pronunciato un aggettivo che avesse una minima attinenza con le mie capacità, ma si sono proiettati unicamente sulla casualità o sulla causalità – questi ultimi imputando come fattore scatenante il mio programma di scrittura quotidiano, che, come era ormai risaputo nell’ambiente delle mie frequentazioni letterarie, variava dalle nove alle undici ore giornaliere, compresi i giorni festivi. Nessuno dei miei amici scrittori ha mai riconosciuto di resistere alla mostruosità di un simile programma di annientamento psichico, nonché stilistico, giustificando, però, la loro inadeguatezza non a una mancanza di volontà, o di concentrazione, ma solo a una semplice mancanza di tempo. Per cui lo scrittore premiato – qualsiasi altro scrittore, compreso me – doveva ringraziare la fortuna, o in alternativa il tempo disponibile profuso per il suo intento attraverso le lunghe ore di lavoro spese a distruggersi la vista e la sanità mentale sul manoscritto, considerandoli gli unici elementi che lo avrebbero portato inequivocabilmente alla cima della premiazione. Nulla di misterioso, di alchemico o particolare che non sarebbe stato realizzabile da qualsiasi altro individuo senziente – e non necessariamente scrivente –, se le circostanze oggettive, o una giusta concertazione dei fattori causali appena accennati, glielo avrebbero concesso. Era tutto normale, secondo regola. Le persone speciali, gli artisti veri, erano un’altra cosa e appartenevano a una dimensione del tutto diversa, che né io autore premiato, né loro, autori dilettanti, potenzialmente dotati ma non premiati, avrebbero mai potuto sognare di raggiungere nella propria vita. Nella sostanza io ero un semplice operaio delle mie parole, encomiabile per la sua tenacia e resistenza, la stessa che si potrebbe riconoscere a un toro razzatore o a un cavallo da corsa nel pieno del suo fulgore. Loro, invece, gli amici e i confidenti di cui parlo, appartenevano alla schiera illuminata dei filosofi, degli artisti e dei sognatori della lingua, anche se falliti, ma permeati di quella doratura poetica e iniziatica che di sicuro, da romanziere premiato qual ero, non mi sarebbe mai appartenuta; mentre gli altri, i restanti, che non rientravano nelle nostre due categorie, erano gli eletti. In effetti, secondo questa accurata ricostruzione di carriera, il mio premio e le mie opere non avevano e non avrebbero mai avuto alcun valore specifico, nonostante il riconoscimento del premio letterario assegnato. Sarebbero rimaste cose comuni, nemmeno accessorie, come la rosa del deserto che ho di fronte, una matita senza punta, la ricevuta di una consumazione al bar della stazione. Ma tutto questo non me lo avrebbero mai detto, naturalmente. Lo avrebbero solo adombrato, lasciato in sospeso, sussurrato in segreto a un amico comune, per poi relegarlo nell’oblio e dimenticarlo, con la stessa rapidità del mio premio e della data fissata per la cerimonia, con annesso discorso dell’autore, ahimè.
3)
Il silenzio sconfinato del mattino, della casa, e poi del bosco soleggiato, avrebbero favorito la massima concentrazione per godermi la purezza del mio nuovo stato, rappresentando, nel contempo, lo sfondo ideale per la preparazione del discorso per il premio. La cerimonia prevedeva per tradizione un discorso celebrativo obbligatorio da parte dei premiati, indipendentemente dalla categoria di pertinenza della loro opera e dal loro singolo livello e percorso esperienziale. Non potevo sottrarmi in alcun caso al discorso, pena l’esclusione dal premio, nonostante fossi stato tecnicamente riconosciuto vincitore, ma non ancora insignito fisicamente della targa, dove sarebbero stati incisi il mio nome e quello della mia opera – o forse solo uno dei due, ma al momento non era importante.
4)
Le prime telefonate, dopo la notizia della premiazione, non andarono ai miei amici scrittori. Alcuni di loro, per quanto ricordassi, avevano presentato allo stesso premio letterario dei loro lavori, in cui credevano molto, rappresentando, a detta di alcuni, l’essenza della loro ricerca e della loro poetica – come mi è stato riferito durante i nostri confronti avvenuti poco prima dell’invio dei nostri manoscritti, ancora freschi di stampa. Sarebbe stato imbarazzante coinvolgerli come primi destinatari del mio risultato, pretendendo anche di appagare quel desiderio di afflato e di empatia, se non di totale adorazione, che diversi scrittori premiati implorano e a cui ambiscono da sempre, come se lo stato divino conclamato fosse l’unico plausibile, in grado di giustificare una scelta sconsiderata e frustrante, come lo è quella dello scrivere, anziché costringersi e umiliarsi a una competizione spicciola tra comuni mortali, che si occupano, guarda caso, di mettere in fila, e nel migliore dei modi, null’altro che le proprie parole.
