Cicladia, città di notevolissimi riti e tradizioni

Adagiata in una conca tra l’Adriatico e gli Appennini, affacciata sulla vallata del fiume Torto, sorge Cicladia. Un turista la troverebbe affascinante. Un suo abitante, normale.
Chi ne conosce il segreto può solo maledirla.

Mirko apparteneva alla seconda categoria: come tutti era nato ignaro.

Ogni mattina si svegliava nel suo appartamento al confine della città, prendeva il suo yogurt e faceva colazione seduto al tavolo. Ammirava il panorama della vallata del Torto dalla finestra, ignorando i rumori delle macchine che inchiodavano nella strada principale sottostante. Poi preparava il caffè e lo portava a letto a sua moglie Zaira. La guardava dormire nella penombra del mattino. I raggi del sole, filtrando dalle tapparelle, bagnavano di luce le lenzuola che le fasciavano il corpo. Accovacciato vicino al letto, con il vassoio in mano, Mirko aspettava che l’aroma del caffè la svegliasse. Si sedevano insieme sul letto. Lui guardava i suoi occhi lucidi. Lei guardava il caffè, e poi, prima ancora di alzare lo sguardo, gli diceva sempre: «Buongiorno amore mio». Avevano creato il loro rito mattutino.

Decisero di fare una gita fuori porta.

Prima di partire passarono alla stazione di rifornimento. Mentre faceva loro il pieno, Lorenzo, il benzinaio, fece i complimenti a Zaira per la sua mise. Mirko non lo sopportava, eppure non si decideva di cambiare distributore: lì suo padre gli aveva insegnato a fare benzina, non aveva mai fatto rifornimento altrove.

Aveva piovuto terra il giorno prima, succedeva spesso. Il parabrezza era una mappa a tinte marroni a cui Mirko, al volante da un paio di minuti, aveva comunque trovato un verso.

Zaira allungò la mano verso lo spruzzo del tergicristalli. «Amore, che ne dici se proviamo a goderci il panorama durante il viaggio?»

Il passaggio di acqua e tergicristalli creò una tela di fango che negava ogni visuale. Mirko intravide un’ombra ingrandirsi improvvisamente, inchiodò e sbandò leggermente.

Fece un lungo respiro. Non erano usciti dalla città e avevano già rischiato un incidente, proprio sotto il loro appartamento. Il tergicristalli, ormai alla terza passata, aveva completamente pulito il parabrezza. Nessuna auto in vista, probabilmente l’ombra di un uccello lo aveva ingannato.

La gita fu tutto sommato gradevole, ma entrambi furono felici di tornare a casa prima del previsto.

La mattina dopo, con il suo yogurt in mano, Mirko decise di osservare la strada sottostante. Non lo aveva mai fatto, e mentre si chiedeva il perché, vide una berlina inchiodare e sbandare leggermente, senza che ci fosse nessun pericolo, per poi continuare come se nulla fosse. Passarono due minuti e successe di nuovo con un’altra auto. Stavolta riuscì a distinguere il parabrezza sporco e il tergicristalli azionato. Fu in quel momento che Mirko iniziò ad abbandonare la categoria dei cittadini ignari.

Quel giorno non si recò a lavoro. Camminando per la città, Mirko la riscopriva con occhi diversi. A Piazza Consuetudine c’era un rito scaramantico che vietava agli studenti di attraversarla in diagonale, pena la bocciatura. Tuttavia nessuno, studente o meno, la percorreva mai obliquamente. Anche Mirko, intimorito, dopo aver posato un piede nella direzione proibita, decise che era meglio fare il giro.

Non lontano da lì, nel mezzo di un selciato, c’era una pietra sporgente. Si diceva che un ragazzino, dopo esserci inciampato, avesse notato per terra una moneta d’oro con la quale avrebbe fondato poi un impero commerciale. Da allora tutti, Mirko compreso, fingevano di inciampare casualmente sulla stessa pietra sperando di emularlo. Stavolta decise di oltrepassarla dal fianco, senza toccarla. Mentre stava per superarla un gatto gli saltò davanti e lui, spostandosi di lato, inciampò sulla pietra.

