
Animale domestico
Serie: Port-Royal
- Episodio 1: Animale domestico
STAGIONE 1
Quand’ero piccola mio padre mi chiamava Frank, come se fossi stata un maschio. Non mi ha mai spiegato il perché e io non gliel’ho mai chiesto. Mio padre rispondeva di rado alle domande. A mia madre, ad esempio, non ricordo che abbia mai risposto.
Il nome del nostro cane, invece, era Frack, e quando mio padre lo chiamava spesso mi presentavo io. Ma capitava anche il contrario e a volte succedeva addirittura che accorressimo tutti due.
Allora ci guardavamo, Frack e io, chiedendoci chi di noi aveva sbagliato.
Mio padre se ne usciva in una risata e a seconda di come gli girava faceva una carezza sulla testa a me o al cane o a nessuno dei due. Si divertiva, papà, con i suoi animali domestici.
Da quando aveva perso il lavoro trascorreva gran parte del tempo a tormentare quella zolla di terreno che c’era davanti alla nostra casa. Diceva che era “l’orto” e quand’ero piccola pensavo che fosse tutta una parola, come “morto”. Non ci cresceva un bel niente ma mio padre pareva non accorgersene affatto e lo guardava con orgoglio per minuti interi tenendo i pollici infilati nella cintura dei calzoni.
«Frank» mi diceva «portami la pompa» e innaffiava, innaffiava… non ho mai visto nemmeno un filo d’erba spuntare da quella coperta marrone, ma guai a dirlo.
Dopo qualche mese si trasformò in un pantano e comparvero le zanzare e una rana.
Gracidava tutta la notte e al mattino non c’era più. Mio padre usciva nel buio con la vanga in mano a darle la caccia.
«L’appiattisco come una moneta» urlava menando colpi a casaccio. Nel frattempo le zanzare banchettavano su di lui in grande allegria e quando tornava dentro passava il resto della notte a grattarsi.
Il sabato veniva a farci visita lo zio Gus. Appena arrivava, senza dargli nemmeno il tempo di levarsi il cappello, mio padre lo portava di forza a visitare l’orto tirandolo per un braccio. Dalla finestra della cucina, dove aiutavo la mamma a preparare il pranzo, lo vedevo fare grandi gesti con le braccia come Mosè in vista della terra promessa.
Zio Gus annuiva e quando tirava vento si teneva fermo il cappello con una mano.
Erano i soli momenti in cui io e mia madre potevamo farci quattro risate insieme senza timore.
«Ma guardalo!» diceva la mamma «non solo ha perso il lavoro, ma anche la testa.»
E quando tornavano dentro ringraziava con lo sguardo zio Gus, che le strizzava l’occhio e le metteva in mano qualche banconota di nascosto.
Mio fratello Robbi invece restava in camera nostra fin quando mia madre non diceva: «A tavola!»
Robbi aveva molta più paura di me di nostro padre. Non faceva ancora parte degli animali domestici, lui. Era in prova, per così dire. Era di tre anni più piccolo di me e certe volte avevo la sensazione che papà non si ricordasse che di figli ne aveva due. Non lo chiamava mai per nome. Non lo chiamava mai, in realtà. Quando gli capitava davanti aggrottava le sopracciglia quasi non sapesse chi era quello scricciolo magro e timido che gli girava per casa a occhi bassi.
Ogni tanto gli chiedeva: «Ma tu sei un uomo o cosa?» e gli prendeva il mento fra due dita a guardargli in bocca come ai cavalli.
Mia madre allora gli faceva segno di andare da lei; se lo metteva a sedere sulle ginocchia e gli raccontava qualcosa parlandogli all’orecchio.
Poi ci fu un giorno di cui ho un ricordo sfibrato. Mi era venuta da poco la prima mestruazione e sono sicura che mio padre se ne fosse accorto, forse aveva guardato nel cesto della biancheria o forse dall’odore.
Mia madre mi aveva sussurrato «Brava Franci, il peggio è arrivato e passato» e poi mi aveva dato un bacio.
Mi sembra che Robbi fosse affacciato alla finestra della nostra camera con i gomiti sul davanzale e che ci guardasse. Ma è come un ricamo sbiadito.
«Franck» strillò mio padre. Frak e io arrivammo insieme, ma era me che voleva.
Era estate piena, c’era il sole e mio padre era tutto sudato. Aveva in mano la roncola non so a che scopo.
Il cane scodinzolò due volte e poi corse via dietro a un ciuffo d’anemofila trascinato a mezz’aria dal vento.
«Vieni nella rimessa» disse mio padre.
Piantò la roncola nel terreno con un gesto rabbioso. Poi si avviò, e io dietro di lui.
La rimessa era una baracca di legno tutta storta che aveva costruito tempo prima accanto all’orto. Dentro non c’era nulla, solo una vecchia coperta da cavalli allargata sul pavimento di terra. Il sole gettava frustate di luce sul suolo grezzo attraverso le fessure fra le assi.
Mi prese lì, sulla coperta, nell’ombra incerta. E nell’affanno mi chiamò Franci, mi disse che ero una donna, adesso, e che ero sua.
Da quel giorno non pensai più a me stessa. Mi nascondevo nelle cose o dietro mia madre e fingevo di non esistere. Qualsiasi domanda mi facessi si piantava in me come una spina di rovo e mi faceva piangere. Non sapevo dare un nome a ciò che era accaduto. Non ero nemmeno sicura di sapere cosa fosse accaduto.
Robbi passava la maggior parte del tempo con le braccia conserte sul bordo della finestra e guardava sempre nello stesso punto.