5)
Cominciando con i parenti. Mia madre, mia sorella, gli zii paterni, mio cugino Attilio. Poi gli amici del teatro: ogni tanto mi dilettavo con un gruppo di filodrammatica, partecipando di rado alle loro prove, quando le mie sessioni di scrittura me lo consentivano. Da parte dei parenti stretti, qualche secondo di ammirazione, di gioia, per poi rientrare di colpo nell’ordinario e trascinarmi nel loro stesso ghetto, quello delle mie origini, con un cambio repentino di rotta e di umore che mi spiazzò. Mio cugino Attilio fu l’unico a chiedermi cosa provassi. Io non gli risposi subito, dal momento che non lo sapevo. O forse non provavo nulla. Da quando avevo ricevuto il premio letterario, non sentivo più niente. Ero tornato vuoto, come una pagina bianca di un tema mai scritto. Ma prima della domanda di Attilio non ne ero consapevole. E ancora adesso mi accorgo di fare fatica.
6)
Ho appena deciso deliberatamente di non prepararmi nulla e di puntare all’immobilismo. Cedere alla tentazione del discorso, comporterebbe la pianificazione di una linea precostituita di pensiero, che non sarebbe reale, intendo non relativa al momento futuro, più o meno prossimo, del mio discorso alla cerimonia di premiazione, ma solo a una sua proiezione fittizia, che non avrebbe alcun senso e nessun grado di utilità, rischiando di alterare lo stato emozionale dei fatti e delle derive immaginarie che li hanno attraversati, per ricondurmi fin qui, in uno stadio di afflizione e disorientamento difficilmente provati in esperienze simili pregresse, con una tale intensità. L’intensità dell’annientamento. (Potrebbe essere il titolo di un mio saggio sul catastrofismo delle premiazioni).
7)
Cercare di confrontarmi, e poi confinarmi, per ciascuna delle mie opere, nella condizione mai dichiarata a nessuno, relativa alla fragilità e allo smarrimento del mio essere che tasta la difficoltà immensa dello scrivere, ritrovandomi all’improvviso disarmato di fronte a un impulso cieco, che vorrebbe corrompere un silenzio già di per sé straordinario e inviolato, la cui straordinarietà avrebbe rischiato di fare impallidire, al suo cospetto, qualsiasi tentativo più o meno ambizioso di parola, anche solo di segno e di suono, per forzare, a mio vantaggio, la perfezione di un equilibrio incantatorio irraggiungibile, che appartiene ai trapezisti, ai lanciatori di coltelli o ai mangiatori di spade.
8)
Per ogni mia opera mi sono trovato sempre di fronte a questo muro e a questo slancio verso l’impossibilità, che a un certo punto, per delle ragioni oscure, ha rappresentato tutto ciò che avevo, il mio unico non luogo possibile, nel quale incanalarmi, annientarmi e ricostruirmi.
Elencare, in ordine cronologico, le fasi salienti della mia china di possibilità nell’impossibile, è quello che mi rimane da dire e da fare, dal momento che tutto il visibile e il tangibile di ogni mio lavoro è stato già detto, circoscritto e affrontato nei suoi dovuti e possibili dettagli dai critici, che si sono dedicati esclusivamente alla dimensione visibile del mio progetto. Adesso mi tocca entrare dal lato opposto: il lato sconfinato dell’invisibilità. L’unico che rasenta, e contempla, la verità riposta in ogni artificio. L’unico reale termine di trattazione.
Serie: Considerazioni disilluse di uno scrittore dimenticato
- Episodio 1: Alla vigilia della cerimonia. L’incubo del discorso
- Episodio 2: La camera bianca
- Episodio 3: La camera nera
- Episodio 4: Marcus e Greta
- Episodio 5: Il pavone nero
- Episodio 6: La ruota panoramica
- Episodio 7: Prima intervista
- Episodio 8: Il carcere purpureo
- Episodio 9: Il racconto di Greta: “Il tordo”
- Episodio 10: La costellazione dell’Ofiuco
Piú che la semplice riflessione di uno scrittore premiato e deluso, questo primo episodio mi pare una lunga analisi molto razionale e ben articolata.
