Di quei giorni a Parigi non ancora sbiaditi

Serie: La giusta distanza


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Laura affronta la sua solitudine e riflette sui suoi sentimenti e su quello che vorrebbe.

-Guarda che il collutorio devi tenerlo in bocca almeno trenta secondi.

Quando Alessandro me lo dice siamo a Parigi, è il settembre del 2012, fa un caldo pazzesco e mentre i miei maglioncini rimangono inusati nella valigia, la nostra camera d’albergo guarda romanticamente la Torre Eiffel.

Noi in quel settembre stavamo insieme da appena tre mesi scarsi e tutti, ma proprio tutti ci avevano scambiati per degli sposi in luna di miele, eravamo veramente belli e veramente innamorati, di quegli amori folli che non contrasti, è come se ci nasci con dentro quell’amore che prima o poi ti raggiunge e ha gli occhi e le sembianze della persona che ami.

Per un tempo infinitamente lungo la persona che ho amato è stata Alessandro, ed è questo quello che mi chiede ora, se lo amo ancora.

-Sei ancora innamorata di me?

Me lo chiede stesi sul tappeto, con le finestre spalancate su una notte caldissima, irruenta, come tutte le volte che lui vuole vedermi e mi rimprovera che io non gli scrivo.

Giugno è arrivato così, rivendendoci a sbalzi, nei silenzi, nelle attese, nel mio provare tutto e nel mio non provare più niente.

Non so più che sia né dove sia la persona che ho amato, perché ora Alessandro mi pare solo un punto sfuocato di amore interrotto e più volte ripreso e mai più ritrovato.

-Ma che domande mi fai?

Non riesco a dirgli che non lo amo più ma che il bene che gli voglio mi spacca dentro, più di qualsiasi amore che ci potrebbe ancora essere fra noi.

Non riesco a ferirlo nemmeno quando nel sesso non sento nulla e non gli dico quanto sto bene quando a volte nel sesso risento tutto.

Quello che è bravo a ferire è lui.

A volte quando mi dice passo da te, cedo anche quando so che andrà male e ci allontaneremo, anche quando so esattamente quando la storia si chiuderà, perché sono realmente incapace di essere dura con lui e lui di questo si approfitta ogni volta.

Ma quando vuoi davvero bene a qualcuno, il bene non lo dimentichi mai né riesci a metterlo da parte.

-Ma non ti fanno strano tutti questi anni ed essere sempre a cercarci?

Lui mi sposta la ciocca dal viso e si mette sul fianco, fa scivolare le mani avanti e indietro lungo la pancia e i miei seni.

-Ci ho pensato molto, e credimi fa strano anche a me. Sempre qui, sempre io e te, forse allora questo è l’amore.

Io gli bacio una spalla e poi una parte di avambraccio.

-Forse, ma ora hai la tua vita.

-E tu, la tua.

-Ma io non devo mentire a nessuno.

Lui mi guarda affranto.

-Perché non molli tutto e vai da Alain?

-Non si molla tutto così all’istante per qualcuno che non è ancora nulla.

-Per amore sì.

Ci tiriamo su e mettiamo la schiena contro la parete gialla del divano.

-Non credere che io stia bene, è la prima volta che tradisco.

Io respiro più forte e gli metto una mano sulla coscia e lo guardo mesta.

-Tu non mi credi, non mi hai mai creduto, ma io non ti ho mai tradita.

Mi guarda con l’aria di chi ha appena perso le chiavi di casa.

-Lo so che non lo hai fatto, ma non sei mai contento di niente, da sempre, da quando ti conosco. Scappi da una cosa, ne vuoi un’altra, poi torni indietro.

Socchiude gli occhi, perso nel totale caos dei suoi pensieri.

-Per il resto, lo so che per me avevi preso una sbandata bella forte.

Lui in un attimo si fa serio.

-Io ero totalmente innamorato di te, eri l’amore della mia vita, avrei fatto di tutto per te, eri tutto, casa, famiglia, tutto.

Io lo guardo a lungo, in silenzio, arresa a non avere parole.

Arriva un punto della vita che, comunque sia stato il tuo passato, non ne puoi più di sentirlo e di riviverlo.

-È stato un grande amore.

Tutto quello che mi viene da dirgli è quello.

Siamo nudi, sudati, le tende bianche si alzano insieme ai nostri respiri nel petto.

Un tempo ci saremmo sicuramente addormentati insieme o avremmo tirato l’alba facendo uno strip poker molto.

-Ci avevo creduto davvero che questa volta andasse bene.

-E quando me lo avresti detto?

-Non lo so, ma poi non mi scrivi mai, non mi cerchi, sono sempre io, a volte mi manchi e dico, mi scriverà e invece nulla, ti cerco sempre io alla fine.

Mentre mi rimetto la maglietta ripenso a quanto fosse bello un tempo avere la naturalezza di scrivergli, ma ad oggi scrivere ad Alessandro non è di certo la prima cosa che ho in mente al mattino.

-Ale ma cosa ti scrivo a fare? Non sono più la tua fidanzata, non so nemmeno se e quando sei da solo.

Si tira su anche lui e mentre si riemette i pantaloni si sporge in avanti per baciarmi.

-Ma tu non preoccuparti di questo, scrivimi e basta.

-Va bene.

-Me lo fa quel caffè che hai proposto prima?

-Certo.

Lui fa sempre così, il caffè alla fine, quando sa che andrà via.

A Parigi invece non si svegliava mai, io volevo vedere mille cose e lui stava nel letto, poi si tirava su di scatto e in un attimo mi toglieva l’asciugamano e facevamo l’amore fra il balconcino, il tavolino e il letto, stava a baciarmi dappertutto, mi parlava in un francese inesistente, per poi dirmi: dai su, muoviti!

Scendeva per strada a fare la coda per le brioches calde e le baguette con il burro, così io, quando avevo finito di risistemarmi, scendevo in strada e lo trovavo sulla panchina di ferro nera ad aspettarmi, caffè bollente per lui, spremuta fresca per me e una quantità esagerata di carboidrati per entrambi.

Forse è per questo che ora siamo qui a casa mia, per quei giorni a Parigi non ancora sbiaditi, anche se adesso, la persona che ho di fronte il caffè lo prende senza zucchero e non più nelle tazzine di vetro e quando gli offro un pezzo di torta mi dice di no perché è a dieta.

Oggi di lui non mi sarei mai innamorata, sbiadiscono lentamente i sentimenti, come gli scontrini con gli inchiostri neri, ma quando lo fanno, diventano irrimediabilmente illeggibili. 

Serie: La giusta distanza


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