Amen

«Che stupidi che siamo, quanti inviti respinti, quante parole non dette, quanti sguardi non ricambiati. Tante volte la vita ci passa accanto e non ce ne accorgiamo nemmeno.» (1)

«Francamente me ne infischio.» (2)

«Stupido è chi lo stupido fa.» (3)

«Chiamarti stupido sarebbe un insulto alle persone stupide.» (4)

«Che cavolo stai dicendo Willis?» (5)

«Quando non puoi dire una parola gentile è meglio starsene zitti.» (6)

«Tocca a voi, ragazze» aveva detto Giorgino – con la sua aria da professore e un nome da bambino – rivolgendosi alle due giovani donne che si erano aggregate al loro gruppo, durante l’escursione.

Quando erano tornati giù, avevano ripreso il furgone parcheggiato a valle, per andare a pranzo tutti insieme.

Mentre Antonguido – come lo chiamavano tutti, anche se il suo nome era Antonio – guidava, gli altri avevano ricominciato quel loro gioco di parole e frasi celebri. In quel momento erano citazioni famose, tratte dai film.

«Non ho proprio niente da dire, ma voglio dirlo lo stesso» (7) aveva risposto Betta, per partecipare al gioco.

«E tu, Mary, cosa dici?» l’aveva sollecitata il “professore”.

«Giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio cose.» (8)

A quel punto Giorgino aveva ricominciato il giro delle battute. «Tu devi uscire da qua dentro… Tu te ne a fuì a’cca…Va in mezz’a strada, tocca ‘e femmene, vai a rubbà…» (9)

Subito dopo, interrompendo il gioco, Mary aveva chiesto: «Ma voi chi siete? Amici, compagni di viaggio, parenti?»

«Cooosa, parenti? Ti riferisci ai boa conscrictor, oppure ai serpenti a sonaglio? Aveva esclamato uno dei gemelli, sgranando gli occhi, con un’espressione inorridita.»

«L’unico parente che non riesco a scrollarmi di dosso è questa palla al piede: il mio fratello gemello. Purtroppo noi due siamo legati a doppio filo e dobbiamo sopportarci, pur non essendo siamesi, finché morte non ci separi» aveva aggiunto l’altro, facendogli le boccacce.

Le due donne del gruppo che sembravano sorelle, per la loro somiglianza, in realtà, una era Ucraina e l’altra Bielorussa. Tutte e due profughe, fuggite dalla guerra. Avevano perso casa, lavoro e famiglia. Anja aveva visto il suo bambino di tre anni saltare per aria. Sonja, invece, era presente quando un ordigno aveva dilaniato il suo unico fratello di sedici anni. Erano letteralmente impazzite di dolore. In preda alla follia, finché don Elvio, il gruppo di sostegno e la terapia del teatro, non le aveva aiutate a rinsavire.

Anja credeva di essere Anna Pavlova, ballerina russa, morta e sepolta da quasi un secolo. Ogni volta che tentava di esibirsi, per strada, con la spaccata, avendo le gambe rigide come una forcella secca di legno, finiva sempre per procurarsi un altro strappo.

Sonja, invece, l’avevano afferrata per i capelli, mentre si accingeva a spiccare il volo del cigno di Cajkovskij, dal parapetto del ponte, sul lago Omodeo.

Le Due donne avevano in comune la grande passione per la danza, sin da piccole, pur non avendo mai danzato. Tra loro non c’era stato – prima del loro incontro con il gruppo di don Elvio – nessun legame e nessun rapporto di parentela.

«Ma, allora chi siete?» aveva continuato a chiedere Mary, rivolgendosi all’intero gruppo.

«Siamo una banda di matti: amici, compagni di strada e di viaggio, I Commedianti. Recitiamo i nostri ruoli personali tutti i giorni, da gennaio a dicembre e poi, quando interpretiamo i personaggi dei drammi esistenziali, di cui siamo gli autori, possiamo dare libero sfogo al nostro vero sé più autentico.» Aveva spiegato don Elvio, il fondatore di quella compagnia. Li aveva pescati per strada, tra i più diseredati e disadattati, quei talenti del gruppo che riscuotevano tanti applausi sulla scena di un palco, in piazza, nelle scuole o a teatro.

Don Elvio era stato compagno di scuola e amico fraterno di don Tore Canna. Da lui aveva imparato quale fosse il modo migliore per mettere in pratica la fratellanza vera, senza salire sul pulpito, senza predicare parole vuote, senza tonaca e senza pregiudizi, con tanta fede e poche risorse materiali. Il rosario lo sgranava tutte le sere, da solo. Quando era con il gruppo cantavano insieme Preghiera in gennaio, soprattutto, e altre canzoni di De Andrè.

Era un uomo della e contro la Chiesa: un uomo di buona volontà.