Una serie di considerazioni non proprio di getto, istintive o emozionali, ma decisamente appropriate, che danno l’idea di un personaggio – lo scrittore – colto e raffinato, sensibile e introspettivo. Il tipico bravo scrittore che difficilmente puó essere tale senza queste caratteristiche. Il suo ragionamento mi appare come un breve e interessante saggio, a tratti filosofico, sul tema del sottobosco citato e sulla caverna oscura in cui albergano le contraddizioni dell’animo umano, tra ricerca continua di approvazione, riconoscimento, successo e senso di vuoto e frustrazione, dopo il tanto agognato premio letterario.
Ora che ho letto anche il primo episodio di questa serie credo che andró avanti, non tanto a leggere quanto a studiare i prossimi episodi. Sono certa che avró molto da imparare, perció grazie.
Ciao, M. Luisa. Dalla tua attenta disamina dell’episodio, che mi lusinga e mi stimola non poco, per quanto tu sia riuscita ad entrare con grande acume all’interno del tessuto, noto che tu abbia evidenziato il mio intento primario, che mi ha portato a tentare questa singolare strada: la ricerca – all’interno del filo conduttore di una voce narrante, che si districa in considerazioni personali sullo stesso gesto seriale e ossessivo di scrittura –, di un processo riflessivo estenuante, a volte catartico, che si rivela contemporaneamente oggetto e soggetto della serie, indipendentemente dagli eventi che si succedono nella sua gestazione e nelle sue relazioni con un esterno ancora intangibile, se non indistinguibile dai suoi processi immaginativi più rarefatti.
Sono contento che tu abbia avvertito la natura di questo progetto in una luce più saggistica. Sto cercando di lasciare al dispositivo queste arcate di riflessioni e di introspezioni soffuse lungo il corso dell’azione, nel suo giusto equilibrio, e mediandole all’occorrenza, cercando di armonizzare al meglio i vari affluenti in gioco.
Ti ringrazio di un’analisi così lucida e ispirata.
Con questo episodio, metti in luce cosa sia la scrittura, il successo e come essi vengano visti dai più. Non è per nulla banale. Proseguo con la lettura 😉
Ciao, Nicola. Ti ringrazio molto della tua attenzione e del tuo interesse. Gli aspetti che hai individuato saranno materia di sviluppo del progetto, con una serie di varianti e diversificazioni, ma ponendo sempre il processo di scrittura del personaggio protagonista come una sorta di pietra angolare della struttura seriale. Un buon proseguimento e buona scrittura.
Non ti nascondo che leggendo ho provato una profonda angoscia. Quando hai parlato della cerimonia, del discorso…Ho pensato a tutte quelle volte che i miei clienti mi chiedevano informazioni sui miei dipinti: qual è il titolo? Cosa volevi rappresentare? Perché hai usato questo colore? E io, ad un certo punto, penso che, in un modo perfetto, chiunque crei un’opera d’arte, che sia pittorica o un’opera letteraria, dopo averla creata e donata al mondo, dovrebbe sparire! Niente discorsi, nessuna spiegazione. Ma questo non è un mondo perfetto.
Ciao, Arianna e grazie della tua visita e del tuo commento. Hai intercettato, con le tue antenne di artista, le origini del sentimento che ha dato voce all’episodio, che è cruciale per i successivi. È proprio quando si ritorna nel livello reale e si devono giustificare scelte che forse non hanno una precisa ragion d’essere, o dare voce a figure mute, senza lingua e corde vocali, o a cercare delle spiegazioni impossibili… che ci si accorge di quanto sia angoscioso il ritorno alla luce dopo un lungo soggiorno nei propri fondali. Può capitare che qualcuno abbia il coraggio o il fiato di scendere con noi ed esplorare il sostrato di non visibile e impenetrabile, che di solito si basta da solo, ma di solito vi è sempre la richiesta di una razionalizzazione e quasi di una certificazione in carta bollata del proprio immaginario. Forse, in questi esercizi di profonda libertà e solitudine, si tasta la bellezza dell’invisibilità, quanto di assaporarne il desiderio, diventando come il fumo della tisana che vela le pagine di un libro o di un dipinto, ma nulla di più. Sono convinto che meno un artista si ostini a comparire, a spiegare, a certificare, meglio si espanderà la sua opera, nei suoi misteri insondabili di silenzio e di purezza, dove le parole non possono e dove comincia il vero viaggio.
