
Cuore nero
Era una storia d’amore nata come tante altre.
In un casolare, durante una festa con gli amici, lui l’aveva notata anche se lei lo considerava solo un amico e non si immaginava nemmeno di essere l’oggetto delle sue attenzioni. Non si vedeva bella, per cui tutto quel girarle intorno era solo un modo piacevole di passare qualche ora in compagnia.
Il corteggiamento si faceva serrato, anche se il cuore di lei era dedicato ad un’altra persona che in quel momento non era raggiungibile.
Inaspettatamente arrivò l’invito a passare una serata insieme, “come amici” chiarì lui e lei accettò anche dopo aver capito che il suo amore impossibile non sarebbe stato ricambiato. La serata passò piacevolmente fino a che, una volta tornati a casa, lei cominciò a piangere senza riuscire a controllare le sue parole; in quel momento vide solo la spalla dell’amico su cui riversare la sua delusione d’amore. Lui, consolandola, le confessò il suo amore.
Adesso lei sembrava guardarlo con occhi nuovi, quasi avesse sempre saputo che era lui il suo destino. E cominciò il loro percorso insieme. Le serate con gli amici, le cene romantiche, le domeniche a pranzo dai genitori di lui.
Ma presto l’oscurità, che vegliava su questa coppia, scese man mano come un cappotto pesante e sempre più giù li avrebbe portati.
La compagnia era composta da persone con diverse situazioni: ragazze single, coppie in vista del matrimonio, scapestrati con la sola idea di divertirsi. Si ritrovavano al solito bar, le ragazze in braccio sulle gambe dei loro fidanzati che flirtavano con le loro bellezze sfrontate.
Anche lei voleva questo, ma no… Lui doveva dimostrare di essere un vero uomo, non uno sdolcinato amante perso negli occhi della sua amata.
Si era arrivati al punto che lei addirittura raggiungeva la compagnia con la propria auto, perché lui non voleva essere schiavo degli orari e sottostare ai suoi desideri. Quando voleva arrivare, arrivava.
Se lui l’andava a prendere, non scendeva dall’auto come un vero innamorato rispettoso di lei e della sua famiglia: si avvicinava e scampanellava, rimanendo fermo all’interno dell’auto. Senza sapere che la mamma di lei mal vedeva questo atteggiamento, mettendola più volte in guardia che quello era il primo passo verso la mancanza di rispetto. Lei faceva spallucce e scendeva giù anche correndo, per evitare che l’insofferenza di lui generasse l’ennesimo litigio.
Le cose con il tempo presero sempre più una brutta piega; lui era possessivo e apatico e le serate di allegria, passate con gli amici, erano solo uno sfocato ricordo.
Per lei l’alternativa del sabato sera poteva essere di scegliere tra una passeggiata al centro del paese, con lui che si presentava con una squallida tuta acrilica blu e mocassini, o sul divano guardando tutta la sera tristi telefilm degli anni ’90 fino a che i genitori di lui andavano a dormire.
Scegliere la vergogna di camminare con una persona appositamente sciatta o buttarsi in modo apatico su un divano, non riuscendo più a percepire lo scorrere del tempo.
I mesi passavano e dell’uomo possessivo che era non rimase più nulla.
Facevano l’amore e lui si girava subito dall’altra parte, come se il suo fosse stato solo un bisogno: era ormai solo sesso e neanche dei migliori.
Quando lei era sul divano e voleva tornare a casa e a lui non andava di muoversi, la scelta era molto poca tanto che una volta uscì e tornò a casa da sola, a piedi, con tutti i pericoli che avrebbe potuto trovare lungo la strada. E neanche una chiamata o un messaggio da parte di lui, che con il telecomando continuava a fare zapping da un canale all’altro.
Non poteva farci niente, sapeva ormai che lui era così, che lei era solo il suo giocattolo del momento, che avrebbe appoggiato quando si fosse stancato.
Di tutta questa faccenda la cosa positiva era che lei teneva un diario, con il quale si sfogava di tutta la sofferenza che pativa e della quale non riusciva a liberarsi. Lui la ignorava per giorni e poi arrivavano rose nel suo ufficio. Litigavano perché lei chiedeva un rapporto stabile e sereno e poi la chiamava sul posto di lavoro, come non fosse successo niente.
Lei soffriva sempre e sul lavoro le cose non stavano andando bene, il suo pensiero purtroppo era solo per lui e per i suoi sbalzi d’umore.
Poi una chiamata al lavoro: era la mamma che, preoccupata per i suoi atteggiament, aveva letto il suo diario. Dopo una prima reazione spropositata, dettata dal fatto che era stato violato l’unico suo momento di intimità, le lacrime le scesero e ascoltò muta la mamma che le spiegava quanto fosse malato quell’amore.
Nei giorni successivi ei capì che valeva di più di quello che lui le faceva credere; e che avrebbe sicuramente posto un out-out a questa situazione.
Prese l’auto e andò da lui, trovandolo in camera sua che ascoltava pigramente dei vecchi brani di cantautori italiani.
Cominciò ad alzare la voce e a sputare tutte le parole che fino ad ora erano state chiuse nel cassetto più segreto del suo cuore. Lui reagì in modo veramente esagerato, si alzò di scatto e, mentre lei cominciava ad incamminarsi a passo svelto verso la sua auto, lui la raggiunse. La afferrò per la vita e cominciò a sgrullarla e strattonarla in alto sopra di lui; appena la abbassò, si trattò di un rapido secondo e lei sgattaiolò dentro la sua auto per scappare via.
Si trovava imbottigliata nel traffico sul cavalcavia verso la strada di casa e già pensava che lui fosse solo un incubo passato.
Quando all’improvviso sentì scuotere tutta l’auto, si girò e vide immediatamente lui, con i tratti del viso deformati, che imprecava e le ordinava di scendere. Era talmente fuori di testa che neanche gli importava che tutti lo stessero vedendo.
Il traffico cominciò a scorrere e lei in un breve istante pensò che avrebbe dovuto seminarlo: lui era a qualche auto di distanza e grazie ad una scorciatoia arrivò ad un distributore di benzina abbandonato dove, ben nascosta, con la coda dell’occhio, vide la macchian di lui tirare dritto e passare oltre.
Un brivido freddo percorse la sua schiena ed un sospiro di sollievo le purificò l’anima.
Nei giorni seguenti niente messaggi, niente chiamate. Ora stava a lei disintossicarsi da quel veleno, lei doveva resistere dal non comporre il suo numero.
Si ritenne fortunata che lui si fosse semplicemente stancato del suo giocattolo e che continuasse a vivere tranquillamente la sua triste vita.
Gli amici? Ma quali amici! Erano le sue conoscenze, non quelle di lei, per cui nelle settimane a venire nessuno la venne a trovare per sapere come stava e nessuna chiamata ricevette sul cellulare per essere invitata.
Meglio così.
Adesso stava vivendo un silenzio, in pace, che l’avrebbe aiutata a ricostruire tutta se stessa.
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