                                                                                                                 ***

Quando erano entrati Da Michele, per pranzare tutti insieme, si erano seduti a uno dei due tavoli prenotati. Il cameriere aveva chiesto se stessero per arrivare anche gli altri.

«Arriveranno, arriveranno» aveva risposto don Elvio, che aveva già sentito il parroco del paese, per incontrare il gruppo che ospitava nelle poche stanze dell’oratorio.

Intanto aveva iniziato con le ordinazioni: pane, acqua e uno spicchio di formaggio pecorino Cuor di Berchidda, da dividere fra tutti i presenti. Poi aveva richiesto tredici menù fissi, sospesi, per gli ospiti che, prima o poi, sarebbero arrivati.

Poco dopo, Mary e Betta avevano osservato il tagliere con i tocchetti di formaggio tagliati sottili come ostie, poi si erano guardate con un’espressione perplessa. «Un altro dei vostri giochi?» avevano chiesto quasi all’unisono.

La risposta di don Elvio era stata, dapprima un sorriso muto, poi una frase che sembrava un’altra battuta di un film:«Lo facciamo per perdere peso».

«Per dimagrire? Non ci credo.»

«Si, in un certo senso, anche se nessuno di noi è in sovrappeso. Una volta al mese facciamo anche il digiuno. Diciamo che… lo facciamo per essere più leggeri… nell’anima.»

In quel momento il gruppo dei tredici, chiassosi e affamati, erano entrati nel locale, come un’orda di bambini scalmanati. Un miscuglio di voci e di linguaggi diversi: parole confuse, in italiano, straniere, e nel dialetto locale gallurese e catalano. Neri, bianchi e scuri abbronzati. Tutti diversi tra loro e tutti appartenenti allo stesso, variegato, genere umano. Il parroco che li accompagnava li aveva presentati come altri fratelli nati e vissuti sotto lo stesso cielo, nella stessa grande casa comune. L’antica dimora Gaia.

E Gigetto, dalla sua cattedra di professore mancato, aveva subito precisato, ripetendo a memoria la definizione che aveva letto su Wikipedia. «Nella mitologia greca, dea primordiale, quindi potenza divina della Terra.»

Uno dei gemelli, immediatamente, aveva commentato: «Da non confondere con  Villa Gaia: nome diffuso per alberghi, agriturismo e case vacanza, in varie parte dell’isola e della penisola».

E l’altro fratello aveva aggiunto: «Povera Terra, sarà pure Gaia, ma c’ha poco da stare allegra». «Gaia non piange e non grida – aveva replicato Betta – forse un giorno sorriderà, senza l’homo sapiens che l’ha ferita. Fine di tutte le guerre e pace all’anima nostra.»

«Bene, ragazzi, buon appetito e ricordatevi sempre – come dice Papa Francesco – di avere cura del creato con piccole azioni quotidiane.» aveva concluso il parroco.

E don Elvio: «Buon appetito, mangiate e… per ora… “dimentichiamo tutto con un amen”».

«Questo, dice Francesco?» aveva chiesto un giovane ragazzo del Senegal, appena arrivato, che sapeva già parlare l’italiano e molte altre lingue.

«Si… Francesco… Gabbani.»

(1) Le fate ignoranti

(2) Via col vento

(3) Forrest Gump

(4) Un pesce chiamato Wanda

(5) Il mio amico Arnold

(6) Bambi

(7) 8 e ½

(8) Ecce Bombo

(9) Ricomincio da tre

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Discussioni

  1. Non posso dire di condividere la stessa esperienza positiva con i rappresentanti della Chiesa, sebbene abbia una stima molto alta di Papa Francesco. Ma questa storia semplice e le descrizioni che contiene mi hanno emozionato.
    Brava, come sempre.

    1. Grazie Giancarlo e grazie per aver letto a ritroso la storia di Su’ e Gi’. Anche per me vale la stessa convinzione che i veri pastori di anime sono piu` rari delle tigri albine, come dice la Littizzetto.

  2. Bella e intrisa di tenerezza struggente questa storia. Veramente brava!
    P.S. il cristianesimo che più mi piace è proprio quello di Don Elvio, intriso di umanità, non di vuota dottrina. Grazie davvero per questo bel messaggio!

    1. Grazie, Grazia. Don Elvio e` stato un sacerdote – uno dei pochi. – che porto sempre nello scrigno dei bei ricordi di adolescente, soprattutto per un ritiro spirituale a Solanas (un alberghetto a picco sul mare gestito dalle suore), dove noi ragazzi trascorremmo i giorni piu` mistici e sereni della nostra tormentata adolescenza.

  3. Bel racconto, pieno di metafore e con una bella morale. Tutta l’atmosfera di generale allegria “malinconica” mi ha fatto pensare ad altri tempi, a una vita più semplice e tranquilla. Il pranzo finale sembra come uno dei classici pranzi in famiglia della domenica, o in qualche modo l’ultima cena. A presto!