Ancora un grande grazie. A presto.
“Adesso mi tocca entrare dal lato opposto: il lato sconfinato dell’invisibilità. L’unico che rasenta, e contempla, la verità riposta in ogni artificio. L’unico reale termine di trattazione.”
Lo vedi che quando scrivo che tu scendi nelle profondità delle cose, così come fanno gli speleologi che vanno nelle caverne, ho ragione!!! Bellissimo!!!
Ciao, Alberto. Sono davvero felice ed emozionato del tuo passaggio in questa serie così singolare, quanto onorato della tua generosità franca, immediata, che non si risparmia, la stessa che ho intercettato nella tua scrittura. Il passaggio che hai evidenziato rappresenta una sorta di mappatura di tutto il processo “disillusorio” di formazione, ma nello stesso tempo spiccatamente immaginifico, dello scrittore dimenticato e del suo sguardo sulla realtà e i suoi universi paralleli, un codice genetico che accompagnerà, e spero giustificherà, tutte le mie scelte successive, sia quelle che ho elaborato, che le altre, che sono in fase di pianificazione. Ancora un grande grazie per la tua visita.
“il proprio valore resterà un mistero”
Voglio che sia così…
E poi… ogni mistero è di per sé un valore.
“Le persone speciali, gli artisti veri, erano un’altra cosa”
Inizio ora questa tua serie e mi soffermo particolarmente su questa frase che mi colpisce e mi spinge a riflettere. Mentre leggevo, mi sono formata un’immagine nella testa. Una piramide fluttuante, non appoggiata ad alcun terreno e divisa in due. Una punta e una base. Le due parti non si toccano. La punta è occupata dagli artisti (chi sono gli artisti? Come li si può eventualmente classificare o eleggere tali? Cosa ne determina il diritto ad acquisire questo nome? e svariate altre domande…) Alla base ci sono tutti gli scrittori, tanti, tantissimi, una moltitudine celeste di scrittori che vagano in cerca del loro avere un senso. Quasi un purgatorio dantesco. Ti lascio con questa immagine un po’ folle che il tuo testo mi suggerisce e mi inoltro nei meandri complicati e affascinanti di questa tua serie.
Come sempre afferri il nodo, la zona nucleica del tessuto, da cui cerco di espandere altri pensieri paralleli e di certo molto spettinati, come direbbe sorridendo Stanisław Jerzy Lec.
Il passaggio che hai evidenziato credo sia cruciale, per quanto attesti lo straniamento e la difficoltà di collocarsi, come scrittori, ma credo anche come artisti, in senso lato, in una determinata zona, rimanendo imprigionati dall’evanescenza e dalla seduzione del proprio sguardo – spesso sensitivo o al contrario eccessivamente autoptico e razionale –, e dall’altra parte dall’impermanenza degli sguardi esterni, in parte obiettivi ma non sempre attenti alla nostra dimensione e quindi non sempre predisposti ad entrare all’interno, nelle profondità, quanto pronti, però, a dispensare alla prima occasione verità, consigli e certezze. Purtroppo, come si evince da questi primi passaggi, difficilmente si verrà collocati in una parte certificabile della piramide, dal momento che le dimensioni spesso si confondono, si annebbiano, e quasi sempre la cultura, e quindi l’arte, diventa una questione politica, economica, geografica, distrettuale, così come la valutazione del talento, la sua attestazione. Quando accade un vero incontro, tra la materia viva dell’opera di uno scrittore, anche solo di un suo racconto, e la dimensione profonda di un altro, di un lettore con le giuste frequenze, che nello stesso tempo diventa fautore di nuovi movimenti della sua narrazione, allora, personalmente, credo che le regioni e le prospettive si dissolvano nell’intimità e nell’assoluto di quel determinato incontro, con la sua singolare esclusiva che non suggelli una postazione ma una trasmissione segreta, esoterica, direi, di un mondo sconosciuto persino all’autore stesso. Se la scrittura, oltre le disillusioni del personaggio in oggetto della serie, non sarà relegata alla bellezza dell’ignoto ma solo al promulgare un valore, quindi una forma occulta di potere, si perde il gusto di una propria voce, ma si ricerca quella che porti più lontano, e che ti prospetti nuovi orizzonti possibili o impossibili, ma che non sarà mai la tua, ma quella che vogliono ascoltare gli altri, perché vi sono abituati e la credono l’unica giusta e formalmente corretta. Lo svuotamento e la frustrazione, ma soprattutto l’incompatibilità con le percezioni comuni, le certezze cristallizzate anche di molti scrittori-lettori, come quelle di molti lettori, sono gli archetipi, le uniche certezze di chi scrive davvero, per la difficoltà di definirsi al di là dei preconcetti, degli schematismi, delle presunte verità di chi non ti incontra, non ti sente e non ti avverte, ma nello stesso tempo vuole instradarti, dirti dove andare, come funzioni e come si fa. Per il resto, sia per lo scrittore disilluso con le sue considerazioni che per qualsiasi altro reale o fittizio destriero o avventuriero delle proprie parole, il proprio valore resterà un mistero, e forse, come tutti i misteri, sarebbe bello che restasse per sempre così. Grazie sempre dei tuo stimoli e della tua attenzione creativa e illuminante. A presto.
