
Bastiana La Strana
Da alcuni anni Bastiana (Bastrana per i compagni quando ancora frequentava la scuola), stava riflettendo sul come e sul dove avrebbe potuto staccarsi da quella sua famiglia del cavolo, dai soliti amici fasulli e dai tanti parenti serpenti.
Era stufa di beghe famigliari, invidie, gelosie, dispetti, ripicche, cattiverie, bugie, opportunismi…
Sentiva una voglia matta di andarsene, sbattendo la porta in faccia ai suoi “cari”, sangue del suo sangue. Era tentata di prendere il treno per andare a rifugiarsi in qualche borgo sperduto nel cuore della sua terra, sepolto tra i boschi e le stradine tortuose, sterrate e completamente dissestate, che avrebbero scoraggiato l’arrivo di chiunque.
C’era stata una sola volta in un posto così, dove un tempo vivevano alcune centinaia di persone. Da molti anni era diventato un luogo quasi completamente disabitato. La popolazione stabile si era ridotta a poche decine di residenti. Era un piccolo borgo medievale, fatto di case molto basse, tutte costruite in pietra, in parte diroccate o pericolanti. Le poche abitazioni che erano state ristrutturate avevano mantenuto il loro assetto originario ed erano molto pittoresche. Le viuzze erano prive di asfalto, acciottolate, senza traffico e senza alcuna traccia di smog. La chiesetta dedicata a Santa Maria Maddalena, era semplice, in stile gotico, restaurata e resa famosa dal romanzo della scrittrice originaria di quella provincia.
Bastiana era rimasta incantata, come se, all’improvviso, fosse precipitata in un’altra era. Un’epoca totalmente diversa da quella in cui era nata e cresciuta e in cui si sentiva ogni giorno più oppressa. L’aria che aveva respirato in quel luogo antico, che sembrava colpito da uno strano incantesimo; l’atmosfera creata dai cortili in ogni casa, arricchiti dalle piante delle mele cotogne, delle melagrane, dei fichi, degli agrumi e dei pergolati, l’avevano fatta sentire ai suo agio. La giusta dimensione per lei. Aveva respirato a pieni polmoni, con tutti i pori della sua pelle e con la mente.
Fare il grande salto, da una cittadina di trentamila abitanti, vicina al capoluogo, fino a quel piccolo villaggio sperduto tra le colline, richiedeva una certa dose di coraggio. I centri commerciali erano molto distanti – poco male – ma anche le più modeste rivendite di generi alimentari o i negozi di libri, di scarpe o calze o lingerie, non erano facilmente raggiungibili. La farmacia meno distante si trovava a più di un’ora di strada. La fermata dell’autobus (una corsa al giorno), era lontana sei chilometri. Bisognava raggiungere a piedi, o sul trattore di qualche contadino, l’incrocio con la strada provinciale. Dopo una decina di chilometri si poteva accedere alla superstrada statale a quattro corsie. In altri dieci minuti si poteva svoltare al bivio che conduceva fino al centro dell’unica città vicina dotata di servizi.
Bastiana avrebbe voluto preparare un piccolo bagaglio, con quattro indumenti essenziali; avrebbe preso una stanza in affitto per staccare dalla solita vita caotica, piena di veleni di ogni genere, che lasciavano in bocca il gusto amaro della discordia. Le sarebbero bastati, forse, un mese o due di pausa. Dopo trenta o sessanta giorni al massimo sarebbe tornata alla routine di sempre, ad assolvere i suoi doveri, a scontare le sue colpe, errori, debiti karmici o peccati, che dir si voglia, nel purgatorio quotidiano della sua casa e famiglia e società.
Aveva tentennato a lungo; poi, frenata dai soliti scrupoli, aveva deciso di rimandare ancora una volta, per l’ennesima volta, per mancanza di coraggio.
Era quasi la fine dell’anno e lei era ancora lì, a torturarsi, in quel fine pena mai. Avrebbe voluto sottrarsi al grande cenone della vigilia di Natale, in casa di Paolo e Petra, suo fratello e sua cognata.
