Babau

Serie: L'angoscia e l'ignoto


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Credete sia solo una parola per tranquillizzare i bambini irrequieti? Siete tra coloro che la nominano invano, per gioco o per minaccia? Ascoltatemi, ragazzi. Ascoltatemi.

La prima volta che sperimentai il terrore avevo otto anni. Un brutto sogno, mi aveva rassicurato mio padre. Ma non riuscì mai a convincermi del tutto. Anche perché ebbe poco tempo.

Era l’epoca dei quotidiani, quelli con le pagine grandi, che a me allora sembravano immense. Mio padre seduto sulla poltrona in sala era concentrato nella lettura del giornale, mia madre canticchiava in cucina.

«Papà?» lo chiamai. O almeno era quello che credevo di aver fatto. Dalla mia bocca in realtà non venne fuori alcun suono. Le mie labbra si muovevano di continuo, ma le corde vocali non si animavano di alcuna vibrazione. Provai ad andare verso mio padre, ma mi resi conto con terrore che le gambe erano immobili, ignoranti ad ogni mio comando. Le mie braccia cascavano lungo i fianchi, inerti; facevo fatica a tenere la testa eretta: se la inclino a destra o a sinistra mi torna perfettamente in mente quel movimento orripilante che il collo e il capo ripetevano di continuo per tentare di ottenere una stabilità che non avevo mai pensato di dover cercare scientemente.

E udii per la prima volta quella voce.

«Stai attento» cantilenò. «Il babau è qui, il babau prende, il babau porta via.»

Intorno a me era tutto immobile, non un rumore, un minimo accenno di vita. Solo le mie labbra continuavano a balbettare mute tentando di pronunciare quella richiesta di aiuto, inutilmente.

Di colpo smisi di pensare, di percepire ciò che mi stava intorno, come se il pensiero e gli organi di senso venissero occultati da una coltre biancastra prima, poi grigia, poi nera. Mi risvegliai disteso sul divano, mia madre e mio padre chini su di me. Sentivo la fronte fredda e bagnata dalle pezze che mia madre premurosamente applicava per farmi riprendere i sensi. Con orrore e estrema umiliazione percepii di essere bagnato anche tra le gambe.

Dei giorni successivi ricordo poco. La paura sì, quella la ricordo bene. Avevo difficoltà a dormire al buio nella mia camera, da solo. Più di una volta avevo chiesto a mio padre di controllare l’armadio e guardare sotto il mio letto. Ricordo anche le visite mediche, la preoccupazione di mia madre e mio padre, il sollievo quando dissero loro che di sicuro si era trattato solo di un episodio sporadico che difficilmente si sarebbe ripetuto.

Ricordo il discorso “da grande” che mi aveva fatto mio padre quando una sera era venuto in camera mia per augurarmi la buona notte, come al solito. Anche quella sera gli avevo chiesto di controllare l’armadio e guardare sotto il letto.

«Devi dimenticare quel brutto sogno» disse guardandomi negli occhi. «Anche i dottori hanno detto che è stato un sogno. Sai cosa significa?»

Lo guardai senza rispondere.

«Vuol dire che sarai sempre qui a fare incazz… arrabbiare la mamma e me.»

Non potei fare a meno di ridere per quel finto errore: lui sapeva che mi faceva ridere, io sapevo che lui voleva che io ridessi. Ma quella risata era sincera.

«Giusto, campione?» concluse» mio padre ridendo a sua volta e scompigliandomi i capelli.

Giusto.

Infatti non fui io ad andarmene meno di una settimana dopo. Fu lui.

Udii ancora quella voce, quella cantilena. La udii altre due volte… fino a ieri. Ieri l’ho sentita di nuovo.

Avevo sedici anni quando mia madre morì. Ero in classe quando fui chiamato in presidenza. Ad attendermi c’erano la sorella di mia madre e suo marito. Mia zia aveva gli occhi rossi. Ricordo la forte pacca sulle spalle che mi diede mio zio, seguita da un abbraccio sincero. Non aveva trovato altro modo per comunicare con me in quel momento così difficile.

Succede, è sufficientemente normale… Chiamatela sfiga, chiamatelo fato se volete essere più poetici. Non era normale, invece, il sogno. Era tornato due notti prima: le stesse parole, la stessa voce cantilenante, quasi musicale.

«Stai attento. Il babau è qui, il babau prende, il babau porta via.»

Trascorsi gli ultimi anni della mia adolescenza a casa dei miei zii. L’aspetto positivo di tutto questo (bisogna sempre trovare un aspetto positivo, in ogni cosa) era che avevo acquisito un fratello e una sorella. Proseguii gli studi e mi laureai in ingegneria con una votazione che mi permise di scegliere la mia vita futura.