‘Se la scrittura, oltre le disillusioni del personaggio in oggetto della serie, non sarà relegata alla bellezza dell’ignoto ma solo al promulgare un valore, quindi una forma occulta di potere, si perde il gusto di una propria voce, ma si ricerca quella che porti più lontano’ Eterno, scomodo e dolorosissimo dilemma…
Concordo in pieno. Siamo allineati.
Ciao Luigi. Emerge da questo tuo testo una consapevolezza, trasformatosi poi in un vuoto assoluto, di un corrispettivo, di un premio, ebbene, un valore deviante. Con il riconoscimento in premio per la realizzazione di una propria opera, ci si può trovare, anzi ci si trova, dinnanzi a se stessi, al cospetto con un mondo diverso, freddo, triste. Lo scritto, un dolore che è emerso con sofferenza dal nostro sottosuolo, tirato su e trasformato in parole, dovrebbe rimanere solo il frutto dello scrittore nel pieno del suo travaglio. Una creatura strana e unica, senza competizione.
È vero poi che testi scritti così bene come hai fatto tu ne dimostra il senso. Grazie
Ciao Nino e grazie di questa tua analisi così sentita, che ho molto apprezzato. È verissima la dimensione del vuoto assoluto, quindi incolmabile, che costella le varie fasi del processo di incubazione, di gestazione ed espansione del mondo immaginativo complesso del personaggio in oggetto; il fatto che sia il premio a suggellare questa dimensione di estraneità e isolamento, mette in moto un ingranaggio di consapevolezza di quanto sia improbabile, se non impossibile, un minimo appagamento o consolazione dalla sua attività creativa, che comincia ad avvertire come una misteriosa condanna, ma nello stesso tempo anche come l’unica forma – forse ancora intangibile – di libertà. Sono contento che ti siano arrivati i vari flussi magmatici di un personaggio così controverso, che sintetizza, nelle sue prime considerazioni, diversi incubi relativi all’universo multiforme della scrittura, al suo frapporsi, paradossalmente, tra l’abisso dell’oblio e quello dell’infinito, quasi come se l’eternità di chi scriva corrisponda al dissolversi nella dimenticanza e nella disillusione, ma attraverso un mondo illusorio e impossibile, guarda caso. Ancora grazie del tuo commento e dei tuoi spunti. A presto.
Questo testo offre spunti di riflessione interessanti su temi complessi e universali, invitandoci a guardare oltre le apparenze e ad approfondire la natura stessa della creatività. Molto interessante.
Ciao, Nicolina. Questo tuo commento mi rincuora davvero molto e mi apre diversi fronti e stimoli nei riguardi di questa strana serie, così ricca di contrasti e di extrasistoli relativi alla creatività. Sono contento che ti abbia evocato delle riflessioni. Allo stesso modo il tuo commento ne ha evocate delle nuove in me, credimi. Un saluto e un grande grazie per la tua lettura e il tuo tempo.
Grazie a te
Il sintersi solo attraverso la parola, il tuo dare voce all’indicibile mi ha suscitato emozioni profonde…..
La tua scrittura esprime il dramma del vivere attraverso la parola visionaria che trapassa e scava come goccia sulla pietra…..nel tempo e fuori del tempo….visioni di una realtà crudele e incisiva, la scrittura che prevarica le convenzioni e i limiti della parola….e la parola che va oltre la parola stessa, producendo emozioni che solo un poeta vero può dare…..
Tutta la tua opera ci proietta in una dimensione atemporale…..immagini come cascate che fiottano parole…..spazi in cui si susseguono eventi in cui sovrana è la parola…..si ripetono e si dilatano suoni che possono estasiarti come ferirti…..e ti avvolgono in un’atmosfera che ti imprigiona….