Aveva finito per infliggersi la solita compagnia di tutti i parenti stretti; perché quelli “larghi” – come dice Benito Urgu – non ci stavano.
Si era armata di santa pazienza per sorridere, ascoltare, essere gentile con tutti, nonostante tutto. Ascoltava senza commentare; tutt’al più annuiva con la testa. Evitava di partecipare ai pettegolezzi o di fare battute sarcastiche, di cui non era minimamente capace. Uno degli sport preferiti da alcuni invitati, veri campioni nell’intento di camuffare i loro giudizi maligni.
Una delle tante parenti acquisite, salutandola, aveva commentato subito quanto fosse dimagrita, sciupata, con la pelle del viso disidratata; insomma invecchiata. Le aveva chiesto come mai non usasse un po’ di trucco, qualche crema idratante, il fard e almeno un “filino” di rossetto.
Un’altra delle ospiti più anziane – senza perdere tempo in convenevoli del tipo e tu come stai – moriva dalla curiosità di sapere se l’eredità della casa di zia Nina (morta da due mesi), fosse andata a Filippo, l’unico erede maschio, oppure a Marta, sua sorella.
Quando si erano seduti a tavola, Paolo, suo fratello, l’aveva umiliata davanti a tutti, dicendo che, come al solito, l’unica pietanza cucinata da lei: il baccalà con le patate, era immangiabile; anzi, faceva proprio schifo.
Bastiana, nella sua vita da sfigata, di solito preferiva fare la figura dell’idiota, sopportando pazientemente senza replicare, in silenzio, tra tutte quelle persone moleste, logorroiche e voraci, che trangugiavano una montagna di cibo, senza dilungarsi a masticarlo.
Avevano consumato una ventina di antipasti: dalle uova ripiene, alle uova di muggine essiccate (la bottarga), alle uova di quaglia e di finto caviale, alla quiche di verdure, alle verdure in pastella, ai rotolini di crespelle farcite… fino alle olive di tutti i tipi, alle lumache in tutte le salse e naturalmente – non potevano mancare – gli affettati. Dopo un’ora di antipasti avevano cominciato a degustare i primi: malloreddus alla campidanese, culurgiones di patate, ravioli di ricotta e fregola con arselle. I secondi erano, molto semplicemente, solo arrosti misti di carne: agnello, porchetto, salsicce e braciole di maiale. Molte signore e signori presenti alla cena, in borsa o in tasca, avevano le statine per il colesterolo, il dolcificante e le compresse per l’ipertensione arteriosa; perciò nessun problema.
Bastiana aveva mangiato quattro olive, un po’ di pane e cinque culurgiones col sugo: si sentiva piena come un uovo di struzzo farcito. O come unu pibizziri pringju (una cavalletta col pancione), avrebbe detto sua madre se fosse stata ancora in vita.
Quando era arrivato il momento del dessert: i panettoni portati dagli invitati, con e senza canditi, farciti, glassati, al cioccolato, con i frutti di bosco… Paolo – generale mancato – le aveva intimato di andare a prendere il torrone.
Bastiana La Strana (o più semplicemente Bastrana) – come la chiamavano i tanti parenti serpenti – era uscita dal retro della cucina, alla chetichella. Aveva preso il furgone di suo fratello e si era precipitata a casa, per preparare il trolley. Dopo poche ore avrebbe iniziato ad albeggiare. Il primo treno per arrivare alla stazione più vicina alla sua meta, sarebbe passato alle cinque del mattino. Avrebbe lasciato il Doblò nel parcheggio della stazione, con una letterina di buon Natale sotto il tergicristallo. E buona notte al panettone, al torrone, alla cena col magone e pure a suo fratello co… con il furgone.
