Corteo al crepuscolo

Serie: Anatomia sepolcrale di un sogno


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: All'interno della sua suite, Gustav trova la cantante, immersa nella vasca di un bagno di gran lusso. Nel frattempo riceve la visita inattesa del giudice Max, che lo mette al corrente di nuovi sviluppi relativi all'incidente.

«Quello che mi dice, giudice Max, sa di assurdo. Che cosa può esserle capitato? Sarà sopravvissuta allo schianto? Lei lo crede possibile?»

«Mi meraviglio di lei, avvocato. Oggi continua a sorprendermi, ma in modo negativo, mi perdoni. La cantante potrebbe essere sotto shock e vagare per le strisce del bosco, o non essere mai salita sull’autobus dell’orchestra, avendo deciso all’ultimo momento di disertare. I familiari della cantante saranno qui a breve, ignari della situazione della figlia, naturalmente, come potrà immaginare. Sarà lei, in prima persona, a dovergliela spiegare, direttore, senza dare troppe speranze, ma accettando di occuparsi personalmente della sua ricerca, prima che sia troppo tardi. Mi sono già informato. Sono ricchi e possidenti. Vedrà che se riuscirà a ritrovare la loro unica figlia, la sua reputazione e il suo status cambieranno di tanto, in modo irreversibile. Diventerà molto più importante di un avvocato e di un giudice come me, nonché di un direttore di una rivista specialistica di ermetismo lirico spicciolo, si fidi, ma adesso mi tocca proprio andare. Mi raccomando grande tatto e premura, allora. Nulla deve trapelare oltre le apparenze.»

«Il cognome della coppia, giudice. Sarebbe importante che lo sappia per tempo.»

«Certo, il loro cognome, ha ragione. Dunque, adesso non lo ricordo. Comunque… se passa giù in portineria troverà l’elenco dettagliato di tutti i componenti dell’orchestra. Una delle due cantanti è morta, nonostante sull’elenco risultino morte entrambe, ma è un elenco provvisorio, stilato per emergenza prima degli ultimi rilevamenti. Vada per esclusione, non avrà che due cognomi con cui combattere. Adesso devo scappare. Le auguro buon appetito e buon lavoro, direttore. Passerò nei prossimi giorni per un resoconto» disse il giudice e poi sgusciò fuori dalla mia suite, lasciandomi pietrificato. La faccenda si faceva complicata. Tra l’altro non ricordavo la presenza di due cantanti donne, ma di una cantante e di un cantante. Che strano.

Mi misi alla finestra, al posto che occupava il giudice Max prima di uscire, fissando con avidità il corteo delle auto nere, con i familiari che si avvicendavano lungo le penombre dei viali. Gli autisti in livrea facevano scendere gruppi di persone di varia età, tutte stravolte, alcune completamente distrutte, coi visi sfigurati dal terrore. Guardavo le auto e pensavo alla mia vita; poi alla cantante, che non aveva un nome e un cognome e che dal fondo luminoso della suite mi gridava: «Il mio nome, signor direttore. Ti interessa saperlo oppure no?» Mi affacciai nel bagno imperiale, dove la vidi da lontano, immersa nei vapori, in accappatoio e con un asciugamano a turbante sul capo, che mi gridava: 

«Elvira, amore mio. Il mio nome è Elvira». 

Le corsi incontro.

«Che nome straordinario! Mi piace un mondo» le gridai, inginocchiandomi e sfiorandole con le dita le cosce fumanti, ben tese. 

«Ho una responsabilità enorme. Non riesco a negarmi davanti a nessuno. Tutti si sentono in diritto di poter disporre della mia vita professionale per situazioni lontane che poi diventano vicine senza che io faccia nulla per avvicinarle, capisci?» e intanto le aprivo l’accappatoio mentre lei faceva la preziosa: 

«Per favore, non adesso. Mi devo asciugare, andiamo, direttore» e io le annusavo le gambe e poi risalivo, continuando a logorarmi sull’accoglienza prossima dei parenti delle vittime e sul fatto che avrei dovuto avere a che fare con i suoi genitori, forse già fuori di senno, gli unici a poter covare una speranza che li allontanasse dall’orrore del vuoto di una sua possibile fine, come le dissi, facendola balzare come un capriolo per averla penetrata a fondo con il taglio di una mano. Si scostò da me con violenza. Si ricompose per bene l’accappatoio e mi fissò, grondante di odio: «Sia ben chiaro, Gustav. Ho cambiato idea. Da ora in poi voglio essere morta a tutti gli effetti. Dovrò essere considerata alla stregua di tutti i membri dell’orchestra. I miei genitori non devono sospettare nulla della mia esistenza».

«Guarda che nell’elenco dei morti tu non compari. L’ho appena saputo dal giudice Max.»

«Lo so bene che risulto dispersa, ma non è obbligatorio che debbano saperlo anche loro. Il più tardi possibile.»

«Non capisco perché non vuoi farti sapere viva dai tuoi genitori?»

«Sono affari miei. Fingerò di non esistere, almeno per i primi tempi, poi si vedrà. Non è escluso che un domani non possa fargli una sorpresa, ricomparendo come un fantasma nelle loro vite, semmai con una telefonata notturna, quando ormai avranno perso ogni speranza; ma adesso non se ne parla.»

«Quello che posso fare, per non distaccarmi dai dati ufficiali, è darti per dispersa, ma non per morta, sarebbe paradossale.»

La cantante mi ascoltava, camminando per la stanza a braccia conserte. Mi chiese una sigaretta. Le dissi di controllare in uno dei cassetti, ma lei non trovò né sigarette né accendino. Cominciò a innervosirsi. Sbattendo cassetti sbatteva anche gli occhi. Ogni tanto guardava dalla finestra, scorrendo con sguardo luciferino le macchine nere e lucenti del corteo.

«Tra poco dovrebbero spuntare i miei. Chissà come si sentiranno. Saranno distrutti, oberati dal dolore, dalla follia. Vorrei essere dentro di loro, nelle loro menti sfracellate.»

«Io cercherò di scoraggiarli, non posso fare di più. Posso accennare loro che un ferito grave è solito allontanarsi dal luogo dell’incidente, perdere molto sangue e smarrirsi nei labirinti del bosco incontrando trappole, sortilegi o animali selvatici, per poi andare incontro a una fine assai più tremenda del primo impatto, per esempio; o che di solito i ritrovamenti, in zone particolarmente fitte e tenebrose, possono avvenire dopo mesi, addirittura dopo anni, forse mai. Dipenderà da tanti fattori, spesso imprevedibili, insomma: potrei ancora giocare sulla mia esperienza di avvocato, calcare un po’ la mano su alcuni elementi che ho testimoniato e analizzato nelle mie cause, a cavallo tra speranza e disperazione.»

«Allora vieni qua, Gustav, che adesso ti perdono. Fatti dare un bel bacione dalla tua strega» venendomi vicino, con un’aria diversa, mansueta. Si sollevò entrambi i seni e se li tenne uno per mano, più turgidi e venosi di come li ricordavo. «Ti piacciono?» mi chiese «Dimmi la verità: quanto ti insidiano i miei galeoni?»

Serie: Anatomia sepolcrale di un sogno


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Discussioni

    1. Ciao. Mi sa che con questo tuo pensiero tu abbia colto in nuce l’essenza linguistica e formale dell’intero progetto, la sua componente magnetica e il continuo gioco di contrasti e di situazioni poste in bilico, al confine impalpabile di più verità e livelli di realtà. Grazie del commento e dell’attenzione. Un saluto.