
Carla
Serie: Simorgh
- Episodio 1: SIMORGH/Azadeh
- Episodio 2: Rayhan, basilico
- Episodio 3: Invasione
- Episodio 4: Io mi chiamo Leyla
- Episodio 5: Carla
STAGIONE 1
Geroboamo II, tredicesimo re d’Israele. Regnò dal 786 a. C. al 745, anno della sua morte. Dal punto di vista politico fu un re energico: allargò e fortificò i confini del regno verso la Siria, recuperando i territori della Transgiordania e ristabilendo così “i confini di Israele dall’ingresso di Amat fino al mare di Araba”.
Secondo il Libro dei Re, il profeta Giona avrebbe proclamato che la riconquista dei territori perduti era voluta da Dio, favorendo così l’iniziativa bellica di Geroboamo.
Secondo alcune traduzioni, il nome Khan Yunis significherebbe “accampamento di Giona”,
A Khan Yunis il tre novembre 1956, in occasione della prima conquista israeliana, avvenne il cosiddetto Massacro di Khan Yunis: numero dei morti 275, secondo il rapporto delle Nazioni Unite.
Khan Yunis è stato il luogo di attacchi israeliani in elicottero nell’agosto 2001 e nell’ottobre 2002 che hanno causato la morte di numerosi civili, centinaia di feriti e la distruzione di edifici civili nelle vicinanze.
(Fonti dal web: Wikipedia, Enciclopedia Treccani)
«E brava! Ti sei anche ricordata di indicare le fonti.»
Il visetto minuto di Carla splende d’orgoglio, la guardo intenerita: non deve essere facile per una ragazzina italiana, figlia di medici, vivere in un campo profughi palestinese e andare a scuola in una baracca di lamiera, insieme a ragazzini con cui non ha nulla in comune, se non il sogno di poter stare all’aperto senza la paura del prossimo aereo.
I genitori di Carla sono in servizio da quattro mesi nell’ospedale da campo di Medici Senza Frontiere e spesso non riescono a vedere la figlia per giorni interi, tanto scarso è il personale a fronte dei continui arrivi di feriti.
Quando sono arrivati Gianna e Paolo erano una bella coppia, alti e abbronzati e sempre sorridenti, con la kefiah al collo naturalmente, ma almeno qui ha un significato. Li vedi oggi e quasi non li riconosci da quanto sono dimagriti e, come dire, ingrigiti, ecco. Solo i loro occhi mantengono qualche scintilla di allegria, che appare quando si riuniscono a Carla, oppure quando arriva qualche rara buona notizia.
Al momento notizie non ce ne sono e già questo è un sollievo, sappiamo già che quando arriveranno saranno molto brutte. Come dicevano i vecchi di Abyaneh: «Non pensar bene, non pensar male: comunque fai, sbagli.»
Già, perché, li vedete Gianna e Paolo sbucare dall’ultima stradina in fondo, là dove c’era un caffè e adesso c’è una voragine, e loro fanno il giro largo, camminano lenti, come non se non avessero voglia di arrivare.
Questa notte eravamo tutti in attesa: nei nostri letti, qui a Khan Yunis, miseri ma ancora sicuri; stretti l’uno all’altro, tutti riuniti nella piazza centrale di Gaza, in quella che era la piazza di Gaza; uno accanto all’altro, in circolo e silenziosi, i tank ebrei che circondano la città e attendono l’ordine di devastarla.
Perché stanno venendo qui, Gianna e Paolo, in pieno orario di scuola e di lavoro?
«Guarda, Carletta!», m’invento di essere sorpresa e felice, «Mamma e papà hanno saputo che hai fatto un bel compito e stanno venendo a festeggiarti.»
Non muove nemmeno un angolo di bocca, Carletta che sa capire quello che avviene e resta immobile, solo le spalle s’incurvano, sembra una vecchietta, adesso. Io giro lo sguardo, una maestra non piange, e tengo gli occhi fissi sulla sua famiglia che si sta avvicinando a passi lenti, quasi ritrosi. Vorrei che non si avvicinassero mai, con quelle notizie che certo si portano dentro. Dietro di me avverto uno scalpiccìo.
Uno alla volta sono usciti dai banchi (che c’è, si chiede il permesso in questi casi?) e sono andati a stringersi intorno a Carla.
«Non azzardatevi a farle del male!»
Eppure, con quanto amore pugnaliamo l’anima di questi bambini.
«Charly…», suo padre la chiama così.
Lei si libera dalla protezione dei suoi simili – uno per tutti e tutti moschettieri – e si avvicina ai due adulti, ché loro adesso hanno bisogno d’aiuto.
«Vi voglio bene. Non preoccupatevi per me, non sono sola qui, voi dovete andare.»
Si abbracciano velocemente, poi noi tre adulti allarghiamo le braccia e ci stringiamo come possiamo a tutti quei ragazzini. Abbiamo bisogno che ci amino e ci perdonino, di quello che accade siamo colpevoli noi che abbiamo loro preparato questo mondo.
Scende la sera, a casa Carla sta giocando con il mio gatto, chissà quando Gianna e Paolo arriveranno a Gaza, dove sono stati autorizzati – dalle forze militari israeliane di occupazione – a trasferire parte dell’ambulatorio.
Serie: Simorgh
- Episodio 1: SIMORGH/Azadeh
- Episodio 2: Rayhan, basilico
- Episodio 3: Invasione
- Episodio 4: Io mi chiamo Leyla
- Episodio 5: Carla
Struggente. Lo ripetiamo sempre eppure non è mai abbastanza e nulla mai cambia. I bambini non hanno colpe, sono i più indifesi e i più puri, eppure pagano troppo e troppo spesso prezzi troppo alti e questo mondo glielo abbiamo fatto trovare noi. Riflettiamo, ce lo raccontiamo, ma non cambia mai nulla. Grazie Francesca per il coraggio di questa serie.
Bellissimo racconto, e molto piacevoli i riferimenti all’inizio. Attendo il seguito!
Mi è piaciuto molto il riferimento al libro dei Re. Devo ammettere che non conoscevo il significato di Khan Yunis.