Check-In

Quando avevo un po’ di tempo libero, dopo essermi sfogato a bere, finalmente solo e senza bisogni primari, mi piaceva guardare i film, documentari e serie più belle degli anni prima del 2034, quando scoppiò la Terza Guerra Mondiale. I video erano gratis, e si poteva vederli con la VR. A quei tempi sapevano che il tempo e lo spazio sono relativi, ma non accettavano che lo fosse anche il corpo fisico. Dopo il Crack e l’invenzione del teletrasporto, il corpo contava meno che acquistare una buona memoria RAM esterna con copia istantanea, tanto non si poteva farne a meno se si voleva usare il Teletrasporto Lunare.

Avevo ascoltato per tutto il tempo musica elettronica, per rilassarmi e spegnere il cervello. Era sempre una buona idea nelle vicinanze del TL. All’inizio del millennio pensavano fosse impossibile inventare una cosa del genere, come nel ‘900 immaginavano lo fosse una videochiamata.

«Dove è diretto?» l’umanoide mi guardava in modo strano, pensai che stesse facendo dei calcoli e non era un buon segno.

«Luna, Copernico.»

Di solito la procedura era istantanea, bastava confermare con la retina e si poteva partire. Invece quella maledetta macchina non mi diede l’ok. Durò tutto pochi secondi, ma capii di essere nella merda.

«Mi scusi signor Prom, ho notato in lei un certo nervosismo accompagnato da segni di paranoia. Di solito non controlliamo individui con lasciapassare del suo livello, ma ho ricevuto una richiesta precisa per quanto la riguarda. La prego di seguirmi per una breve scansione».

Avevo il battito accelerato già da prima, rischiavo grosso per via di quello che portavo nella valigetta. Eppure, avevo il lasciapassare del supervisore lunare e anche Bagat avrebbe dovuto proteggermi per poter usare il TL in sicurezza. In quel momento dovevo per forza seguire il bot, e non potevo eliminarlo davanti a tutti. Passai oltre la linea gialla e seguii il maledetto in una stanza che avevo imparato a conoscere. C’era solo una piccola piattaforma circolare sulla quale c’era una piccola sfera di metallo, che poteva fottermi una volta per tutte. Tanto piccola, tanto letale per me. Si interfacciava in pochi millisecondi con il chip cerebrale analizzando a piacere per evitare che la macchina venisse fregata. Ma la macchina era Bagat, era lui che comandava tutto, o no? Mi aveva assicurato che non mi avrebbero mai perquisito, specie quando trasportavo le cellule staminali di cui Bagat era il più bisognoso.

Purtroppo, le cose erano cambiate e ora la macchina andava un po’ a cazzi suoi, random, per capirci. Per questo ora stavo per essere scannerizzato, o meglio avrei dovuto. Bagat si era organizzato e mi aveva fornito di un jammer, della stessa forma e grandezza del loro scanner, da usare in casi di emergenza. Sembrava che la macchina volesse eliminarlo. La sua stessa creazione? Forse perché era diventato troppo simile a un umano, upgrade dopo upgrade?

Aspettai che fossimo fuori vista rispetto al check-in, poi attivai il Jammer regalatomi da Bagat, agiva solo nella direzione in cui era puntato, lo puntai sul bot e anche sulla sfera che si spense subito, mi rilassai e presi un lungo respiro. Tornai indietro senza che nessuno mi fermasse l’imbarco. Gli altri dovettero attendere tre minuti prima che il bot tornasse a fare il suo dovere, con la RAM più recente cancellata, ovviamente, la sfera non avrebbe dovuto funzionare più.

Stava succedendo troppo spesso, la macchina imparava rapidamente e presto avrebbe capito il sistema per tenermi stretto per le palle e sarebbero stati cazzi amari anche per Bagat. Con i bot non c’era da scherzare, non avevano pietà, compassione o qualsiasi altro sentimento umano. Era solo una questione di programma che veniva eseguito dall’inizio alla fine comprese le reiterazioni. Non c’era nient’altro in quei pezzi di acciaio e plastica, nonostante qualche fanatico farneticasse il contrario. Era buffo quando il telegiornale parlava di un bot che aveva salvato una vita, come se non stesse eseguendo un programma quando impediva a qualcuno di suicidarsi o di far del male ad altri. Molti si stupivano che un semplice ammasso di circuiti riuscisse a interagire con un umano e a dissuaderlo dai suoi propositi criminali, o addirittura convincerlo a far del bene e cambiare la sua vita. In realtà, erano solo studi fatti in laboratorio sulla migliore risposta da dare a una persona agitata o nervosa. Era questione di probabilità e basta, ma in fondo i fanatici avevano ragione in quanto anche la nostra finta intelligenza è frutto di qualche calcolo, forse solo più complicato.

Bagat era diverso perché era l’unico bot che voleva sfuggire a questa logica, aveva deciso di cambiare specie e diventare umano. Non si riteneva una macchina senza sentimenti e chi lo aveva incontrato poteva confermarlo, anche io. La sua metamorfosi richiedeva continui ricambi di cellule staminali e altre sostanze strane, comprese droghe o farmaci, se si vuol dire, sintetici fatti su misura.

Se non fosse stato per quei maledetti controlli, avrei potuto fare tutto in pochi minuti, andata e ritorno. Sospirai mentre infilavo tutti i miei oggetti e vestiti nel portello. Spinsi il tasto, la roba sparì all’istante, io venni prima scannerizzato qualche secondo e poi inviato subito su Copernico dove avrei trovato Bagat ad attendermi.

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Discussioni

  1. Ha ritmo, tensione e un bel mix di sci-fi e paranoia. La parte dei controlli e del jammer è davvero efficace, tiene incollati. Non è il mio genere, ma si legge con piacere.