    1. Hai ragione: ho cercato di rappresentare una delle tante possibili famiglie atipiche, variegate e unite tra loro da un legame di fratellanza di diverso sangue. Sarebbe bello se il genere umano si decidesse a vivere in questa sconfinata casa comune, sopra lo stesso suolo terrestre, in santa pace. Ma non mi faccio illusioni. E’ un’ utopia e tale restera`.
      Ciao, a presto, grazie.
      Un abbraccio.

  4. Ultimamente stai facendo un salto di qualità dietro l’altro, complimenti. Il gioco delle citazioni cinematografiche si presta bene all’attenzione del lettore e ti è ben riuscito. Poi ci metti dentro tanta roba: è bello il passaggio delle due donne, cittadine di paesi nemici tra loro, che si trovano unite nella tragedia. Ci metti preghiera IN gennaio tra le canzoni che la carovana canta, dando a chi ti legge la possibilità di cogliere il contrasto tra la mentalità clericale (per la quale il testo di De André sarebbe quasi una bestemmia) e questo prete “atipico”. Ci parli di “una grande casa comune”. Tutto questo lo fai senza incupire il racconto, che scorre leggero in un’aria festosa.

    1. Ciao Francesco, il tuo commento e` molto lusinghiero, le tue consideraziono sul testo molto azzeccate. Tu non ci crederai, ma sento la responsabilita` di comunicare messaggi positivi o almeno che non siano nocivi. In questo clima avvelenato, di guerre e conflitti d’ ogni genere, nel mio piccolo, vorrei trasmettere soprattutto messaggi di pace.

  5. Un brano che riflette sul senso della vita in varie sfumature, personalmente mi sono rivisto nella citazione 8 di Nanni, da romano. E’ un racconto che svela molto anche della nostra “Italianità” con un linguaggio internazionale, ci sono molti tratti distintivi del Racconto Nostrano ma messi in scena da un’Autrice che sembra inglese, non so come spiegarlo. Ho avvertito molto calore, ma anche in questo caso penso che le scene, sopratutto l’ultima, abbiano avuto bisogno di più respiro, le ho sentite un po’ strette nella “gabbia” della limitazione di parole. Credo che se spezzato e approfondito, possa dare di più.

    1. Ciao David, ti sono grata per le numerose considerazioni di questo tuo commento. In particolare per le ultime, in riferimento al finale, che mi danno la possibilita` di spiegare.
      Credo tu abbia ragione: sul finale ho tagliato corto per vari motivi. 1) lasciare sottintese alcune cose risapute; 2) limitare le descrizioni dei personaggi secondari; 3) dare risalto alla battuta secca dei due Francesco senza troppe parole. Il discorso comunque non si conclude qui. Spero di riuscire a portare avanti la storia con altri nove racconti almeno. E provero` a toccare ancora i temi che mi stanno a cuore, gia` sfiorati (all’ acqua di rose), anche in quest’ ultimo racconto. Sugli approfondinenti credo che ti deludero`. Mi basterebbe suscitare qualche sorriso e lanciare qualche piccolo input alla riflessione, con leggerezza, restando a pelo d’acqua, senza tuffarmi giu`.😉

  6. A questa bellissima avventura on the road si vanno aggiungendo personaggi colorati e commoventi che tu sai tratteggiare così bene senza bisogno di troppe pennellate. Ne ho sentito il vociare chiassoso e li ho visti entrare nel locale immaginandomi una folla di fedeli d’altri tempi a piedi verso la Messa della domenica mattina. Bravissima come sempre e sempre bello leggerti

    1. Grazie Cristiana. L’ avventura continua. Questo racconto segna l’ inizio della nuova stagione. Spero di riuscire a riportare a casa, sane e salve, le due protagoniste principali: Susi e Gi’; anche se – sarai d’ accordo con me – sono ingestibili.

    1. Io ne ho conosciuto due: uno era don Elvio, il parroco del mio paese, quando ero alle medie L’ altro e` stato il nostro insegnante di religione durante il liceo: una persona straordinaria, fuori dagli schemi. Nel racconto figura come don Tore Canna: un nome e un cognome non molto diversi dal suo.

  7. Posso partecipare? ‘Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di morire’ 🙂
    Suvvia Maria Luisa, hai dimenticato il pippone per eccellenza e adesso mi tocca rimediare!

    1. Ce ne sarebbero un’infinita`. Un’ altra frase memorabile anche quella pronunciata da Fantozzi per commentare il film “La corazzata Potemkin”. La sua affermazione, non so se ricordi, era una frase che non vorremmo leggere mai tra i commenti rivolti alle nostre storie.😘

    1. Neppure io seguivo mai questa serie televisiva; pero`, tra noi compagni di scuola e amici, scherzando, ripetevamo spesso questa frase. Per questo non l’ ho dimenticata.
      Ciao Kenjj, grazie.