Anche Mirko aveva creato un’usanza da ragazzo: si era messo sotto il cartello stradale “Cicladia” e, girato verso l’esterno, aveva urlato: «Benvenuti!» Da quel giorno tutti quelli che passavano di lì avevano preso a imitarlo, era diventato un rito d’accoglienza. Quando aveva conosciuto Zaira fu molto orgoglioso di raccontarle che era stato il primo a imporre quella tradizione. Mirko riconsiderò ora la risposta di sua moglie all’epoca: «Non volevo farlo, ma quando sono passata di lì non ho avuto altra scelta che urlare». Lui non ricordava nessuna imposizione, aveva scelto di farlo. Forse perché era stato il primo.

Mentre rifletteva sulle sue scoperte, senza rendersi conto di dove andasse e di chi lo circondasse, si ritrovò al viale degli innamorati: in quella stradina la tradizione voleva che qualunque coppia, anche lui e Zaira, dovesse scambiarsi il primo bacio. Mirko stava per passare oltre, ma si fermò quando vide che c’era Lorenzo, il benzinaio, che baciava una donna. Aspettò, curioso di sapere a chi il destino avesse riservato una storia con quel poco di buono. Quando Lorenzo si scostò, i due occhi lucidi e terrorizzati di Zaira lo fissarono. Incredulo, con un’angoscia di piombo avvinghiata al cuore, Mirko scappò nel vicolo laterale, ignorando il richiamo disperato di sua moglie.

Camminò tutto il giorno, cercando di ragionare solo delle scoperte sulla città, rifiutando di ricordare ciò che aveva visto. A sera inoltrata fu costretto a fare i conti con la realtà e volle tornare nel viale degli innamorati. Perse un battito quando da lontano vide una coppia baciarsi, ma stavolta non si trattava di Lorenzo e Zaira. Fu sorpassato da un ragazzo sovrappensiero che non lo notò neppure, ma che si arrestò di colpo quando vide la coppia che si baciava. La ragazza sgranò gli occhi e lui, dopo un momento di smarrimento, scappò per il vicolo laterale, mentre lei lo chiamava invano.

La mattina dopo Mirko preparò il caffè. Si sedette sul letto con Zaira e, mentre sorseggiavano la loro bevanda, le guardò gli occhi lucidi. Lei, senza nemmeno alzare lo sguardo dalla tazzina, gli disse: «Buongiorno amore mio». Sua moglie ora lo fissava trattenendo le lacrime, condannata a rivivere ogni mattina quel rito ormai vuoto. Mirko invece si torturava, incapace di ricordare se avesse incrociato un altro viandante prima di scoprire il tradimento. Non avrebbe mai saputo con assoluta certezza se sua moglie avesse scelto di tradirlo o fosse stata costretta, per le assurde regole di questa città maledetta, a perpetuare la stessa scelta fatta in quel luogo da qualcun’altra prima di lei.

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Discussioni

  1. Questo racconto è assolutamente superlativo. Avevo colto un vago riferimento alle Città invisibili di calviniana memoria, e la ripetizione di uno schema che imprigiona la vita dei personaggi crea un senso di oppressione delle loro vite che riesci a trasmettere benissimo con la scrittura. Il tutto mi sembra una metafora di chi, per paura di fare un salto nel buio, non vuole cambiare una vita insoddisfacente. I miei complimenti.

    1. Ciao Cassandra, piacere di leggerti. Sì la lettura delle Città invisibili mi ha davvero fatto venir voglia di vivere una di queste città fantastiche, soprattutto nell’incipit ho voluto richiamare Marco Polo che racconta. Ti ringrazio per la bellissima chiave di lettura e per i complimenti. A presto.

  2. Marco,
    devi scusarmi perché non sarò breve.
    Questo tuo pezzo mi ha lasciato addosso una strana inquietudine, quella che nasce quando qualcosa tocca punti profondi, dove pensavi di aver già capito tutto, e invece no.

