Di stelle e di caramelle

Serie: Diversamente sole


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Per chi ci arriva Massawa è sogno, per chi ci nasce è vita.

Quelli belli la vecchia Fatma li vede subito. Guarda quel ragazzo, per esempio, seduto due tavoli più in là: un guizzo di tendini perfetti tra il bordo sdrucito dei jeans e il morbido collo rigonfio delle scarpe da basket, la linea fragile del collo, quel lampo scuro persiano nello sguardo.

Ha un caffè davanti in tazza grande e l’ha lasciato raffreddare. Ha Rita di fronte, all’altro tavolino, e sembra non la guardi nemmeno. Pare finto da quanto è bello. Uno di quei principi cui si perdona tutto per un solo momento di fascino; uno di quelli che portano gli eserciti oltre l’Indo.

Non sa com’è capitato in questa città di perla e corallo, ma non ha importanza. Le ore corrono velocemente verso il pomeriggio.

Rita gli è passata accanto, anche lei fingendo di non vedere. Ma Fatma, che ha imparato a vivere, sa valutare con quanta velocità il cuore si possa perdere. Rita-dalle-treccine! Con quel ridente viso a cuore, quel grosso sedere e quelle mani di farfalla: beve caffè e Amarula prima di andare a dormire ma le farebbe meglio qualche uovo sodo. Per smaltire tutte le birre di venerdì scorso, una notte intera trascorsa con indiani e irlandesi.

Rita. Le danzano gli occhi: questa mattina è entrata nel negozio dell’arabo Mohammad e, tra sandali di plastica e scacciamosche, ha trovato quella melagrana. Svuotata, seccata e sbianchita. Una scatola per incantesimi.

Quella Rita! Magari sta aspettando che arrivi l’ora di salire i sessantasette scalini che portano alla discoteca più bella del mondo. Che importa se il cielo lassù sembrerà ancora più lontano, sopra le teste delle ragazze sedute ai tavolini del Torino. Occhi di stelle e bocche caramelle. Sorrisi e piroette per i marinai giovani e belli dagli occhi di cervo. Quelli che non pagano.

«Svelto ragazzo, portami un caffè, ma oggi ricordati di metterci il pepe!»

Fatma, rabbiosa senza un perché.

Yohannes è minuscolo e magro dappertutto, tranne che nel cervello. Non ha paura di Fatma, come gli altri ragazzini: le lancia una strizzatina d’occhio e corre a prepararle il caffè, con una generosa spruzzata di pepe. La vecchia è impaziente, si sta lasciando prendere dalla tristezza. Non le piace guardare gli amori che nascono e muoiono in un giorno ma cosa vuoi farci, siamo in un porto.

«Ah, bambina! Tua madre avrebbe dovuto insegnarti che ci sono altri modi per essere infelici, senza doversi innamorare di un principe vagabondo. Anche se la sua pelle profuma di rosa e ti guarda con un occhio azzurro e uno nero».

Ma è tardi, fa caldo ed è stanca di pensare al mondo. Vuole tornare a sognare seduta davanti alla sua bottega polverosa, dove sono rimaste solo conchiglie e vecchie monete.

Quando il sole si alza Massawa scompare, con le sue pieghe, i suoi interstizi e i suoi segreti. Nella luce bianca del mezzogiorno si può camminare per ore senza vedere nulla. Il porto è fermo e il mercato immobile, in questa città all’incrocio dei mondi. Occhio immobile del ciclone, carovane che non ripartono. Rita e Alex camminano. Fossimo altrove, nel nostro sud ad esempio, immagineremmo occhi che li sorvegliano dagli androni bui delle case. Qui a Massawa, inizio e fine di ogni cosa, non si spia e non si giudica ciò che non dura più di un sogno.

Il passo noncurante di Alex, il cuore indifeso di Rita. Potrebbe essere un’avventura diversa, pensa il principe vagabondo. Potrebbe essere una fiaba, pensa chi li vede passare.

Potremmo salire da me, propone Rita, e guida Alex lungo scale di legni sconnessi, verso stanze diroccate e lenzuola sgualcite e umide. Non c’è forma d’amore che possa durare.

Questa donna dalle mani grandi s’illude d’essere una regina, di quelle che potevano scegliere lo sposo. Non può capire che il profumo dei principi è delicato e volatile. Non si può mischiare all’odore di sudore e lacrime, alle cacche di bimbo e di gallina.

Rita, per te andrebbe bene un pirata, questo fanciullo non sa nemmeno mentire. Vedi che non riesce a toccarti? Ha idee strane sull’amore, lui: se potesse prendere solo i tuoi occhi e le tue mani, non ti lascerebbe più. È stato uno sbaglio portarlo qui e spogliarti davanti a lui. Rita, potevi almeno aspettare la notte.