La terza volta che lo incontrai ero fermo in un’area di sosta lungo l’autostrada e fu questo a salvarmi. Persi il controllo di ogni muscolo del mio corpo, il velo opaco che ricordavo dall’infanzia, quello biancastro, grigio e infine nero, si ripresentò come allora. Mi ripresi da solo questa volta, ma solo Dio sa quanto avrei voluto il conforto di mio padre e mia madre…

La cantilena risuonava nella mia mente, ininterrotta.

«Stai attento. Il babau è qui, il babau prende, il babau porta via.»

Telefonai subito. Rispose la voce spenta e stanca di mio zio. Non fu necessario parlare.

Il tempo risolve molti problemi, dicono. Cancella i brutti ricordi, o almeno una parte di essi. Non pensai più a quella voce per molti anni, fino a ieri, come vi avevo detto. Ieri sera, se vogliamo essere precisi. Entro come ogni sera nella camera di mia figlia per controllare che sia tutto a posto. Mia moglie sta guardando un film in tv.

«Papà?»

«Non dormi ancora?»

«Non riesco a dormire.»

«Cosa succede, piccola?»

«Ho paura del buio.»

«Ma… non hai mai avuto paura…»

«Papà… per favore: apri l’armadio?»

Il mio cuore salta un battito. E di colpo mi torna alla mente l’oscena cantilena: «Stai attenta. Il babau è qui, il babau prende, il babau porta via.»

Solo una minima differenza, quasi non si nota. E quella piccola creatura rannicchiata sotto le coperte mi guarda con gli occhi spalancati.

«Chi ti ha insegnato questa filastrocca?» le chiedo senza nascondere il mio terrore.

«Nessuno, papà! Mi è venuta in mente…» risponde lei con un filo di voce.

«Papà?» Mi cerca con lo sguardo.

«Dimmi…» Mi avvicino e le accarezzo i capelli. Avverto una lama gelida lungo la schiena.

«Cos’è il babau?» mi chiede continuando a fissarmi con gli occhi spaventati.

«Niente, piccola. È solo un brutto sogno.»

Serie: L'angoscia e l'ignoto


Avete messo Mi Piace4 apprezzamentiPubblicato in Horror

Discussioni

  1. Agghiacciante il finale. Mi è piaciuto molto come lasci intuire a noi quello che accadrà al protagonista, con un semplice dialogo diretto e lasciando la parola alla bambina. Lui avverte “soltanto” una lama gelida. L’ho trovato di grande effetto, sei riuscito ad evocare perfettamente un terrore impossibile da descrivere. E come spesso mi capita quando ti leggo, passo buona parte del racconto provando a indovinare cosa mai possa accadere sul finale, ma niente, riesci sempre a sorprendermi. Bravissimo!

    1. Ciao Irene! Sono davvero onorato di essere riuscito a sorprenderti con il finale. A volte mi sorprendo anche io, nel senso che inizio a scrivere un racconto seguendo un’idea, ma senza avere in mente un finale chiaro. Altre volte ho in mente tutto, ma a un certo punto ecco la svolta mi porta da un’altra parte…
      Grazie!

  2. Il modo che hai di introdurre il lettore alla vicenda mi ricorda quello di Edgar Allan Poe, solo in chiave e forma moderna. La struttura di un racconto del brivido la padroneggi molto bene: trovo sempre le dosi ben miscelate in quello che scrivi, fra dialoghi e narrazione. Appena riesco recupero anche la storia precedente. Questa tua serie di testi indipendenti è davvero una perla del genere sulla piattaforma.

  3. “Credete sia solo una parola per tranquillizzare i bambini irrequieti? Siete tra coloro che la nominano invano, per gioco o per minaccia? Ascoltatemi, ragazzi. Ascoltatemi.”
    Incipit come al solito notevole

    1. Ciao Roberto. Si tratta sempre della sfida delle mille parole… La prima stesura era decisamente più lunga, quindi si poneva il dilemma se dividere o tagliare. Ho deciso di tagliare. Ed ero preoccupato di non riuscire a far venir fuori qualcosa di leggibile.
      Ti ringrazio per aver letto e apprezzato.

  4. Hai ‘rubato’ un incubo ricorrente, uno dei tanti mostri che abitano i sogni dei bambini e, con originalità, ne hai fatto un racconto spaventoso, da brivido che ti corre lungo la schiena. C’è un buon ritmo nelle tue parole che alterna narrazione e dialoghi e infila dentro quella cantilena che, mentre la leggi, non puoi fare altro che cantarla tu stesso. Spiazzante il finale. Complimenti.

    1. Ciao Cristiana. In effetti storie horror e bambini formano un legame indissolubile da sempre … 🙂
      Mi fa piacere di essere in qualche modo riuscito a trasmettere un po’ di paura!
      A presto!