
Attento l’amore uccide
– Attento, l’amore uccide!
Davvero, solo l’amore? Ed io che credevo fosse un mercato monopolizzato dalle persone.
Eccolo qui il tuo cane che viene dall’inferno.
Ringhia, sbava e puzza di bagnato.
Il muso a me pare quello di un uomo; hanno catturato Homer Lee Jackson, il serial killer delle puttane degli anni ottanta.
È su tutti i giornali. Ha vissuto la vita da libero, si prepara a morire da vecchio.
Perché ci avete messo tanto a catturarlo?
Mentre pensavo tutto ciò, intrattenevo uno scambio di pensieri con lei. Ne sapeva quanto me sull’amore e anche sull’inferno.
Le mandai una foto d’istinto della mia faccia nascosta dietro un pezzo di carta. Uno di quei fogli che si conservano per poi usarli un giorno per prendere appunti durante una telefonata o per nascondere la faccia.
– Che belli i tuoi capelli, sembrano confondersi con la chioma dell’albero.
– Io sono un albero.
– Io sono un ramo.
Era vero, facevamo parte dello stesso mondo, fatto di pensieri, parole e idee. Alcune giuste, altre sbagliate.
Ma almeno guardavamo in alto, dove non si vedevano i cani e gli altri esseri umani, in fondo quelli li conoscevamo bene.
Lei aveva un’agenzia di viaggi tutta sua.
– E così è questo che pensi della scrittura, che sia un agenzia di viaggi?
Forse aveva ragione. Ore davanti allo schermo senza sapere cose scrivere. Ed eccoti qui. Bella, intrappolata e spappolata dentro una storia: la mia.
Le dissi che leggevo in assurde posizioni di yoga.
– Cosa leggi?
– Ero indeciso tra Celine e Kerouac, alla fine ho scelto Bukowski.
Le scelte ricadono sempre sui migliori.
– Non ho mai letto nulla di suo.
Le mando parte di ciò che avevo davanti agli occhi.
– Perfetto.
– Perfetto.
La pensavamo allo stesso modo, niente cose raffinate, a noi la realtà piaceva così com’era. Sporca.
– Che cosa fai?
– Sono in un bar, fingo di essere un ubriacone.
– Come ti chiami?
– Hemingway.
– Sul serio?
– Sì.
– Quell’Hemingway?
– Sì, tanto nei bar nessuno conosce il suo aspetto.
– Sanno ch’era un uomo però.
– Posso alterare la mia voce da bambina e fingermi un uomo vecchio e perverso, così sembrerò uno di lo-ro e allora mi accetteranno. Accetteranno qualunque cosa. Potrei essere la regina Elisabetta per quanto ne sanno.
Non riuscivo a scrivere, eppure riuscivo a ricordare come avevo iniziato. Non avevo abbastanza soldi per comprare libri, così avevo iniziato a scriverli.
– Una volta sono stato in piedi sopra un tronco spezzato, sembrava avessero violentato le sue radici, me ne stavo lì ad aspettare, ma non è successo nulla.
– Io sono uscita di notte sotto la pioggia per trovare un po’ d’ispirazione. Le città si svuotano di notte, come se le persone non sapessero che esiste un mondo anche dopo il tramonto.
– E ha funzionato?
– Sì, solo che non avevo fogli con me per scrivere. La pioggia era bella, però.
– Diventeremo grandi scrittori un giorno e ci faremo una grande scopata.
– Forse diventeremo grandi scrittori un giorno e forse ci faremo una grande scopata.
Sentivo il mio ego trasformarsi lentamente in liquido. Il sangue veniva attirato dalla gravità e per qualche motivo si fermava all’altezza del bacino. Restava lì, più o meno alla fine di un inferno e l’inizio di quello successivo.
All’inferno si accede con le mani insanguinate, distrutte e sporche di fango. Sentivo le ossa delle mani fracassate… Non è mai una buona idea prendere a pugni una parete, ma ero abituato ad agire seguendo l’istinto, e la rabbia porta spesso a scelte sbagliate e prive di alcun senso logico. Non potevo immaginare che sarebbe crollato l’intero edificio, e anche lei sarebbe caduta. L’avrei trovata tra le macerie, avrei riconosciuto i suoi piedi stanchi e le ginocchia sbucciate. Ero un povero diavolo, avrei rinunciato alla mia umanità, per salvarle la vita.
– Cosa devo fare?
– Stringi la mia mano.
– E ora che succede?
– Ora si scende, stropicciati gli occhi, all’inferno fa caldo.
I diavoli non si fanno pregare, arrivano subito quando sentono odore di un buon affare.
La pelle bruciava, la mia faccia si stava sciogliendo come lo smalto che portava sotto al sole. Le ho ridato la vita abbracciando la morte, ed ora restavo un povero diavolo, sudato.
Ero morto come uomo. Ero vivo come scrittore. All’inferno ci ero stato.
– Ieri mettendo la legna nella stufa mi sono bruciata un dito e la pelle si è staccata.
– Non dev’essere stato molto piacevole.
– Non sono sicura di capire cosa intendi quando parli dell’inferno.
– Intendo che l’inferno è la fuori; se non si sta attenti ci si brucia.
E mentre continuavo a sudare lei mi parlava del suicidio.
– Che brutto il suicidio, io ho paura del dolore, sai, una volta al mese, se sei donna hai a che fare col sangue, in qualche modo non hai scelta.
Boom. Spalsh. Troppo brutale?
Ho sempre saputo che le donne e l’atomica sono le armi più potenti al mondo. Lei non sembrava così pericolosa.
– Se sei un uomo hai un’erezione al giorno.
