ATTRAVERSARE IL DESERTO

Serie: SENZA PELLE


La parabola di Sandro, brillante uomo di successo della Milano "da bere", dagli anni d'oro della notorietà al declino economico e morale.

Nell’atrio una donna in divisa bianca gli si avvicinò spingendo davanti a sé una sedia a rotelle.

“Buongiorno, si accomodi pure!” gli disse gioviale la donna.

Sandro ebbe una reazione istintiva che lo fece indietreggiare deciso.

“Non ne ho bisogno, grazie. Per fortuna cammino ancora sulle mie gambe!” disse risoluto e un po’ seccato.

Per chi lo avevano preso? Per un vecchio rincoglionito? Sandro fu preso da un brutto presentimento.

La camera al terzo piano dove fu accompagnato era una doppia. Il suo compagno occupava il letto vicino alla porta d’ingresso, a lui fu riservato il posto di fianco alla finestra. Ne fu contento. La vista si apriva a perdita d’occhio su una distesa monotona di campi delimitata all’orizzonte da filari di alberi allineati. Un velo di foschia avvolgeva ogni cosa.

Salutò Mirco, dandogli appuntamento da lì a due, tre giorni al massimo, accertandosi con l’infermiera di turno che avesse lasciato il suo recapito per avvisarlo, non appena avesse finito la serie di accertamenti programmati, di andare a prenderlo per riportarlo a casa.

Il suo vicino di stanza era un giovane di circa trent’anni dai capelli folti e scuri. Stava seduto sul letto tenendo fra le mani i lembi del lenzuolo e dondolando ritmicamente.

“Buongiorno, io sono Sandro”

L’uomo non solo non gli rispose, ma non lo degnò neppure di uno sguardo. Continuava a dondolarsi mentre fissava un punto invisibile sul pavimento.

“Forza Tommaso, dobbiamo scendere per la ginnastica!”. Un’infermiera robusta e dallo sguardo buono si era avvicinata al giovane e lo aveva preso da sotto le ascelle per farlo scendere dal letto e metterlo in piedi. Poco dopo, entrò nella camera un’inserviente con la divisa blu e una carrozzella che spingeva con svogliatezza.

“Soffre di autismo. È impossibile comunicare con lui”. L’infermiera dallo sguardo buono si era rivolta a Sandro, avendo colto sul suo viso un’espressione interrogativa.

Sandro pensò di essere capitato nella stanza sbagliata, col compagno sbagliato. Questo pensava: che si era trattato di uno sbaglio, che la sua presenza in quel posto fosse inappropriata.

Si ripropose di parlare quanto prima con un responsabile.

Dopo che le due donne furono uscite con il suo compagno di camera, si affacciò sull’uscio della stanza. Il corridoio era vuoto e rimbombava di suoni e rumori attutiti come se provenissero da lontano.

Provò a fare qualche passo. Si accostò al davanzale di una finestra che dava su un cortile interno adibito ad area di parcheggio e isola ecologica. Non vide anima viva. I rumori che sentiva di sottofondo non provenivano da lì. Sembrava un brontolio indecifrabile, come il suono lamellare di un disco rotto. Avanzò lungo le pareti bianche e si avvicinò alla porta socchiusa di una stanza in fondo al corridoio. Intravide un letto vuoto, indovinava la presenza di qualcuno dall’ombra proiettata sul pavimento di fianco al letto. Si spostò per vedere meglio e vide un uomo seduto sulla sedia. Aveva le gambe legate. Emetteva uno strano singulto che di umano non aveva quasi più nulla. Sandro si ritrasse di scatto. Si affrettò a tornare in camera sua. Che diamine di posto era quello? Chi aveva deciso di portarlo lì dentro?

Il giorno dopo il suo arrivo nella struttura, Sandro chiamò Elisa al telefono. Le apparve subito agitato, la voce sembrava contraffatta da una specie di tremolio.

“Tu sai perché mi hanno portato qui? Dimmi la verità Elisa…”

Elisa era rimasta in silenzio, si era preparata a quella domanda, ma non ricordava più la risposta che avrebbe dovuto dare. Di colpo scordò tutti i propositi che aveva realizzato da giorni. Ricordò invece che dall’altra parte del ricevitore c’era lo stesso uomo che per lei aveva passato notti in bianco, seduto ai piedi del suo letto, intento a leggere le terzine della Divina Commedia con tutta l’enfasi di cui era stato capace. Lo aveva fatto per due mesi, tutte le notti, dopo la morte di Giulio, suo marito. Tutte le notti e per tutto il tempo necessario a conciliarle qualche ora di sonno, a smorzarle la disperazione, a colmarle un po’ di quel vuoto nel quale la sua vita era precipitata.

Ora si trattava di sostenere lui. Avrebbe dovuto dirgli la verità? Dirgli, senza mezze parole, che sua figlia aveva scelto per lui? Che quella donna gli avrebbe sottratto la libertà e che nell’ultimo tratto di strada avrebbe scelto lei la direzione? O sarebbe stato meglio fingere, tenergliela nascosta la verità?

