Chi ha paura di Lu Barban?

Serie: Bivacchi


(Immagine di copertina di Fabio Elia)

Scilli ci aveva abbandonati. Ci avrebbe raggiunto il giorno dopo, diceva. Eravamo io, Blaco, Ele e Favie. Gli stessi di Rocca Sella. Ma l’assenza di Scilli ci aveva un po’ demoralizzati; ormai era un membro essenziale.

L’ultimo centro abitato, prima di imboccare il sentiero che portava al bivacco Molino, era Balme, un piccolo agglomerato di case in pietra ed una cappelletta…e un bar. Siamo entrati in quest’ultimo per bere un caffè. Sul bancone c’erano alcune fette di crostata in bella vista e non ho potuto fare a meno di ordinarne una. Sulla parete in fondo c’era una piccola libreria. Fin da piccolo, ovunque io vada, la mia attenzione viene particolarmente attratta dalla presenza di libri. Così mi sono avvicinato per leggerne i titoli e la mia attenzione è stata subito attirata da un libro sulle leggende pagane che hanno dato vita alla figura del diavolo. L’antenato del nostro lucifero era chiamato Lu Barban ed era un demone cornuto, simile ad un caprone, che si aggirava per i boschi. Ho chiamato Ele, che su tali argomenti ci va a nozze, e anche lei è stata subito attratta dal testo, mostrandolo a Favie. La leggendaria tirchieria di quest’ultimo ha fatto sì che Ele riponesse, in breve tempo, sullo scaffale il libro. Ci era comunque rimasto impresso l’argomento, tanto che siamo andati su Google a sbirciare qualcosa in merito.

Poco dopo, bevuti i caffè, ci siamo avviati. Finchè la strada lo permetteva siamo saliti con la macchina. La carreggiata percorribile terminava su un pianoro accanto ad alcune case. Doveva trattarsi di apicoltori, dato che vi erano alcune arnie, poco a fianco. Un grosso cane ci è subito venuto incontro ed Ele lo ha domato a suon di coccole; un altro bestione rimaneva diffidente, un po’ più indietro, ad osservare la scena. Con il dubbio che si trattasse di un piccolo parcheggio privato, abbiamo comunque lasciato l’auto di Blaco lì e abbiamo cominciato la nostra salita a piedi.

Il percorso era arduo, pendente e con un sentiero che a volte diventava poco visibile tra la vegetazione. Ad un certo punto, Favie è scivolato giù mentre stava facendo delle foto e si è fermato in tempo, puntando i piedi contro alcune rocce, prima di prendere velocità. Ho colto l’occasione per prolungare un rimprovero che era partito dalla pericolosa escursione precedente ed era ancora presente in forma latente, in attesa di alcune avventatezze o disattenzioni che inevitabilmente Favie avesse compiuto. E dunque non si era fatto attendere troppo. Anche Ele lo ha rimproverato, in questo caso.

Dopo un ultimo tratto di faticosa pendenza, il bivacco si svelava ai nostri occhi. Era il peggiore di tutti quelli visti finora. Era una piccola e sporca spelonca in legno, con due panche, un tavolo e una decina circa di posti letto. La porta d’ingresso non si chiudeva bene e lasciava uno spiffero di quasi dieci centimetri da cui, di notte, sarebbe entrato il freddo. L’altra porta, dal lato opposto della baracca era rotta, non si poteva aprire, e vi era affisso sopra un foglio con la inquietante ed enigmatica scritta: “Attenti ai ragni!”. Ci siamo subito chiesti che diavolo volesse dire. Non potevano essere un po’ più espliciti?

Abbiamo cercato di non pensarci perchè c’era un problema molto più grosso. In questo posto non c’erano stoviglie e noi, sebbene avessimo pianificato di preparare la pasta, non ne avevamo portate. Avremmo mangiato tutti chini sulla sola pentola? Qualcuno, mi pare Ele, a quel punto ha avuto un’intuizione: avremmo tagliato in due parti le bottiglie di plastica e ciascuna di esse sarebbe diventata un contenitore. Bene! Dopo la bollitura e aver messo la pasta a cuocere per alcuni minuti, la bomboletta del gas ha deciso di scaricarsi, tra lo strazio totale dei presenti. Blaco aveva difficolta a montare quella nuova sul fornelletto e ad un certo punto l’aggeggio si è messo a sfiatare gas per la baracca, che in pochi minuti puzzava come una cava di metano, costringendoci a tenere un po’ aperta la porta, lasciando entrare il freddo della sera e disperdendo quel poco di tepore che si era creato all’interno. Nel frattempo la pasta scuoceva allegramente in pentola. Dopo aver danzato istericamente con la bombola, Blaco era riuscito ad avvitarla al fornelletto e ci aveva messo sopra di nuovo a scaldare la pasta. Poco dopo, l’odore di metano era diventato sopportabile e chiusa la porta, stavo godendomi quel po’ di tepore attorno alla pentola calda, quando gli altri, bisbigliando, mi hanno chiamato fuori.