    Mi ha fatto pensare a quante volte inciampiamo nello stesso sasso, anche quando lo vediamo da lontano, anche quando giuriamo a noi stessi che non ci cascheremo più… forse quel sasso siamo proprio noi. O meglio; è fatto del modo in cui siamo stati cresciuti, educati, esposti al mondo.

    Mi sono chiesto: perché Mirko non scappa, alla fine? Perché nessuno attraversa la piazza in diagonale, anche se nessuno può più bocciarli? È paura del giudizio? Inerzia? Oppure è che dentro di noi si muove un codice silenzioso, un riflesso condizionato, un’idea profonda – e invisibile – di come si “debba” vivere, di cosa sia giusto provare, di come sia giusto reagire.

    Il destino non è una forza mistica che ci piomba addosso. Il destino, spesso, è la somma dei nostri condizionamenti: la nostra personalità, il nostro modo abituale di reagire, le frasi che ci portiamo dietro da bambini. E quella personalità nasce, si forma, si plasma nella famiglia in cui siamo cresciuti, che a sua volta è figlia del tempo, del luogo, della cultura che la contiene.

    Uno svedese, di fronte a un bacio come quello che descrivi tu, probabilmente avrebbe reagito in maniera molto diversa da un siciliano di settant’anni fa. Non per amore, non per insicurezza o per fiducia, ma per cultura. Perché ogni società insegna – senza mai dirlo davvero – cosa è normale, cosa è inaccettabile, cosa è dignitoso, cosa è reazione, cosa è tradimento.

    Io ho sempre cercato di seguire solo me stesso. Ho preso spesso la strada diagonale, ho evitato i sassi per principio. Ma anche questo, mi chiedo: non è anch’esso un rito? Un condizionamento al contrario? Forse essere “liberi” significa solo essere cittadini di un’altra Cicladia, con tradizioni diverse. E mi sento libero solo perché vivo in un posto dove le mie abitudini sembrano ribellioni. Ma forse, anche lì, sono incatenato a qualcosa che non vedo.

    E mi chiedo anche: quand’è che il protagonista comprende davvero che nessuno ha colpe, che nessuno è speciale?
    Quando vede reagire l’altro ragazzo tradito nello stesso modo in cui ha reagito lui? Quando porta la colazione a letto anche se magari vorrebbe solo piangere o litigare?
    Quando si impone il silenzio invece di fare domande o mandarla semplicemente a quel paese?
    Oppure quando realizza che, in fondo, non era poi così romantico e speciale perché ogni mattina portava il caffè a letto alla donna che ama?
    Forse era semplicemente uno dei tanti e il gesto che per noi lettori era dolce e romantico era sterile già prima?
    Il tuo Marco è un brano di una bellezza e di una tristezza tragica, incredibile ma mi piace pensare che ci sia un modo per reagire.

    Io per esempio, come piccolo atto di ribellione, sfruttando la mia nuova consapevolezza, se proprio non fossi riuscito a scappare… almeno un cazzotto al benzinaio glielo avrei dato.
    Lo avrei fatto per gioco, per principio, per antipatia. Per inaugurare una nuova tradizione: ogni volta che si fa benzina, si dà un cazzotto al benzinaio. Un gesto inutile, liberatorio, forse l’unico davvero nostro perché frutto di una consapevolezza che se non liberi ci rende capaci di sfruttare un po’ il vento.
    In realtà l’unica cosa che davvero possiamo fare è leggere, riflettere e viaggiare per cercare di trovare il paese Cicladia che più ci somiglia.
    Grazie amico per avermi regalato un momento di riflessione.

