
Da Fernanda all’Irlanda
Mon amour, mon amour… la solita suoneria del cellulare aveva rotto il silenzio della camera dove le due donne, nonostante fosse quasi l’ora del pranzo, ancora sonnecchiavano. Gi’ era balzata sul letto, seduta per un attimo a stropicciarsi gli occhi, poi, ancora intorpidita dal sonno, aveva cercato di alzarsi per andare a rispondere.
Il cavetto del caricabatteria, ancora inserito dalla notte precedente, l’aveva fatta inciampare. Era andata a sbattere sulla sedia accanto al letto, urtando malamente il minolo del piede destro. Mentre rispondeva alla chiamata, il dolore era tale che, invece di rispondere pronto o magari, ciao, come va, le era scappato un rabbiosissimo «merda!».
Pino suo cugino, dall’altro capo del telefono era rimasto in silenzio per un attimo, poi, seccato, le aveva domandato: «’Orca put… Ma con chi ce l’hai, oh?»
«Scusa Peppi’, ce l’ho con la sedia. Ho inciampato e mi sono pestata il dito piccolo del piede.»
«Uhm, tanti già e’ dabori bellu. Ascu’ o Gine’, ti sono chiamando da un’ora, al cittoffono; perché non mi rispondi? Pure ieri notte ti ho telleffonatto tre volte… e nudda. Si può sapere in dove dimoniu ti eri stimponata?»
«Peppi’, non fare domande e non ti dirò bugie. Ma… mi hai detto che ora sei al citofono? Non dirmi che sei venuto anche tu a Berchidda?»
«Ita a’ nau? A Berchidda?E ita do i fatzu deu in cussa bidda?» (1)
«Ma, allora, dove sei?»
«In basciu di casa tua, cara cugina stimmatta. Ho visto la macchina e mi sono pensato che già eri tornata.»
«Quale macchina, Peppi’?»
«Quale macchina? Poita, medasa funti?(2) Io vedo solo quella bianca, in dentro del parcheggio.»
«Stai parlando della Porsche?»
«Cussa, eja, sa Porsche.»
«Ma… mi stai prendendo in giro o ti sei bevuto una scodella di filu ferru, oggi, al posto del caffellatte?»
«Gine’ mi sei dicendo che seu imbriagu?»
«Ma no, non arrabbiarti, sto scherzando. Io sono a Berchidda, con Susi. La Porsche ce l’hanno rubata. Quella che vedi sarà un’altra vettura simile.»
«Simmille? Ti sei scarescia che io le targhe delle macchine, quando voglio, me le arregodu be(n)i. E poi c’è l’adesivo con il sirbone * che ti avevo regalato.»
«Com’è possibile? Ma… Peppi’, dimmi una cosa: di che colore sono i coprisedili?»
«Del colore di prima, Gine’.»
«Fucsia, rosa shocking?»
«A cabori de ca(n)i fuendi.(3) Non lo so come si dice in itagliano, quel colore strammu.»
«Controlla lo specchietto retrovisore, Peppi’. Tu l’avevi rimediato da un’altra macchina e Giglio l’aveva montato, ti ricordi?»
«Eja, che già m’arregodu. Anche quello è simmille, simmille.»
«Quindi mi stai dicendo che dopo avermela rubata per ben due volte, ora me l’hanno riportata a casa, senza neanche un graffio?»
«Tranquilla, Gine’, né scarraffiusu,* né bunjusu.* Bella, bella, luxenti, luxenti.»
«Incredibile, non riesco a crederci. Tutta questa storia sembra lo scherzo di un cretino. Va be’, appena torno ne riparliamo. Ciao Peppi’, grazie.»
«Ciao sorresta, torra in pressi.»(4)
Intanto anche Susi si era svegliata e aveva ascoltato l’ultima parte della conversazione. Impalata, con gli occhi sbarrati, la bocca spalancata e le froge dilatate.
«Dobbiamo chiedere a Mary se può accompagnarci alla stazione di Berchiddeddu; ormai qui ci siamo rimaste anche troppo. Non vorrei che la macchina sparisse di nuovo, per la terza volta.»
«Eja, certo, ma quelle dove sono?» aveva chiesto Susi, guardandosi intorno.
Il letto di Betta era rifatto alla buona. Sul bianco candido del guanciale risaltava il giallo di un foglietto. “Io e Mary siamo uscite per fare un’escursione. Presto o tardi torneremo. State a letto che è meglio; così non combinate guai.”
Dopo aver letto il messaggio, Gi’ aveva fatto una smorfia, poi aveva mosso il piede per andare al bagno. Il dolore era ancora forte; abbassando lo sguardo aveva notato che il minolo stava diventando grosso quasi quanto il pondulo. Sembrava un po’ gonfio anche il dorso del piede, fino alla caviglia. Zoppicando era arrivata fino alla doccia. Le serviva del ghiaccio, qualche pomata e forse una stecca, per immobilizzare il dito del piede che poteva essere rotto.
«Su’, vai Giù.»
«Ah?»
«Vai giù dalla signora Fernanda a chiederle se ha quella pomata… come si chiama… quella che ci mettiamo per i suggelli*.»