Parole che ti penetrano e fanno di te il personaggio…attimi di una realtà che non ti appartiene ma che tu avverti sulla pelle come un brivido…..ed è importante per me affogare nell’estasi trascinante delle parole…..grazie.
Questo tuo commento è così propulsivo e poetico da confondermi, in senso positivo, naturalmente. La confusione piacevole, e rincuorante, evocata dalla forza e dalla bellezza di un’emozione, intendo, con tutto il suo carico di ebbrezza. Credo, ma sento, soprattutto, che tu abbia raggiunto il midollo di questi miei studi, che lo abbia abitato o riconosciuto come un tuo habitat. Hai colto degli aspetti archetipici fondamentali, come il fattore visionario, l’extra-temporalità, le componenti di astrazione, di vortice e di ipnosi dove la lingua a volte può arrivare, insinuarsi e poi dissolversi, che sono certo appartengano profondamente anche alla tua visione e alla tua interiorità. Rileggendo il tuo commento ho la sensazione che rappresenti un prolungamento naturale dell’episodio che ho condiviso, una sua risonanza naturale, quella che avviene sempre quando la lettura, come nel tuo caso, diventa un atto creativo, propulsivo, che non è separato dall’intenzione e dalla natura della foce a cui attinge. Credo che sia questa la parte più incantevole dell’esperienza: fondersi, attraverso le proprie parole, con l’immaginazione e il mistero degli altri. Grazie di cuore, quindi, per il tuo tempo, la tua generosità e la lettura ispirata di questo primo attacco di serie. A presto.
Grazie a te per questi momenti di infinito che le tue parole sanno donare.
Considerazioni e riflessioni assolutamente condivisibili.
Credo che, prima di ogni altra cosa, sia necessario rispettare sé stessi, rimanendo fedeli ai propri principi. Poi, qualunque cosa accada, se si abbia successo oppure no, non ha molta importanza. E, per quanto si possa provare a condividere con qualcuno la gioia di una vittoria, nessuno sarà mai in grado di realizzarne davvero il valore.
In effetti ho cercato di mettere in gioco tutte le dinamiche che scattano all’interno di uno scrittore quando accade un confronto, e spesso ciò che lui sentiva di sé sembra alterarsi, se non evaporare, nella prospettiva degli altri. In questo caso la sua gioia per il premio è anche la verifica di quanto si è soli in determinati momenti, profondamente incompresi, nel suo caso, per tutto il suo percorso, la natura dei suoi meriti, dei suoi intenti, il suo valore. Il grado di consapevolezza di un determinato valore artistico, che sia indipendente dal giudizio degli altri, è proprio parte del processo evolutivo più arduo per questo particolare scrittore, che si muove mosso dalla maledizione del suo immaginario e nel frattempo è sempre al confine con l’oblio e con l’indifferenza dei suoi simili. Grazie del tuo commento.
Ho ritrovato in parecchi punti pensieri e riflessioni che sono stati anche i miei. Eppure, mai avrei pensato di riuscire a metterli su carta così come hai fatto tu. Mi colpisce quello che ho intuito stare dietro: l’onestà nei confronti di se stessi, l’analisi del proprio mestiere creativo senza sconti né inutili autocelebrazioni. Insomma, leggendo ho imparato a conoscere un po di più cosa è lo scrivere.E a conoscere me.
Ciao, Dea. Quello che mi scrivi è davvero illuminante. Credo che tra le cose più belle che possano accadere a chi scrive, come a chi legge, è tastare una dimensione, anche piccola, di mutamento, seppure, minima, ineffabile, ma autentica. Quando mi è accaduto mi sono sentito parte viva del processo creativo, come lo è in fondo l’atto del leggere. Ogni lettore modifica, negli strati più profondi del tessuto, le risonanze e la natura di un’opera, anche piccola. Rappresenta un fattore di correzione costante che renderà uno scritto diverso da quello che sarebbe mai stato senza la possibilità di quell’incontro. Credo che in questo processo magnetico tra più prospettiche di intimità, si celi l’incanto di questa duplice passione. Ancora un grande grazie per i tuoi stimoli.
“Sarebbero rimaste cose comuni, nemmeno accessorie, come la rosa del deserto che ho di fronte, una matita senza punta, la ricevuta di una consumazione al bar della stazione. “
Potentissima
In buona parte realistica. È un’immagine della memoria.
Capisco
Grazie della tua attenzione.