Amare per primo 

Serie: Morirò d'estate


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: ● Mi risvegliai con il viso bagnato e Salvo che mi chiamava terrorizzato. «Una nuova possibilità!» fu il mio primo pensiero. Forse dovevo dare a mio padre una nuova possibilità? O forse la dovevo dare a me? ●

Ancora scosso, scostai le lenzuola per andare in bagno.

Mi avvicinai allo specchio e osservai il mio viso pallido e tirato.

Non ero pronto a rivedere mio padre, non ero pronto a confrontarmi con i miei demoni.

La domenica arrivò presto, e io sapevo che era giunto il momento di affrontare quello che per troppo tempo avevo rimandato.

Mi alzai e cominciai a preparare la mia borsa, buttandoci dentro un jeans, un paio di t-shirt e l’intimo. Aggiunsi anche il mio pigiama giallo, piegandolo accuratamente.

«Magari mi aiuta dormire sereno» pensai, mentre lo sistemavo nello zaino, cercando di non pensare a ciò che mi aspettava.

Quando arrivai a casa, mia madre mi accolse con un grande sorriso.

Io la abbracciai e poi le diedi un bacio sulla guancia. Lei si passò, a sua volta, la mano sullo stesso punto, come a pulirsi del mio bacio.

«Non ti ho mica leccata!» dissi scherzando.

Mia madre odiava le smancerie. Aveva un modo di amare tutto suo, fatto di attenzioni, di presenza, di accudimento. Ma non amava il contatto fisico: niente abbracci, niente baci, qualche carezza a volte, e basta.

Mio padre era seduto in salotto, con un’espressione seria sul viso. Mi guardò senza dire una parola, e io sentii il mio cuore fermarsi.

«Ciao, papà», dissi, cercando di mantenere la voce ferma.

Lui non rispose.

Il silenzio era opprimente, e io sentii un’ondata di emozioni contrastanti: delusione, rabbia, dolore.

Era come una pugnalata in pieno petto, una morsa che mi strappava il cuore.

«Perché tu sei prezioso ai miei occhi, sei degno di stima, e io ti amo» mi ripetevo in testa.

«Sei solo un bastardo ai suoi occhi e non vali nulla» pensavo, mentre lo osservavo avvolto nel suo mutismo e nella sua indifferenza, un silenzio che mi sembrava più doloroso di qualsiasi parola.

Il silenzio si prolungò, diventando sempre più insopportabile.

Cercai di dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma le parole mi rimasero in gola.

Mio padre continuò a guardarmi, il suo viso era una maschera di pietra.

Sentii il mio cuore battere forte, e le mani sudare.

«Perché tu sei prezioso ai miei occhi, sei degno di stima, e io ti amo» mi ripetei ancora una volta, cercando di convincermi che non era vero che mio padre non mi amava.

Ma la voce dentro di me non sembrava crederci.

Avrei voluto alzarlo di forza da quel divano, avrei voluto sbatterlo in un muro e pretendere che mi parlasse, ma non avevo la forza né il coraggio.

Mi sentivo come un bambino impotente, incapace di esprimere i miei sentimenti.

Feci per andarmene in cucina, dove nel frattempo mia madre era andata per accendere la macchinetta della moka, quando improvvisamente mio padre mi disse: «Ciao!».

Mi girai di scatto, non potevo crederci, mi aveva rivolto la parola.

«Ma tu mi ami papà? Perché non mi ami papa?» gli urlai contro.

Poi sentii come un fuoco che mi saliva lentamente ma dolorosamente su per la gola e vomitai.

Cercai di trattenere il vomito con la mano, ma non ci riuscii, macchiai il tappeto del salone e un odore acre e acido, mi pervase il naso, fino a pizzicarmi.

Mi sentii umiliato e debole, come se avessi perso il controllo del mio corpo e delle mie emozioni.

Mia madre entrò nel salone e si fermò sulla soglia, il suo viso pallido e preoccupato.

«Cosa è successo?» chiese, guardando il tappeto e poi me.

Io scossi la testa, sentendomi umiliato.

«Non è successo niente!» disse, prendendomi il viso tra le mani.

