Peste

Serie: Fiori di fuoco


Una breve storia d'amore

    STAGIONE 1

  • Episodio 1: Peste
  • Episodio 2: Fiamme

Gian era stanco del mondo maledetto da Dio in cui viveva. Il segno che portava sulla sua vita, una macchia nera di dolore e disprezzo, l’aveva sempre visto come un castigo divino. Non c’era speranza nella città che lo aveva visto crescere: lavoro senza futuro, fame, poche gioie. Così abbandonò il lavoro come servo del conte, con cui aveva passato anni in ginocchio, e con le poche monete raccolte comprò un pezzo di terra.

Si trasferì con la sua famiglia: la moglie, un uomo della città che non si vedeva quasi mai, e due figli. Un maschio forte, robusto come un giovane albero, e una bambina dai capelli biondi, così diversi dai suoi neri come la notte. Quella bambina lo tormentava: non sapeva se fosse davvero sua, ma in cuor suo amava entrambi i figli come fossero parte di sé.

«Vedrai che ce la faremo!» diceva alla moglie con un sorriso tirato, cercando di infonderle speranza, mentre lei, a volte, quasi piangeva nel silenzio della notte.

Gian era un abile cacciatore. Con le sue mani forti e il cuore impietrito, portava a casa prede che davano vita a poche feste, rare luci in un’esistenza grigia e dura. Un coniglio, un uccello, qualche frutto raccolto al limite della foresta: tutto quel poco che poteva salvare dalla fame la famiglia per qualche giorno.

Ma le feste erano rare, e la morte una presenza costante, una nemica invisibile che faceva capolino tra le ombre.

Il terreno era arso dal sole, quasi maledetto come il cielo, che non apriva mai il suo volto per offrire pioggia o sollievo.

Una notte d’estate, tornò nella capanna con il cuore pesante. La moglie russava profondamente, ma un grosso bubbone nero sulla coscia destra l’aveva colpita, e il suo respiro era affannoso. Guardandosi intorno, vide che anche i due figli erano segnati da quel male oscuro.

Gian impugnò l’accetta, un tempo usata per spaccare legna, e per un attimo pensò di ucciderli tutti e tre, liberandoli dalla sofferenza. Ma non era diventato una bestia. Era solo un uomo stanco, terrorizzato dalla morte che lo guardava negli occhi.

Uscì dalla capanna, si inginocchiò tra le radici degli alberi e pregò disperato, poi bestemmiò contro quel Dio che lo aveva abbandonato. Gettò via l’accetta e si perse nei boschi sotto la luna piena, rotonda e impassibile.

Nel silenzio, udì un canto. Un coro di voci misteriose che veniva dalla boscaglia vicina.

«Chi canta? Saranno streghe, amanti del demonio!» pensò Gian, stringendo le mani con rabbia. «Se avessi l’accetta, le decapiterei tutte, queste streghe maledette, invece della mia famiglia!»

Corse verso il suono e le luci tremolanti, aspettandosi un’orgia di demoni e peccatori. Invece trovò quattro figure incappucciate, mascherate con visiere a becco, radunate intorno a un ceppo, che cantavano inni antichi.

L’odio di Gian era così forte che una di loro lo notò: «Madre, è arrivato il mannaro!»

La più anziana si tolse la maschera e si avvicinò a Gian senza paura. Prima che lui potesse attaccarla, disse con voce calma: «Non puoi farmi del male, perché il tuo odio non è verso di noi, ma verso questo mondo che noi amiamo e tu detesti.»

Serie: Fiori di fuoco


Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Amore

Discussioni

  1. Questo racconto mi ha davvero colpita. C’è dentro una rabbia cruda, una disperazione che brucia, ma anche un cambio improvviso e misterioso che spiazza.
    Le streghe, invece di essere il male, diventano la chiave di una trasformazione.
    La tua storia è potente, che parla di fede, odio, amore e rinascita con un linguaggio viscerale, senza sconti. Mi resterà in mente.