B come Bugie

Serie: Abbecedario sentimentale


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Bugie

Non ci fu premeditazione. Né istinto di protezione. Mentii per debolezza. 

Un’esitazione, un tremore interiore che si mascherava dietro frasi ben articolate. Non ero pronto a perdere quello che avevo. Né abbastanza onesto per lasciarlo andare.

La prima volta fu un dettaglio. Lei mi domandò dove fossi stato, e risposi con una località generica, un nome qualsiasi. Avrei potuto dire la verità. Sarebbe bastato poco. Invece usai parole facili, morbide, quasi affettuose. Una menzogna appena velata, talmente sottile da sembrare una forma di cura. In realtà, era il principio del logoramento.

Il giorno dopo, non accadde nulla. Nessuna conseguenza. Nessuna domanda. Solo il suo sguardo che cercava il mio, per una frazione di secondo più a lungo del solito. Era già accaduto qualcosa, e io lo sapevo.

Non confessai. Ero certo che avrebbe fatto più male la verità di quella piccola costruzione fittizia che avevo creato. Mi dissi che mentire era una forma di amore. Una gentilezza scomoda, ma necessaria.

Poi vennero le altre. Bugie più articolate, costruite con attenzione, sorrette da una memoria allenata a ricordare date, orari, nomi. Non ci fu mai un tradimento fisico. Ma tradire non richiede per forza un letto. Basta sottrarre presenza. Tradire significa smettere di esserci, anche quando il corpo resta.

Lei continuava a parlarmi. Condivideva piccoli dettagli della giornata, frammenti di realtà che non pretendevano risposte, solo ascolto. Io annuivo, sorridevo. In apparenza ero lì, attento, partecipe. Dentro, invece, qualcosa si ritraeva. Ogni parola non detta scavava una distanza. Ogni silenzio costruiva un altro piano della casa dove abitavamo, uno in cui lei non poteva entrare.

A volte la osservavo dormire. Il volto disteso, la bocca leggermente dischiusa, le mani raccolte accanto al viso. Pensavo che avrei dovuto dirle tutto. Dirle che ero stanco, che non sapevo più se la amavo davvero. Che mi mancava l’aria, e che ogni carezza era un gesto imparato, non un impulso. Ma restavo immobile. Era più semplice restare che spiegare.

Una sera, in cucina, mi chiese se fossi felice. Il tono era casuale, quasi distratto. Io risposi di sì, senza neanche riflettere. Era una menzogna che mi scivolava addosso da tanto tempo da non sentire più il peso. Lei si limitò ad annuire. Forse aveva capito. Forse non voleva sapere. Esistono verità che si scelgono di ignorare per non smettere di respirare.

Non litigavamo. Non c’erano porte sbattute, né urla. Solo silenzi ordinati. Il nostro rapporto era diventato un meccanismo preciso, fatto di gesti ripetuti, frasi rituali, appuntamenti puntuali. Ogni giorno che passava aggiungeva uno strato di formalità tra noi. Mantenere l’illusione di una relazione viva richiede uno sforzo costante. E io, quel compito, lo svolgevo con disciplina.

Quando mi accorgevo del suo dolore — quel dolore muto che traspare da certi movimenti più lenti, da una luce diversa negli occhi — provavo un senso di colpa vago, ma non abbastanza forte da spingermi alla verità. Mentire era diventato il mio modo di sopravvivere. Mi illudevo di proteggerla, quando in realtà stavo proteggendo me stesso dal giudizio, dall’abbandono, dalla responsabilità.

Un giorno, trovai una sua lettera. Non indirizzata a me, ma lasciata con cura dentro un libro. Non firmata. Parlava di stanchezza, di mancanze, di notti piene di domande che non osavano uscire dalla bocca. Parlava di me. Delle mie assenze, delle mie parole educate, del mio sguardo distratto. La lessi tutta d’un fiato. Poi la rimisi al suo posto.

Non ne parlammo mai. Lei sapeva che l’avevo letta. Io sapevo che lei sapeva. Ma restammo in silenzio. In quel silenzio c’era tutta la verità che nessuno dei due aveva il coraggio di pronunciare.

La bugia non è mai un gesto isolato. È un processo. Inizia per proteggere, poi per nascondere, infine per abitudine. Alla fine, menti anche quando non serve. Anche quando nessuno te lo chiede. E ti convinci che è meglio così.

Da fuori, eravamo la coppia perfetta. Nessuno avrebbe potuto intuire il vuoto che cresceva tra le nostre parole. Alle cene, ci passavamo il pane sorridendo. Nei compleanni, ci scambiavamo regali scelti con cura. Nessuno avrebbe saputo riconoscere la finzione. Neanche noi, a volte.

Ma dentro, lo sentivo. Il mio cuore non batteva più al ritmo del suo. Era diventato un organo separato, impegnato a sostenere una vita parallela fatta di doveri e omissioni.

Lei si accorse. Iniziò a chiudere le porte con più forza. A dormire voltata dall’altra parte. A toccarmi solo per abitudine. E io, anziché fermarmi, rilanciai. Altre bugie, più raffinate. Un viaggio di lavoro mai fatto. Una chiamata che non arrivò mai. Una mail lasciata a metà per fingere fretta. Diventai esperto nel dissimulare. E mi odiavo per questo.

Ma non smettevo.

Una notte, tornando tardi, la trovai sveglia. Non mi chiese nulla. Prese la tazza dal tavolo, si sedette e iniziò a leggere. Io restai in piedi. Il silenzio era diventato troppo pesante per essere ignorato. Feci per parlare, ma non trovai nulla da dire. Ero stanco. Ero esausto.

Quella notte, per la prima volta, la guardai davvero. Non era più la donna che avevo scelto, ma quella che avevo perso a poco a poco, senza accorgermene. E il dolore che lessi nel suo viso era l’unica verità che avessimo condiviso da mesi.

Non confessai nemmeno allora.

Non ne fui capace.

Lei non fece scenate. Non mi accusò. Continuò la sua lettura, poi si alzò e andò a dormire. E io restai a fissare la finestra, aspettando l’alba.

Ora scrivo. Perché non ho più nulla da perdere. Perché ho scoperto che le parole scritte sono le uniche che riesco a dire fino in fondo.

Non cerco perdono. Né assoluzione. Ma se qualcuno dovesse chiedermi qual è stato il mio crimine, non parlerei di tradimenti o abbandoni. Direi: ho mentito.

Non una volta. Non per errore.

Per paura.

E quella paura mi ha rubato tutto.

Anche lei.

Anche me.

Serie: Abbecedario sentimentale


Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Veramente notevole. Hai descritto perfettamente il meccanismo del mentire. Si inizia con nulla, si viene risucchiati. La sensazione di crederci noi per primi, attori che si scrivono il copione finto da soli.

  2. Un racconto amaro, profondo e graffiante, per chi, leggendo, si senta in parte, o esattamente come lei, o come lui.
    Una storia d’amore che muore, antica e attuale, di debolezze e fragilità umane, così ben
    scritta da sembrare nuova.