    1. Benvenuto Paride,
      un bellissimo commento che mi riempie di gioia (oltre al fatto di vederti qui). Quando ho scritto Cicladia, ispirato da Le città invisibili di Calvino (Zaira è in onore di una di quelle città), volevo in qualche modo immaginare come fosse vivere in una di quelle città così strane da lui descritte. Poi mentre pensavo questo, mia moglie ha azionato il tergicristalli mentre guidavo e non si vedeva più niente. Non era la prima volta che succedeva, e questa ripetizione mi ha dato l’ispirazione, anche perché stavo tornando verso Ascoli, quale esempio migliore di una città che non cambia e non vuole cambiare? Con le sue proteste contro i dehors che impedivano la vista del duomo da ogni angolo, con la gente arrabbiata perché non poteva calpestare piazza durante il concerto di Sting, con qualunque proposta di novità respinta, con il suo attaccamento morboso alla Quintana, alle olive e all’Ascoli di Rozzi degli anni 80. E mi sono ricordato di me, cresciuto lì, che arrivavo la prima volta a Bologna e mi rendevo conto che il mondo in cui ero cresciuto era diverso dal mondo fuori (anche se la piazza che non si attraversa in diagonale è proprio piazza maggiore di Bologna). Ma ogni volta che tornavo ad Ascoli, mi riadattavo a quel posto. In ogni viaggio che ho fatto in vita mia, sono stato un Mirko che apriva gli occhi sulla sua città (tant’è vero che all’inizio il protagonista si chiamava Marco). E dalla città il discorso si può traslare alle persone, alla cultura, alle nostre convinzioni. E sì, anche fare sempre il contrario di quello che dicono gli altri può essere poi una tradizione di cui si diventa prigionieri. Sono felice che questo racconto abbia creato così tanti spunti di riflessione. Volevo scriverlo tantissimo mentre ero al volante, ne sentivo proprio il bisogno.

      1. Non sapevo di Piazza Maggiore, del resto io ho conosciuto Bologna in maniera disordinata e gironzolando senza metà in solitaria nei tre anni da soldato. Prendevo il treno da Forlì, compravo un libro innuna delle bancarelle piene di libri, mangiavo qualcosa e mi sentivo libero. Non conoscevo questo “sito o gruppo ma quello che hai scritto era troppo bello per non commentare.

  3. Bene che dire, se non che è davvero crudele e struggente questo spaccato di vita quotidiana in cui molti di noi – a me per fortuna non è capitato o almeno spero cos’ sia – si sono ritrovati a vivere. Scritto molto bene a parte quei pochi refusi che ti go evidenziato in privato. Buona serata.

    1. Grazie Silvio per essere passato a leggere e commentare e per la bella chiacchierata in privato. Colgo l’occasione per invitare chiunque avesse segnalazioni o suggerimenti a scrivermi sia in privato che commentando direttamente il racconto.

  4. bellissimo racconto! quell’ignaro, all’inizio, mi è risuonato per tutta la lettura, fino a quando l’ho ritrovato cercando di coglierne il senso. L’ho interpretato come la chiave di lettura del testo (se mi sbaglio, perdonami…)
    Mirko vive con la sensazione di non avere via di uscita, come se il suo destino, magicamente legato a quello degli altri paesani, fosse già scritto da principio. Si percepiscono fili invisibili che lo tengono legato a schemi ben precisi, quelli di un intera popolazione, e sembra completamente ignorare che ci sia una scelta al di là di tutto questo. Mi hai ricordato Cecità di Saramago. Quel modo di vedere lì.

    1. Wow Irene, che paragone importante, grazie! È una bellissima lettura che inquadra il tema con un’angolazione leggermente diversa da quella con cui l’ho pensato scrivendo, ma ugualmente valida, ed è una cosa che mi affascina molto come ho avuto modo di scrivere anche ad altri. È come se fossimo ad un simposio in cui avessi dato un tema e una prima lettura, e ora tutti ci stessimo confrontando su quello stesso tema, mettendone in luce mille varianti diverse. Grazie per tutto questo.

  5. Questo racconto mi ha incuriosito per il modo originale con cui mostra come spesso siamo prigionieri inconsapevoli delle abitudini e delle tradizioni. Mi ha colpito molto l’atmosfera malinconica e surreale, e soprattutto il finale che lascia aperta una domanda amara: siamo davvero liberi nelle nostre scelte o stiamo semplicemente ripetendo qualcosa che altri hanno già deciso per noi?