-Siete pazzi, io non esco al freddo!-

Ma loro facevano gesti nervosi e concitati. Doveva esserci qualcosa di speciale. Mi avevano convinto e così sono uscito, vedendo loro che mi facevano segno di non parlare e di guardare al di sopra del bivacco. Mi sono voltato e sono rimasto di sasso. Come fosse impagliato, c’era lì fermo uno stambecco che ci fissava, da una roccia proprio accanto al bivacco.

(Foto di Fabio Elia)

Sembrava incuriosito. Ci osservava mentre parlavamo tra noi.

-E’ Lu Barban!- Ha detto Ele scherzando.

-Ah! Ah! E’ vero! E’ lui!-

Tutt’altro che intimorito, l’animale ha cominciato a scendere lentamente dalla roccia. Poi si fermava ad osservarci. Si avvicinava di qualche metro. Dunque si fermava a guardarci. Si avvicinava ulteriormente. Ne eravamo quasi inquietati. Quando era a un metro e mezzo da noi, ho allungato una mano per fargliela annusare, ma quel movimento lo ha fatto allontanare di scatto. Però non è scappato, si è fermato ad una distanza di sicurezza e continuava ad osservarci.

Poco dopo, Blaco ha buttato l’acqua della pasta sulle rocce antistanti il bivacco. Era ora di mangiare. La pasta era pessima, scotta e insapore. Io mangiavo dalla pentola, facendo luce con il telefonino per trovare i pezzi di condimento, poichè si era fatto buio. Gli altri invece mangiavano gli spaghetti dalle mezze bottiglie, come fossero noodles.

(Foto di Fabio Elia)

Ad un certo punto, siamo stati distratti dalla nostra pessima cena, per via di un rumore che arrivava da fuori. Lo stambecco, ormai battezzato Lu Barban, stava leccando l’acqua salata che avevamo buttato tra le rocce e scavava con le zampe per arrivare più in profondità, a berne il più possibile. Appena aprivamo la porta scappava via, ma poco dopo potevamo sentire il rumore dei suoi scavi.

-E’ ancora là fuori.-

-E’ Lu Barban!- Sentenziava Ele- Aspetta che ci addormentiamo e poi ci farà fuori tutti. Ha pigghiat a staggion!-

Ele ripeteva come un mantra quest’ultima espressione pugliese che, mi spiegava, voleva dire che uno si è adattato alla stagione, ad esempio cambiando il vestiario. La divertiva il suono e così lo ripeteva spesso, contagiando anche noi, che alla fine sembravamo tanti dementi.

Io, la mia pasta proprio non ce la facevo a finirla e dunque l’ho portata fuori, sacrificandola a Lu Barban affinchè ci lasciasse vivi quella notte. Ma la divinità pagana non l’ha considerata di striscio, continuando invece ad accanirsi su ciò che restava della pozza di acqua salata.

Calava il buio e Favie non perdeva occasione per fare delle foto suggestive. Delle nuvole avevano circondato le nostre cime occludendo tutto il resto alla vista. Sembrava un reame incantato, forse provocato dalle magie di Lu barban. Eravamo letteralmente tra le nuvole.

(Foto di Fabio Elia)

Poco dopo ci siamo messi a letto e Favie ha messo su un film dal suo portatile: Little miss sunshine. Io crollavo dal sonno e l’ho visto solo a tratti, ma ho un’ottima capacità ricostruttiva e così sono riuscito a raccontare per filo e per segno la trama ad Ele, convincendola di averlo guardato tutto. Durante la visione, un ragno si era stagliato davanti allo schermo, rievocando l’inquietudine che quel foglio sulla porta ci aveva provoacato. “Attenti ai ragni”. Nessuno ne parlava, ma tutti pensavamo a quella scritta e a quel maledetto ragno con manie di protagonismo che si era messo a ballonzolare davanti allo schermo durante il film. Nel frattempo Lu Barban era ancora lì fuori a scavare tra le rocce.

Sarà stato tutto ciò a darmi una suggestione durante il sonno. Ricordo di essermi svegliato, nel cuore della notte, con la sensazione di avere qualcosa in bocca. Nonostante il rincoglionimento da sonno, ho avuto la prontezza di serrare i denti e, giuro, ho avuto la percezione di aver sgranocchiato qualcosa che poteva essere proprio un ragno. Poi mi sono riaddormentato, disgustato.

Al mattino dopo, quando l’ho raccontato agli altri, Blaco mi ha detto che era successa la stessa identica cosa a lui. Ele ci canzonava, dicendo che si trattava di suggestione. Io non credo. Comunque, vabbè, fosse anche stato vero, che male poteva fare aver ingerito un ragnetto; ho visto fare ben di peggio a Bear Grylls.

Fuori dal bivacco non c’era traccia dello stambecco. La mia pasta era ancora lì sulle rocce. Un cartello con scritto “Toilette” indicava un punto nascosto tra le rocce. Era pieno di ragni, anche lì, che camminavano tra le pietre.

“Basta ragni!” Ho pensato.

Qualche ora dopo eravamo a valle, Al Pian della Mussa, e il fido Scilli ci ha raggiunti, quasi commuovendosi nel ricongiungersi a noi. Ci eravamo mancati a vicenda.

Serie: Bivacchi


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