Bologna 1980
L’impresa di oggi: riuscire a decidere da che parte guardare.
Apro gli occhi di soprassalto, qualche minuto prima che la sveglia faccia il suo lavoro; il giorno mi entra negli occhi dopo un sonno di piombo, di quelli che recidono qualsiasi contatto con la realtà esterna: un’arma di difesa contro il mondo.
Riuscire a decidere da che parte guardare, dicevo, è una decisione piccola, precisa, netta, nel magma ruvido della giornata, anche muovere le dita dei piedi è diventato per me un fardello imponente. Non riesco a restituire un ordine a me stessa, mi sento disossata e ricomposta come La ragazza di fronte allo specchio di Picasso. Quando dico “da che parte guardare”, intendo proprio dove posare le pupille. Guardo il soffitto lattiginoso, mi sento persa. Alzo le mano e scruto le cuticole trascurate cercando sotto di esse tracce di un senso, il senso di essere ancora un animale che respira sulla superficie di questa terra, cerco un senso ma è banale dire che un senso non c’è. Io sono qui e tu no. Non può esserci un significato preciso in questo scherzo malvagio dell’esistenza, perché se ci fosse sarebbe un’ atrocità ancora peggiore.
Che tu fossi qui
a guardare i miei figli crescere
a ridere dietro l’angolo di casa
a togliere fatica dal risvolto delle palpebre
a spezzare il fiato insieme
nella corsa dei giorni.
Che tu fossi qui
basterebbe un giorno al mese
un mese all’anno
basterebbe a raccogliere il senso
che perdo il senso
nelle pieghe esecutive dei giorni.
Che tu fossi qui
qui, nel mio qui
coi tuoi sentieri interrotti
a soffiare sui nostri entusiasmi
distratti dal vociare innocente
raccolti in un mazzo ridente.
Provo ad alzarmi e guardarmi allo specchio e l’immagine che mi viene restituita non m’appartiene più, o meglio, vedo me stessa, il mio naso affilato e gli occhiali ampi con lenti a trapezio, i fianchi sempre troppo larghi e le punte dei piedi leggermente convergenti. Mi vedo e non mi riconosco.
Richiudo gli occhi per qualche istante e ascolto i rumori esalati dalla strada sotto casa: il camioncino del vetro che frantuma il sonno dei bambini, i mezzi di soccorso che ancora sfilano ripetitivi verso la stazione, i pendolari che chiudono piano il portoncino del condominio dietro le loro spalle, sempre alla stesso minuto della stessa ora del giorno, di ogni giorno, tranne oggi, oggi niente treno per andare la lavorare, oggi, per chi è sopravvissuto, tocca usare l’automobile.
Ciascuno svolge il mansionario della vita, ciascuno segue la traccia in cui la sua esistenza si è incanalata, ciascuno sembra sapere cosa lo aspetterà dopo, conoscono il copione, loro, e calcolano, prevedono, organizzano tutto, perché tutto sia efficiente e conduca all’obiettivo preposto, che sia lo stipendio a fine mese, l’esame da sostenere, un figlio da mettere in cantiere o il film al cinema da andare a vedere.
È così per molti, ma non per me. Non c’è più spazio per me, tutto è occupato, fuori e dentro di me dalla tua assenza, ingombrante e penosissima. Ogni cosa stamattina è di piombo: la mia pancia vuota, la lingua aggrappata al palato, la moca che brontola in cucina, la camicetta di lino, sindone del tuo corpo non risorto. Tutto questo ingombra la mia mente fino a traboccare, opprime i miei bulbi oculari, ingurgita ogni mio tentativo di parola. Sono muta e non so, non conosco, non vedo.
L’unica certezza è che tu hai varcato la soglia della porta, sei entrata nella tavola calda per comprare quella normalissima bottiglia d’acqua. Tu sei entrata nella tavola calda e ne sei uscita trascinata da mani altrui, ricoperta di calcina e senza più aria da respirare, senza più un ritmo del cuore da ascoltare.
La stazione ieri somigliava ad un castello di sabbia travolto da un’onda anomala.
Polvere, sangue, grida di terrore. I ferri della tettoia erano piegati come canne d’alluminio, il bar e la tavola calda sono stati sventrati come una cava di marmo, annichiliti dallo scoppio e con essi anche tu, insieme agli altri di cui non conosco nulla, se non le generalità ripetute dai giornalisti al notiziario.
Avesse la vastità
del cielo la forma del tuo nome
del tuo volto il suono
del tuo naso la gentilezza.
Avesse la terra
l’ardire di parlarmi di te.
Tutto tace tutto
è silenzio senza cuore
aria frusta di pudore
sale deposto sull’epidermide facciale.
Tu hai conosciuto il mistero del tempo che si accartoccia, diventa un istante fulmineo e sottrae la materia del nostro corpo da questa terra. Quella materia che nella vita di sempre si disperde distratta tra gli interstizi dei giorni, tra i fusilli al pesto e gli ombrelli scossi dalla pioggia.
Qualcuno ha scostato la tenda che separa il qui dall’altrove e ti ci ha spinto oltre.
Dove sei andata?
Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
La cosa che non smetterà mai di lasciarmi a bocca aperta quando leggo un racconto è il momento in cui una descrizione buttata lì con apparente noncuranza riesce a risucchiarmi nella scena che vuole illustrare, facendomi percepire suoni, odori, colori. Proprio come mi è successo quando hai tirato in ballo la tavola calda. Molto efficace.
Brava Maria Chiara e benvenuta con questo tuo brano d’esordio che è un ricordo di un fatto italiano doloroso che non dobbiamo dimenticare e allo stesso tempo un pensiero che va a una persona vicina che non c’è più, mentre tu devi fare i conti con la vita che va comunque avanti. Molto toccante.
Ti ringrazio davvero per aver letto e apprezzato il mio racconto!
Ciao Maria Chiara. Il tuo racconto e` intenso, coinvolgente e triste. I versi sono delicati e dolci, nonostante il grave lutto e la tragedia che ha colpito la protagonista, cosi` come i parenti e gli amici di tutte le altre vittime. Un dramma che ha colpito tutti noi che viviamo in Italia e tanti altri all’ estero.
Il modo in cui hai saputo armonizzare la narrazione, tra poesia e prosa, denota una elaborazione gia` avvenuta, dell’ accaduto, come se, in parte, fosse gia`metabolizzato; nonostante sia impossibile dimenticare, anche per chi non e` stato colpito direttamente.
Ciao M.Luisa, ti ringrazio! Io sono nata nel 1992 ma sono appassionata dei fatti storici legati agli anni di Piombo quindi mi sono informata molto sul fatto di Bologna. Ti ringrazio per il commento!
Nel 1980 non ero ancora nato ma ho molto sentito parlare dell’attentato del 2 agosto. Ho anche letto qulcosa