Mio padre gli diceva: «Ma tu sei un uomo, sì? Sei sicuro?» e se lo trascinava nell’orto dove gli insetti furibondi ronzavano una litania maligna.
Le febbri cominciarono alla fine dell’estate. Mio zio Gus venne col dottore. Mio padre diventò giallo e poi bianco, i brividi e il sudore se lo mangiavano vivo.
Fu l’unico ad ammalarsi, mentre attorno il calore disseccava l’orto fino a ridurlo a poco più di una pozzanghera grigia.
Frack rimase accanto a mio padre fino all’ultimo, insieme a mia madre, da bravi animali domestici.
Quando morì, Robbi smise di guardare dalla finestra e accostò gli scuri: e un mondo intero rimase chiuso fuori.
Serie: Port-Royal
- Episodio 1: Animale domestico
Lo stile che hai scelto è molto bello, oltre ad essere efficace. Scarno e crudo come ciò che racconti. L’immagine del cane e della ragazzina che accorrono insieme è potentissima. Si guardano per capire chi è stato chiamato, e lo sguardo è umanonpou del richiamo del padrone.
“Qualsiasi domanda mi facessi si piantava in me come una spina di rovo e mi faceva piangere. “
Bellissimo.
Il modo diretto, quasi didascalico, che hai usato in questo racconto, rende, secondo me, l’argomento che hai scelto più “semplice” (ma forse il termine non è quello corretto) da assimilare.
Di solito io mi soffermo nella descrizione, anche dei piccoli dettagli e mi rendo conto che potrei sembrare a tratti ridondante, mi piacerebbe avere la tua capacità di descrivere e raccontare in modo così crudo ma mai fuori le righe.
Ma confido nel migliorare col tempo.
Bella lettura.
Complimenti 👏🏼
Complimenti, amo il modo in cui scrivi: le tue storie non sono mai noiose, le leggo tutte d’un fiato e mi emozionano sempre. Brava ❤
Ben scritto, crudo, senza retorica, anche, per ora, quasi senza condanna. Attendo sviluppi per conoscere le conseguenze su “Frank” sia della violenza domestica che della morte del padre padrone e, in egual misura, su Robbi e sulla madre, figura che, per ora, sfugge a qualsiasi considerazione.
È un bel brano, scritto con la cura necessaria per affrontare il tema proposto. Sono diversi gli aspetti che lo rendono intrigante, al di là dell’evento in sé, che come osserva Cristiana, passa quasi in sordina; l’ambiente che riesci a far respirare a chi legge attraverso all’ironia apparente del nomignolo e dell’assonanza col nome del cane o agli atteggiamenti della madre, nonché alla figura del fratellino, sono i veri cardini della storia. Davvero brava, mi è piaciuto molto.
E’ un piacere sbirciare tra i commenti e sapere che questa storia non finisce qui.
La tua scelta è ricaduta su una scrittura didascalica che sposa bene con la narrazione, come se le parole corressero dietro a un filo, mostrandoci di volta in volta le immagini.
Si sente fin dall’inizio che qualcosa sta per accadere e, forse, lo si immagina ma, in maniera naturale, la mente tenta di scostarlo con la mano.
Quando arrivi al climax, sei molto sbrigativa e credo che sia una scelta voluta e accurata. Sposti subito il campo visivo e ci mostri altro, come se l’evento fosse di pari peso rispetto a tutto il resto.
Mi è parso un racconto ben costruito, basato su una trama solida. Il passare del tempo è come se fosse racchiuso in una manciata di secondi.
L’immagine che più mi colpisce è quella del fratellino alla finestra e mi è sembrato come se fossi io a guardare ogni cosa attraverso i suoi occhi.
Sì, hai ragione, non mi soffermo più di tanto. Potrebbe essere un errore, non so. Il fatto è che la violenza fisica è solo una delle manifestazioni di uno stato di soggezione che investe l’esistenza nel suo complesso: credo sia questo il motivo della rapidità con cui viene raccontato quell’episodio.
L’argomento è difficile e credo che ogni scrittore abbia diritto e modo di trattarlo come la sua sensibilità gli suggerisce. Io ho personalmente apprezzato il tuo.
Il bello è che io conosco qualcuno che si fa chiamare Frank. Ma è un maschio
Ciao Francesca, mi piace molto la cura con cui scegli le parole, come prepari il terreno per ciò che verrà dopo. Nessun dettaglio è casuale, a partire da come la protagonista si definisce, un animale domestico, dal nome con cui viene chiamata dal padre (come se fosse un maschio) e dal modo in cui si nasconde e viene trattato suo fratello. È davvero un piacere leggere una tua storia.
L’aspetto peggiore del male è quello di nascondersi tra le pieghe del bene. La scena nella rimessa arriva come un fulmine a ciel sereno: chi sembrava un padre strano e distratto, ma a suo modo amorevole, era in realtà un mostro e nessuno lo sospettava; o forse la famiglia aveva sottovalutato la sua malattia mentale ed era anche lui una vittima. Un brano molto amaro, ma molto ben riuscito.
Doveva essere il primo episodio di una serie, ma purtroppo il sistema non mi dà modo di crearla. Pazienza.
È successo anche me, non c’era modo di agganciare un episoodio a una serie… poi sono riuscito, ma non saprei dirti come… credo a furia di provare a selezionare il titolo della serie che il software aveva memorizzato. Il problema è che ogni volta che non funzionava e pubblicavo come storia singola, dopo la cancellazione, dovevo poi attendere i “tempi tecnici” per un nuovo tentativo. Quando ho visto comparire e scomparire la tua pubblicazione, mi son detto: la mia stessa situazione!