“Io so quello che ti hanno detto gli assistenti sociali. Ti tratteranno il tempo necessario per farti alcuni accertamenti. Stai tranquillo Sandro, vedrai che presto tornerai a casa”, dopo aver proferito quelle parole, Elisa si sorprese di averlo fatto davvero. Di avergli mentito, di avere tradito la sua fiducia.

“Mah, sarà. Tu non sai che posto è questo, Elisa. Qui ci sono dei matti. Io sto in camera con un ragazzo che non parla e fissa nel vuoto tutto il tempo. Non so per quanto tempo potrò sopportare di stare qua dentro”

“Qualche giorno, Sandro. Solo qualche giorno, tranquillo!”

Alle sue spalle sentiva i passi di qualcuno che si avvicinava sempre di più.

“Bene, Sandro. Adesso chiudi la chiamata che ti aspettano i tuoi compagni in salone…”

L’infermiere – l’unico uomo che lavorava in quella struttura – era venuto a prenderlo. Era un uomo tarchiato, sulla cinquantina, con un sorriso gioviale e la divisa raggrinzita sull’addome. Sulla fronte una piccola cicatrice verticale gli tagliava in due una ruga profonda.

“Ti devo salutare Elisa, ci sentiamo”

Ebbe appena il tempo di chiudere la chiamata, che l’uomo gli sfilò il cellulare dalle mani.

“Questo lo mettiamo qui”, disse riponendo l’apparecchio nel cassetto del comodino.

“Prego, accomodati!”, l’uomo lo invitò, infine, a sedersi sulla carrozzella.

Sandro non ebbe voglia di obiettare che sarebbe riuscito benissimo a muoversi sulle proprie gambe.

Quella giornata era cominciata male. La mattina si era svegliato a fatica e con un cerchio alla testa. Si sentiva stordito, come dopo una sbronza. Quella sensazione non gli piacque neanche un po’. L’unica cosa positiva, pensò, era il fatto che aveva dormito a lungo, per tutta la notte, una tirata sola, senza svegliarsi mai. Era una sensazione che non ricordava più da anni. Da quando aveva perso tutto, il lavoro, la casa, la famiglia, la sua vita si era adombrata di un fumo nero e il mondo di colpo gli era apparso incenerito. Le ore della notte erano diventate lente e interminabili e quando all’alba riusciva, per stanchezza, ad addormentarsi, faceva sempre lo stesso sogno, sempre quello: una figura scura, segaligna, che non riusciva a fare che qualche passo in avanti, impantanata com’era in una poltiglia scura di detriti. Si trattava di lui? Non poteva dirlo con precisione, ma sentiva che il fiato gli diventava corto e l’affanno gli procurava una fitta al petto e con quel dolore acuto si svegliava ogni volta, in un bagno di sudore.

***

Leyla era cambiata nel tempo. Di lei Sandro aveva amato la voglia di vivere, l’entusiasmo che si accendeva nei suoi occhi di fronte alle sorprese che lui le preparava. Cene in ristoranti di lusso, regali costosi e l’automobile dei suoi sogni che le fece trovare parcheggiata sotto casa, il giorno del suo quarantesimo compleanno. A guardarla, in quei momenti, si aveva l’impressione di carpire lo stesso baluginio di stupore e meraviglia che emanano gli occhi dei bambini di fronte allo spettacolo della vita. Di giorno in giorno, quella luce era andata affievolendosi, fino a trasformarsi in un guizzo beffardo di fronte al quale Sandro perdeva la sua proverbiale sicurezza e si sentiva indifeso, come un pulcino bagnato.

“Tu mi ami, Leyla?”, le chiedeva sempre più spesso, da quando si era accorto che sua moglie aveva smesso di cercarlo la sera nel letto, o di concedersi ai suoi tentativi di approccio.

“Certo, Sandro! Che domande!”. Lei lo rassicurava e gli prendeva la mano per baciarla e portarsela alla guancia.

In quei rari momenti di tenerezza sentiva di amarla ancora di più di quanto avrebbe voluto, perché percepiva che la crepa che si era aperta fra di loro non aveva la natura degli strappi che si possono ricucire, la sua origine era profonda, nasceva dalla distanza che si crea fra le cose che non sono nate per stare vicine. Così è per l’acqua e il fuoco, la terra e il cielo, l’amore disinteressato e l’opportunismo celato. Per molti anni Sandro rimase convinto dell’amore di Leyla e mai, neppure una volta, ne aveva dubitato. Ma quando la prospettiva di dover fare delle rinunce per salvaguardare una situazione economica che rischiava di precipitare si presentò nelle loro vite, Leyla aveva cominciato a manifestare un certo livore nei confronti di suo marito che si traduceva in gesti freddi e a tratti sgarbati, in silenzi ostinati che ferivano come lame acuminate.

Serie: SENZA PELLE


Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

    1. Sembra un film, mi ha colpito, emozionanti le scene di dialogo, dove dal dibattito emergono nodi e passioni repressi, che spero possano trovare armonioso sfogo nelle puntate successive