«Ah??»
«Quella miopatica.»
«Ah??? Ma come parli oggi? Mi sembra di sentire tuo cugino. Hai sbattuto il piede o la testa?»
«Va be’, lascia perdere.Vai in farmacia e fatti dare qualcosa. Prima, però, chiedi alla signora Fernanda, se può darti del ghiaccio.»
In quello stesso momento la proprietaria del B&B Da Nanda, aveva bussato alla porta della loro camera. Era quasi mezzogiorno e ancora non le aveva viste scendere al piano di sotto, neanche per fare colazione. Quando Gi’ le aveva spiegato del piccolo scontro del piede con la sedia, lei si era precipitata a chiamare Enrico, suo figlio, che faceva l’infermiere all’ospedale Antonio Segni, di Ozieri.
«Tranquilla Gi’, adesso arriva il dottor Fermi e ti rimette a posto.»
«Chi ti ha detto che si chiama Fermi? E poi non è un medico.»
«Non hai sentito cos’ha detto sua madre? “Quello ne sa più del primario di un reparto di ortopedia”; quindi dev’essere un genio.»
«Certo, se l’ha detto la mamma.»
«Niente di strano che sia qualche pronipote di quell’altro Enrico che avevamo studiato a scuola. Te lo ricordi? Gli avevano dato pure la medaglia Nobel.»
«Quello che dici tu, però era un fisico: Enrico Fermi.»
«E va be’, ora vediamo questo, che razza di fisico è.»
Quando il “dottor Fermi” era entrato nella stanza, per Gi’ era come se il tempo si fosse fermato. E lo spazio intorno a lei trasformato in un angolo di paradiso, raggiante di luce verde, emanata dallo sguardo di quel giovane uomo che, con ferma delicatezza e un tatto da farle accapponare la pelle, le aveva ispezionato e palpato il piede leso, la caviglia e la gamba, fino al ginocchio.
«Sospetta frattura del quinto metatarso e contu…» era stata la diagnosi, mentre Gi’ si perdeva nel suo sguardo, senza badare alle parole.»
Bisognava andare al pronto soccorso dell’ospedale di Ozieri per una RX.
In quel momento Gi’ si era fatta uno dei suoi soliti film. Occhi di giada e mani di guanto, portami con te tutta la vita, per curare ogni ferita del mio cuore infranto.
«Arrivederci.»
Susi, col suo tono di voce squillante, l’aveva riportata con i piedi per terra; mentre lui se ne stava andando.
«Grazie di tutto, Enrico. Ci vediamo in ospedale» era riuscita a dirgli, mentre lui stava già varcando la soglia.
«Questa settimana sono in ferie. Domani parto per le vacanze. Vado in Irlanda. Ora scappo: devo finire di preparare il trolley» aveva risposto lui, con un sorriso lieve, come il tocco delle sue mani, e con un tono garbato. E un ultimo sguardo, dopo averle ricaricato tutte le valvole un po’ fuse di vecchia ragazza sognatrice e inguaribile romantica.
(1) «Cos’hai detto? A Berchidda? E cosa ci faccio io, in quel paese?»
(2) «Perché sono tante?»
(3) Letteralmente: Il colore del cane che fugge. Un colore, quindi, difficile da definire.
(4) «Ciao cugina, torna presto.»
* sirbone: cinghiale
* scarraffiusu: graffi
* bunjusu: ammaccature
* suggelli: lividi
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Ma guarda, usiamo la stessa espressione anche in Sicilia per indicare un colore indefinibile. Culuri i cani ca fui 😀
Ciao Francesco. Ho saputo da Emiliano G. di questa coincidenza. Interessante scoprire nuove espressioni dialettali simili o diverse dalle nostre. Grazie per aver letto e per il commento.
Ed ecco un nuovo personaggio che arriva e entra a rotta di collo nella narrazione, segna un goal e se ne va. Che boccata d’aria fresca questo Dott. che Dott. non è. Secondo me, se continui così, a mettere insidie lungo il cammino, le nostre eroine a casa non ci arrivano più 🙄. Ad ogni episodio aumenta il divertimento, accresciuto dell’utilizzo del dialetto. In questo episodio, direi particolarmente esilarante. Brava 🙂 continua a farmi divertire così.
Ciao Cristiana, grazie🙏. Hai ragione: le due donne poco uscite di casa e molto vogliose di tutti i piaceri della vita, ancora inappagati, forse tarderanno ancora a rincasare. Spero di non annoiarvi con questo “itagliano” – come scrive il nostro caro amico – “correggiuto”. Ho una mezza idea sulla continuazione della storia, ma devo ancora svilupparla. Senza troppe ambizioni, se non quella di un piccolo svago (mio e vostro), animato da qualche sorriso.
Un abbraccio.
Stupendamente stupendo. Ho riso dall’inizio alla fine! L’ itagliano correggiuto misto al sardo campidanese è fantastico. È la perfetta fusione di ignoranza, bellezza e simpatia che possa esistere. A presto!