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Questo racconto ha suscitato alcuni ricordi d’infanzia, quando dalla nonna, per il pranzo di Natale, ci si sedeva a mezzogiorno per finire alle 16.00 del pomeriggio. Credo che in queste occasioni in tutte le famiglie ci sia una Bastiana che desidera scappare: molti parenti si riuniscono per mera convenzione e i sorrisi che si indossano spesso sono falsi. Il coraggio per voltare le spalle a tutto (e tutti) si può trovare solo in se stessi e sono contenta che tu l’abbia dato alla tua protagonista. Quanto alle descrizioni del paesino, mi hai permesso di vederlo chiaramente tanto da desiderare una via di fuga proprio lì.
Ciao Micol, il racconto e` riferito, realmente, a un piccolo borgo, Lollove, frazione di Nuoro, che ho visitato, finalmente, per la prima volta, poco piu` di un mese fa. Erano anni che pensavo di andarci. La curiosita` e` cominciata quando ho scoperto che il pittoresco paesino (ormai quasi disabitato), aveva ispirato l’ ambientazione del romanzo “La madre” di Grazia Deledda (letture che erano il pane quotidiano della mia giovinezza). Lollove, nonostante la pioggia battente del giorno in cui sono andata, mi ha affascinato e vorrei tornarci per un fine settimana almeno. Non so ancora quando, per impegni vari e problemi familiari, ma secondo me, vale la pena, per l’ aria, e l’atmosfera unica che si respira, tra le casette antiche e la chiesa di “don Paulu”.
Assolutamente da scappare da un gruppo di parenti e familiari di questo tipo. Più comune di quanto si pensi, soprattutto nel giorno del ritrovo per i festeggiamenti, non importa quali. A volte è il coraggio di Bastrana che occorre per cambiare le cose e tornare a respirare. Ognuno ha un suo posto nel mondo, fatto di persone e di luoghi che non è per forza quello da sempre conosciuto.
Ciao Bettina, grazie per aver trovato il tempo di leggere questo mio racconto. Sui pranzi tra parenti “serpenti”, credo siano stati gia` spesi fiumi di parole, tra letteratura e film. Da molto tempo mi frullava in testa l’ idea di dedicare una storia alle piccole Bastrane che osano ribellarsi ai conformismi e alle ipocrisie delle tradizionali abitudini. Dopo aver visitato il borgo (frazione di Nuoro), che ha ispirato anche la nostra grande autrice, Premio Nobel, Grazia Deledda, ho subito buttato giu`, di getto, questo libriCK, breve, ma sentito, per quanto prevalentemente inventato.🙏
Che… strana! Comunque bel racconto, mi ha emozionato.
Ciao Kenjj, sempre parsimonioso nei tuoi commenti eh? Va be’… gradisco comunque. Grazie.😉
Ottimo racconto! Pieno di rancore e voglia di fuga. L’ambientazione descritta benissimo, di colpo sono passato da un paesino della Barbagia (altro che Cime tempestose!) alla più classica delle cene di Natale da far invidia e orrore alle tavolate ipocrite degne dell’Ancient Régime (a te la scelta se la tavola di Maria Teresa d’Austria nella austera Vienna o la più elitaria San Pietroburgo degli Zar). Il finale era quello che speravo, con buona pace del fratello co…stantemente irritante 😂
Ciao Carlo, si esatto, mi riferivo a un borgo della Barbagia (Lollove), che finalmente, la settimana scorsa, sono riuscita a visitare. Mi sono ispirata a questo posto davvero fuori dal mondo e dal nostro tempo, sempre piu` incivile nella sua grande civilizzazione. La scrittrice alla quale ho fatto riferimento era Grazia Deledda, che a Lollove aveva ambientato il suo romanzo La madre. Il fratello Paolo e la cognata Petra sono personaggi di fantasia. I cenoni di Natale su quel genere, con i personaggi tipici dei parenti stretti, (perche` quelli larghi non ci stanno), credo siano abbastanza comuni.
Grazie Carlo per il tuo graditissimo commento. Aspetto i tuoi nuovi libriCK.