– Eruzione o erezione?
– E dov’è sta la differenza?
– In uno ti svuoti, nell’altro ti prepari.
Le case in cui vivevo diventavano sempre più piccole. Fino a ridursi a delle stanze. Avevo intorno a me solo l’essenziale. Avevo un sacco di carta: per metà scritta e per metà bianca.
Eravamo ciò che avevamo creato. Non eravamo mai in un luogo preciso, eravamo le nostre storie: noi. Non dentro ad esse, ma esse stesse. Così ci distinguevamo dal resto dell’umanità, quella sporca: fatta di allevamenti umani che lavoravano nelle aziende, nelle fabbriche, nelle agenzie di viaggi e nelle gelaterie.
Noi eravamo tutto questo. Eravamo aziende, fabbriche, agenzie di viaggi e gelaterie. Forse anche di più. Divertente la vita quando sei uno scrittore. Se manca qualcosa puoi sempre inventarla.
– Penso ci sia appena stato un terremoto.
– Dove?
– Da me, il secondo questo mese.
Il mondo tremava ogni giorno, l’umanità era solo troppo pigra o poco attenta per accorgersene.
A volte sentivo la terra tremare sotto i miei piedi. Ho letto pochissimo sull’odio, i poeti tendono a scrivere sull’amore… dev’essere più semplice. Tremavo ogni volta che lo vedevo intrappolato nel suo sguardo. Speravo si smarrisse. Buio.
Aveva il sole nella sua stanza. Un cartello stradale, ma al buio con la luce sembrava un sole. Curioso co-me anche al buio alla fine, con un po’ di luce, un cartello stradale rubato o trovato abbandonato chissà dove, potesse sembrare un sole. Forse, al buio vediamo ciò che abbiamo bisogno di vedere.
Le chiesi se il suo corpo nudo al buio rifletteva la luce. Avevo voglia. Di confondermi al buio con lei tra i cartelli stradali.
– E’ un divieto di sosta, non puoi sostare.
– E chi vuole stare fermo, pensavo ad un traffico intenso, con un transito continuo.
– Qui da me è stretto, non si può trafficare molto.
– Basterà poco, movimenti leggeri. Semplici. Sporchi. Di corpi che sconfinano.
– E poi?
– Tramano e tremano.
– Cosa tramano? Spero non altri terremoti.
– Di conquistare il mondo.
– Come si conquista il mondo?
Mi faceva domande alle quali anche io non avevo risposte precise, ma non potevo mostrarmi impreparato.
Così mi sforzavo di trovare una soluzione alla conquista del mondo; le dissi che il mondo si conquistava facendo le cose al buio, che un po’ in fondo era vero. Non mi veniva altro in mente.
– E il mondo come fa a sapere di essere stato conquistato?
– Non importa, al mondo non serve sapere chi è il suo padrone, non smette di girare.
– Allora che senso ha essere i padroni del mondo?
– Che al buio puoi fare ciò che vuoi.
Il mondo non sapeva scrivere, ma inseguiva il sole. Poi regalava il buio. Potevano farci di tutto al buio, anche le facce buffe.
Viviamo in un mondo in cui nessuno vuole sentirsi dire la verità. Perché la realtà è molto diversa, quasi crudele, non concede a tutti gentilezza disinteressata.
E quando ti viene fatto notare che è tutto falso, allora ti brucia il culo. E’ un po’ come andare con una troia e poi scoprire mentre vai a pisciare che ti brucia il cazzo perché ti sei preso lo scolo. Puoi anche raggiungere i tuoi amici e passare una serata a vantarti di essere stato con una modella bellissima, ma la realtà è molto diversa. E tu e il tuo cazzo lo sapete bene. Solo che resterà tra voi due soltanto.
E puoi stare certo che nessuno ti dirà mai di stare attento che l’amore uccide. Nessun avvertimento. Ti ritroverai solo, con le tue menzogne e le tue verità, seduto al bancone di un bar fingendo di essere un grande scrittore. Ma la realtà che nessuno verrà a dirti è che di Hemingway ne esiste uno soltanto, e quando ha finito di scrivere tutto ciò che aveva dire anche lui si è sparato un colpo in testa.
Anni dopo il suo vecchio stava per morire, era incastrata in una relazione morbosa e faceva fatica a vedere i suoi amici perché era sempre a fare cose.
La luna splendeva violentemente, la guardava tutte le notti, doveva ricominciare tutto da capo e non sapeva nemmeno a che punto era arrivata.
Sembrava tutto perfetto. Aveva sempre odiato il suo vecchio, le relazioni durano finché durano gli orgasmi e il cielo è ancora la cosa meno crudele da guardare su questa terra.
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Questo racconto è una bomba. Scrittura tagliente, diretta, ruvida. Mi piace molto l’accostamento a Hemingway, non servono neppure le descrizioni quando paragoni qualcuno a Hemingway. Ecco l’uomo con il fucile da caccia, l’uomo che va a pesca, che fuma un sigaro, che si sbronza in qualche locale insieme agli amici e donne, of course. Il tuo è un personaggio che ha una certa “statura”, perciò trovo l’accostamento calzante. La ragazza gli tiene testa, anche lei è una che ha parecchie cicatrici e non si sottrae al gioco. Dialoghi da leggere e rileggere. Molto bravo, complimenti.
Ciao Jake, la tua scrittura brutale e tagliente non è un bicchiere facile da sorseggiare, non è un vino, è piuttosto un super alcolico da tracannare di colpo, con una leggera smorfia. Chissà perché è bello sentire che brucia nello stomaco ed è bello aspettare che arrivi alla testa.
Quanta poesia. Stupendo.