Ciao, speravo tanto che leggessi anche questo episodio, per la piena comprensione di un testo che, ancora una volta, e` un miscuglio un po’ azzardato di linguaggi vari, non tutti facilmente decifrabili. Certi Itagliani a volte sono un po’ strani.
Spero che tu stia bene. Un abbraccio. E grazie per questa confortante condivisione.
Immagino proprio tu sia sarda vista la conoscenza del dialetto
Non ci sono dubbi Kenji: Sarda da molte generazioni. Esattamente dal 1600 circa. Quando nella nostra isola ci fu la dominazione spagnola. E tu che sei un grande conoscitore della storia del nostro Paese e non solo, saprai forse meglio di me quando ebbe inizio e quando termino`. Il mio cognome Manca e` tipicamente spagnolo di quel periodo. Quindi nelle mie vene potrebbe scorrere sangue di quel popolo ma anche degli antichi Romani, Cartaginesi, Arabi… e Nuragici. La Sardegna ha subito, nei secoli, la dominazione di mezzo mondo.
Ciao kenji, mo’ leggo il tuo.
Come sempre nei tuoi racconti vedo il calore e la limpidezza della Sardegna. Anche io ho avuto qualche problemuccio con le parti in dialetto ma sono state proprio quelle, le chiavi giuste, che rendono amabile il tuo racconto. Complimenti.
Grazie Giglio per le tue parole sempre gentili. Questa volta mi sono limitata a tradurre solo alcune frasi piu` ostiche. Altre con un miscuglio di espressioni in dialetto, itiano e “itagliano”, le ho lasciata alla libera interpretazione del lettore. Spero abbiate potuto capite almeno vagamente il senso.
Grazie ancora Giglio. A presto col tuo prossimo racconto.
Nella mia risposta intendevo scrivere: italiano e “itagliano”, non itiano.
A parte il mio tentativo di capire il dialetto sardo senza leggere le note… Fallito miseramente, mi sono ritrovato a sorridere e a ridere per come mi hai fatto vivere la scena. Il crush per il dottorino, la macchina con i coprisedili color cani ca’ fui (dalle nostre farti si dice così) e l’ambientazione sfocata, ma riconoscibile dai piccoli particolari… M’arricrijai! (letteralmente: sono andato in estasi).
Oh, comunque la maggior parte di noi è fissata con gli occhi verdi! 😂
Ciao Emiliano, grazie. Se sono riuscita con questo mio modesto racconto a farti sorridere e anche a “t’ arricrijai” non potevo sperare di meglio. Mi piacerebbe sapere qual’ e` questo dialetto del “color cani ca’ fui”. Io li adoro tutti, nessuno escluso. E meno li conosco piu` mi attirano e li vorrei studiare. I miei ultimi 22 racconti sono tutti ambientati in Sardegna. Una lunga storia che inizia con “Ginetta la vendetta”, che sara` anche il titolo della serie. In alcuni episodi ho inserito molte frasi ibride e altre in dialetto campidanese stretto, con note accanto o a pie’ di pagina. In quest’ ultimo, ma non ultimo, le frasi sono soprattutto un mix di italiano e sardo, per facilitare la comprensione, senza eccedere con le traduzioni.
Il mio è il dialetto catanese. Uno dei tanti dialetti siciliani che alle volte hanno dei suoni veramente diversi anche tra province vicinissime…
Ciao ❣️
Ho dovuto rileggere più volte le scene dialettali, ma questo è un mio limite perché sono poco pratica … grazie per le frasi esplicative sotto … il testo è uno spaccato di vita quotidiana, mi ha fatto morire il momento dell’infortunio 😹 mi sono rivista molto nella scena e anche la scena del dottore con lui tutto professionale e lei che si faceva i castelli sugli “occhi di giada”
Anche il tocco dialettale richiama la vita vissuta.
Personalmente adoro quando un testo contiene un qualcosa che sembra così vicino al lettore da poterlo toccare, immedesimarsi è facile ❣️❣️ complimenti ❣️
Ciao Lola, grazie. Le esperienze servono tutte, anche gli inciampi e le cadute, da quelle piu` banali a quelle che ti lasciano strascichi per un lungo periodo di tempo. Come lezione di vita o come test di resistenza ossea 😂 (scherzo). E credo che nulla succeda per caso. I motivi delle cadute possono essere tanti, a parte la sonnolenza o la distrazione. L’ ultima delle mie e` stata probabilmente per un sabotaggio inconscio: costringermi a fermarmi. Ho dovuto farlo, per sette giorni, distesa sul divano, con edemi vari, contusioni e una microfrattura del quinto metacarpo. C’est la vie. Mi sono riposata. Anche se sarebbe stato meglio non tirare troppo la corda, fermarmi in tempo, o trovare soluzioni diverse, piu` intelligenti e meno dolorose.😘
“Il cavetto del caricabatteria, ancora inserito dalla notte precedente, l’aveva fatta inciampare. Era andata a sbattere sulla sedia accanto al letto, urtando malamente il minolo del piede destro”
Sto avendo un dejavu😂
Questa botta sinceramente mi manca, anche se ne ho collezionato parecchie. Soprattutto andando in bici, o per le zeppe delle calzature o inciampando a causa di qualche gradino.