Un venticello leggero che raccoglie i primi lenti zufolii e ispira accenni di danza, così, a piedi scalzi sull’asfalto. Giù per i muri cola una gioia sottile e insensata che sembra rugiada. Sta per arrivare la notte, i fantasmi dei pirati e dei mercanti hanno bisogno di musica per dimenticare quello che hanno imparato.

I chicchi verdi vengono messi a tostare sul fuoco. Donne sorridenti e felicemente grasse, accoccolate su sgabelli di legno e paglia, si accingono a celebrare il rito del bunna. Si prepara in un’ora, mentre a fianco bruciano i grani d’incenso: bollitura, sedimentazione, benedizione. Pianta e frutto che noi chiamiamo caffè, il bunna richiede tributi cerimoniali e non solo di tempo. Si prepara davanti alla porta di casa, nei vicoli, tra i palazzi di madrepora che hanno perso ogni memoria di ciò che furono. Le famiglie abitano solo al livello della strada: gli alti piani, i balconi di legno traforato e gli scalini sul nulla sono riservati ai gabbiani e agli angeli. Sulla strada, sotto un albero magro, si vive e si dorme, si guarda passare, si ricorda. Fatma si muove curva, rasente il muro. Il suo sguardo sapiente non si schioda dal suolo: è stanca di drammi, qui a Massawa se ne incontra uno a ogni passo. Si tiene lontana dal porto, va verso il mercato. Oggi è d’umore chiacchierino: vorrebbe parlare di stoffe e d’argenti.

«Meglio che vada da Maryam, così non mi seguirà più questo acre sapore d’amore che dalla mattina non riesco a levarmi di dosso».

Da Maryam la parrucchiera si parla di nuvole e del rosso laccato sulle unghie dei piedi. Di come si è svegliato questa mattina, ingrugnito, il suo figlio adorato. Di quanto migliore sarebbe qualsiasi altra nuora che non fosse Esther; della zia di Ibrahim che aspetta ancora notizie e dell’ultimo furto.

Dame: guardano il mondo da lontano, con preoccupazione leggiadra e i mignoli leggermente sollevati.

Compare Rita, da sinistra. Sembra che da lei si muova un’onda di dolore cupo, ma è solo un attimo. Già sorride svagata aggiustandosi la collana, cacciando una mosca importuna. Scuote le trecce, stringe più forte il sacchetto di pizzo che usa per borsa. Canticchia, vestita di rosso, sedendosi accanto alle donne. Allunga una mano e prende la boccetta dello smalto. Alza la voce e chiama la piccola Aida.

– Vatti a prendere un dolce, shekerina, dolcezza! Bello grande, ho guadagnato oggi!

Fatma sospira di sollievo. Brava ragazza, così si fa! Non rimpiangerli mai, tanto non tornano. Con la mano spinge verso Rita il fumo odoroso di bunna e d’incenso. Porta bene, si dice. Porta figli e figlie. Porta soldi e allegria.

Serie: Diversamente sole


Avete messo Mi Piace6 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Potrebbe essere difficile riuscire a immedesimarsi in racconti che narrano di luoghi così lontani, ma tu narri di sentimenti universali come l’amore.
    È impossibile non riuscire ad immedesimarsi, tra narrazione fotografica ed empatia.

  2. Molto bello questo episodio, che si focalizza sul personaggio di Rita. Belle le descrizioni e le scene narrate.
    Alcuni passaggi sono davvero molto evocativi, come, ad esempio, questo: “Non può capire che il profumo dei principi è delicato e volatile. Non si può mischiare all’odore di sudore e lacrime, alle cacche di bimbo e di gallina.”

  3. Ecco un altro dei tuoi magnifici racconti che ha trovato degno spazio in questa bellissima serie. L’ho riconosciuto ed è stato un piacere grandissimo ritornare in quel salone di bellezza a chiacchierare con loro e ascoltarne le storie. Grazie

  4. Questa storia, come le altre, sembra uscire carica di dettagli e immagini fotografiche direttamente da una memoria infinitamente capace, per poi depositarsi ordinatamente sulle tue pagine. Il frutto della fantasia è tanto ben organizzato ed integrato fra i ricordi da diventare indistinguibile. È difficile uscire da questi mondi, quando le parole si interrompono.

  5. Ancora una volta mi hai trasportato in questo mondo lontano, così diverso e affascinante. Attraverso il tuo sguardo attento e delicato, un insieme di immagini poetiche e al contempo, realistiche, con tante bellissime frasi da incorniciare. Grazie Francesca.