Di fronte al dipinto

Serie: Il dipinto sul muro


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Così aspettavo la sera, la notte. E fu proprio una notte che la mia vita cambiò di nuovo, e fu quella notte che capii che forse non avevo perso tutto.

Freddo.

Ho chiuso le finestre e ho preparato il letto con la pesante coperta invernale. Ma sto tremando. Aria gelida mi avvolge come un lenzuolo bagnato che aderisce ad ogni millimetro della mia pelle. Un grigio uniforme, monotono pervade il mio campo visivo.

Leland. Leland!

È davvero una voce quella che sento? Di certo è un ricordo che tenta di riemergere dalla profondità dell’anima. Eppure è così reale.

Le immagini rimangono impresse nella memoria. È sufficiente chiudere gli occhi e liberarsi dalle costrizioni che la vita ci impone per riavvolgere il nastro e tornare indietro di giorni, o di anni. Non funziona così bene con le voci o con i suoni. È difficile riportare alla mente un ricordo fatto solo di vibrazioni di molecole d’aria. Ma questa voce

Leland. Leland!

La sento penetrare nel condotto uditivo fino ad attivare la sottile membrana che trasforma il nulla in musica, in armonie, in ricordi. E allo stesso tempo la sento dentro di me. La sento ansimare per risalire dagli inferi della mia mente, la sento combattere per annientare le mie stesse resistenze che vorrebbero bloccarla.

LELAND!

Questa volta si impone su tutto, supera le barriere psichiche e fisiche e irrompe senza più alcun freno dalla vibrazione delle mie corde vocali.

LELAND!

Troppo acuto, penso, non è la mia voce! Non è solo la mia voce! C’è anche…

«Papà?»

Mi svegliai urlando. Tremavo per il freddo e per la paura, mentre mi dimenavo per togliermi di dosso il sudario bagnato. Ci volle un po’ per capire che non c’era nulla sopra di me che mi impedisse di muovermi. Non ero disteso nel mio letto. Mi resi conto di avere gli occhi chiusi, le palpebre strette con forza, come se volessi tenere lontana una visione che avevo comunque intuito.

Aprii gli occhi.

La crudeltà della scena in cui mi trovai proiettato mi colpì con la violenza di un pugno. Quel poco di equilibrio instabile dato dalla posizione accovacciata non resse. Tentai di sollevarmi, ma i muscoli intorpiditi non me lo consentirono. Caddi all’indietro ritrovandomi seduto a terra nel grande atrio di ingresso, davanti al dipinto del cane.

«Leland…» sussurrai.

Era la prima volta che facevo quel sogno. Ed era la prima volta che ero preda di un episodio di sonnambulismo. Con il tempo avrei fatto il possibile per trovare spiegazioni razionali, per archiviare l’accaduto come evento eccezionale. Ero stato un sognatore finché la vita me lo aveva permesso. E la vita mi aveva concesso di trasformare quei sogni in realtà fino al momento in cui aveva smesso di occuparsi di me, il momento in cui mi aveva lasciato senza più sogni che valesse la pena seguire. Mio malgrado, il cinismo aveva pervaso il mio essere. Vivevo solo per il qui e ora, per la realtà immanente. Nulla al di là di ciò che potesse essere compreso in modo razionale. Comunque la vita riuscì a stupirmi ancora una volta, come vi racconterò più avanti, se avrete la costanza di ascoltarmi

Il sogno e gli episodi di sonnambulismo si presentavano inizialmente in modo sporadico. Li tollerai evocando la malinconia, la tristezza, la stanchezza fisica e mentale. Ma non ero pronto al continuo loro ripetersi, sempre uguali a sé stessi, sempre con più frequenza. Non ero pronto alla voce che mi chiamava ormai quasi ogni notte, non ero pronto a sentirla così vicina come se avesse superato il sottile velo che tiene separati i due universi. Una voce vera, una vibrazione di microscopiche masse d’aria, un evento fisico insignificante. E immenso.

«Cosa vuoi?» Ero inginocchiato di fronte a Leland dopo essermi svegliato ancora una volta fuori dal mio letto.

«Cosa vuoi?» ripetei. Lo schermo della ragione su cui stavo costruendo la mia versione di quegli episodi iniziava a perdere nitidezza. Quella voce, quel nome ripetuto in modo ossessivo penetrava nei microscopici interstizi dove trovava terreno fertile per destabilizzare la mia percezione del mondo.

«Cosa vuoi?» Ormai era un mantra che cantilenavo come se da quella domanda potesse scaturire la conoscenza. E ogni volta la voce mi dava la stessa risposta.

Leland, Leland!

Non ricordo per quanto tempo questo schema andò avanti, ma non posso dimenticare il giorno in cui le mie difese crollarono e la verità si mostrò in tutta la sua potenza, non più offuscata da nulla che si potesse frapporre tra lei e la mia mente. Una verità che conoscevo da tempo, ma che non avevo mai voluto accettare. Quella voce, la voce che mi attirava davanti al dipinto del cane, la voce che ripeteva il suo nome, altro non era che la voce di Sofia. Accettai quella verità e per una volta non tentai di coprirla con la mia fede nella razionalità. Disposi la mia mente all’ascolto, senza censure, senza filtri. Mia figlia mi spingeva verso Leland, mi chiedeva di cercarlo, mi pregava di liberarlo, anche se ancora non capivo da chi o da cosa. Mi implorava amarlo, perché Leland non è cattivo, ma solo grosso e può far paura se non lo conosci.

Una sola parola, un solo nome con dentro tutti questi significati.

E d’un tratto mi fu chiaro cosa avrei dovuto fare.

– – –

Mi inginocchiai, questa volta con la mente vigile, davanti a quello che ormai era diventato il mio migliore amico. Di fianco a me, ordinati come strumenti di una sala operatoria, avevo posizionato gli attrezzi di cui avevo intenzione di servirmi per aprire un varco sulla parete rientrante della nicchia. Avevo pensato prima di prendere la decisione. Era l’unico punto che avrei potuto demolire con relativa facilità anche se questo significava cancellare per sempre il dipinto, senza sapere se e cosa avrei trovato.

Sofia mi implorava ormai ogni notte di liberare Leland. Una piccola parte della mia mente mi chiedeva di desistere. Una scintilla che si perdeva tra i tumultuosi sogni e pensieri dettati da quel mondo che ormai non consideravo più come impossibile. Una scintilla che non volle soccombere e che si ribellò a tal punto che riuscì a fermarmi in tempo.

Avrei salvato il dipinto.

Decisi di scendere nelle cantine.

Serie: Il dipinto sul muro


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Discussioni

  1. Qui si pone il focus in maniera incredibile sulla psicologia del personaggio, e sul cedimento, che avviene poco a poco, delle sue barriere mentali. Anche il passaggio dal tempo presente (in cui racconti il sogno) al tempo passato che c’è in mezzo al testo, che immagino sia voluto, pare supportare questo focus.

  2. Mi è piaciuto tantissimo il punto in cui il protagonista definisce Leland il suo migliore amico. Un legame nato anche per amore della figlia. Mi ha ricordato il modo in cui spesso accade che ci innamorato di animali o oggetti appartenuti alle persone che amiamo. La voce di Sofia che guida il padre mi è apparsa rivelatoria. Sono curiosa di sapere cosa accadrà ora..

    1. Vero! Quanto volte ci troviamo di fronte a un oggetto da cui non riusciamo a staccarci. Non serve, è da buttare… eppure ne abbiamo la casa piena. Le nostre”winnicottiane” coperte di Linus.