Mi abbracciò, e io sentii le lacrime salire agli occhi.

Mio padre tornò con un asciugamo e cominciò a pulire il tappeto, il suo viso ancora impassibile.

Poi, senza dire una parola, si alzò e andò nella sua camera da letto, chiudendo la porta dietro di lui con un clic soffice.

Solo allora mi tolsi delicatamente dall’abbraccio di mia madre, e con il palmo della mano, mi asciugai le lacrime, come faceva lei con i miei baci, cercando di darmi contegno o per lo meno un barlume di compostezza.

Andammo insieme in cucina e prendemmo il caffè. Senza dire una parola, senza riuscire a guardarci negli occhi.

«Tuo padre ti ama, ma non lo sa neanche lui di amarti!» disse improvvisamente.

«L’amore si impara, e se non sei mai stato amato, non sai neanche da dove cominciare» continuò, girandomi le spalle e dirigendosi verso il lavandino con la sua tazzina vuota in mano.

Rimasi in silenzio, contemplando il mio caffè ancora per metà non bevuto.

Non riuscivo a capire cosa volesse dirmi.

Forse voleva giustificare il comportamento di mio padre, alludendo ad un amore non ricevuto dai suoi genitori?

O forse voleva dirmi che mio padre non era capace di amare, che era un difetto genetico o qualcosa del genere?

Mi sentivo confuso e frustrato, non sapevo cosa credere o cosa fare.

Mentre mia madre lavava la sua tazzina, il rumore dell’acqua che scorreva sembrava amplificare il silenzio tra noi.

Io continuavo a fissare il mio caffè, cercando di capire cosa stesse succedendo.

Poi, improvvisamente, mia madre si voltò verso di me e mi guardò negli occhi.

«Non cercare di capire, amore mio», disse.

La sua voce era dolce e comprensiva, come quando da bambino tornavo a casa piangendo, perché il bulletto di turno mi aveva chiamato femminuccia, e lei provava a consolarmi mentre mi stringeva forte al petto.

«Tuo padre è come è, e noi dobbiamo accettarlo. Ma tu, tu sei diverso. Tu sei capace di amare e sei amato. Non dimenticarlo mai.» mi disse ancora. 

Le sue parole mi fecero l’effetto di un ceffone.

Mi sentii un nodo in gola e gli occhi si riempirono di lacrime.

Mia madre mi stava dicendo che io ero diverso da mio padre, che io avevo la possibilità di rompere il ciclo dell’amore non corrisposto.

Ma come avrei potuto fare?

In che modo avrei potuto rompere questa indifferenza tra mio padre e me?

«Inizia tu ad amare per primo!» mi disse mia madre, come se avesse ascoltato i miei pensieri.

Serie: Morirò d'estate


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Discussioni

  1. Questo padre è fortunato ad avere un figlio così, ancora capace di urlargli contro:” Ma tu mi ami papà?”. Perché, sarà anche colpa della cultura, dell’educazione ricevuta, del carattere incapace di manifestare affetto, ma io l’avrei già mandato a fanculo da un pezzo! Scusate il francesismo 😅

  2. Bello, intenso e toccante, questo nuovo episodio, dove anche il comportamento della madre, ma soprattutto quello del padre, l’ho sentito molto familiare. Non é facile, avendo genitori così, dove entrambi sono bloccati o frenati, negli slanci affettivi, che un figlio possa riuscire a trasmettere amore, in modo spontaneo e disinvolto e non inibito o come dipendenza affettiva.
    Come dici tu: «L’amore si impara, e se non sei mai stato amato, non sai neanche da dove cominciare.»
    A volte – quando si é piccoli – ci sono altre figure familiari intorno, piú o meno vicine, che compensano certe carenze e possono rappresentare un’ancora di salvezza, anche nel prevenire o ridurre i problemi psicologici che possono sorgere in età piú adulta. I nonni, per esempio, oppure qualche zio/a.
    Credo che la forza interiore che ci dà coraggio, sicurezza, volontà e salute, non si sviluppi dal niente. Ogni seme, per germogliare, ha bisogno di nutrimento. E credo che quel seme, che ci portiamo dentro, potrebbe trasformarsi in un’ enorme risorsa.