    1. Ciao Pasquale, ti ringrazio sia per aver letto sia per l’analisi così approfondita. Che il racconto ti abbia lasciato con delle domande su cui riflettere è per me uno dei complimenti migliori che potessi farmi.

  6. Ciao Marco! Beh: geniale👏🏻 Una storia che vorrei tanto aver scritto io. Amo il realismo magico, i significati nascosti dietro a racconto che non pretendono di dare spiegazioni. Questa storia mi sembra tanto una metafora del provincialismo (poi magari sbaglio tutto, eh), realtà stagnanti e ripetitive, zone del crepuscolo la cui unica via di fuga sembra essere la scoperta della nostra maledizione riflessa negli altri, e viceversa. Vabbè, nel caso io avessi interpretato male, mi è piaciuto lo stesso molto🤗

    1. Ciao Nicholas, grazie per il bellissimo e articolato commento. Avevo immaginato i tuoi gusti già dal commento di ieri e ti devo dire che sto scoprendo il realismo magico solo ora, con colpevole ritardo, ma che mi ha già completamente rapito.
      E no, non sbagli affatto con la tua interpretazione. Vivo in provincia e sono cresciuto portandone fiero il vessillo, poi un giorno ho visto la mia città per quello che era e l’incantesimo si è rotto.
      In ogni caso felice che la lettura ti sia piaciuta (come a me era piaciuto moltissimo leggere il tuo racconto).

  7. Si legge volentieri e l’ho trovato intrigante. Proponi una visione che sta a metà tra il paranormale e la decisamente più consueta capicità degli esseri umani di trovare un motivo trascendende ai loro accadimenti. A ogni modo non sveli cosa succedeva nella via sotto casa di Mirko e Zaira, chissà…?
    Grazie per la piacevole lettura

    1. Ciao Paolo, grazie a te per la lettura ed il commento. Mi fa piacere tu abbia apprezzato il gioco di rimanere sul filo del rasoio per la doppia interpretazione, è una cosa che vale per molti degli episodi narrati, ma non per tutti.

  8. Il tuo racconto mi ha incantata. Poetico e originale, lascia quella sensazione di stranezza come fanno gli eventi che ci capitano e cui non riusciamo a dare una spiegazione.
    L’immagine di Zaira con gli occhi lucidi è particolarmente toccante.
    La città fa da sfondo. Sembra la causa di tutto, ma forse il vero artefice è lo stesso protagonista.

    1. Ciao Cristiana, quello che mi piace qui su Edizioni Open è che si dia vita a un racconto e poi esso intraprenda un percorso independente, anche diverso da quello immaginato dall’autore. È bello che ognuno dia un’interpretazione soggettiva a una storia, mettendoci inevitabilmente qualcosa di sé. Ti ringrazio per averlo apprezzato, e per avermi detto di averlo trovato anche poetico: su questo sto cercando di migliorare, per dare un minimo di ricercatezza al mio stile.

        1. Grazie, troppo gentile, e… XD XD XD (rivolto al commento sotto a cui non posso rispondere per raggiunto limite di thread nei commenti)

        2. (dovevano essere tre faccine che ridono a crepapelle, si vede che ricordandomi la serie sono già rientrato nello stato d’ansia di Giorgio e ho cominciato a sbarellare)

  9. Questa città che impone alle persone di ripetere sempre le stesse azioni, come rituali, mi ha fatto subito pensare all’altro tuo racconto, quello che ho letto ieri sull’intelligenza artificiale. In entrambi i casi, c’è la sensazione di perdere se stessi e scoprirlo è senza dubbio scioccante! Niente, i tuoi racconti sono sempre spettacolari.

    1. Grazie Arianna, sia per aver letto entrambi i racconti che per aver dato questa tua lettura così profonda che trova una linea di collegamento tra loro. Ti ringrazio per le tue parole, troppo gentile.