Diario di un pirata

… But the truly shocking thing was to look at the faces of all those men and women; chained in a way that is not even used for transporting cattle. In the darkness, tied to the floor of the bridge, they lay in their own excrement…

Dal diario del Capitano Powell – Ottobre 1650.

Esiste un modo “umano” di privare gli individui della libertà? Se lo domandava Sir Edward Powell, inabissando il suo pensiero in un diario privato.

Non aveva nessun titolo onorifico, in vero, se l’era dato da sé, privilegio e arbitrio di un uomo che aveva fatto di un tratto di oceano il suo regno, la sua casa.

E sebbene un giorno qualcuno gli avesse conferito una patente di corsa, un dignitario in nome del re, che la lettera di marca non lo nobilitasse affatto gli era ben chiaro. Quel documento non era altro che il benestare di un giovane ignavo ad assalire e depredare i suoi nemici; e sottintendeva che non avrebbe cagionato alcun grattacapo se avesse aggredito e derubato anche chi nemico non era, o addirittura amico: purché senza lasciare tracce e testimoni e, ovviamente, purché il re avesse ricevuto cospicua la sua parte.

Ma Sir Edward era una testa calda, come in realtà ce n’erano diverse in quell’epoca e in quel tratto di mare. Tuttavia, la sua caratteristica era quella di provare una certa ripugnanza nell’usare la violenza su gente inerme, e tanto meno amava le costrizioni e l’ingiustizia… Era un bel problema, per un suddito dello Stato che, in quell’area dell’Atlantico, maggiormente esercitava lo schiavismo.

In the year of the Lord 1650, on October 15th, off the island of Jamaica, headed for Kingston, we spotted a galleon; it was carrying slaves for sugar cane plantations… Scrisse nel suo diario il Capitano Powell.

Nessun’altra imbarcazione, di stazza grande o piccola era in vista, nessun testimone: Sir Edward attaccò il galeone inglese, una nave negriera di sua maestà.

Fu un gesto inconsulto, avrebbe annotato dopo nel suo diario, privo di ogni logica commerciale, privo del più comune buonsenso.

Non fu difficile avere la meglio delle scarse difese di quella nave: il comandante era giovane e inesperto, voleva dimostrarsi zelante e gli costò la vita.

Ma nemmeno il suo omicidio fu difficile; quello che fu davvero difficile fu aprire la stiva, guardare in faccia tutti quegli uomini e donne, incatenati come nemmeno nei trasporti di bestiame.

Al buio, legati all’assito del ponte, adagiati nei loro stessi escrementi… Sono ancora esseri umani? si domandò Sir Edward.

Lasciò in vita una parte dell’equipaggio, quella meno ostile, e affidò il comando della nave al leader degli uomini che aveva liberato. Disse che dovevano scegliere tra morire di fame e di sete nel tentare la traversata di ritorno, oppure cercare di abbordare altre navi per rifornirsi. In ogni caso avevano ben poche possibilità di salvarsi, ma potevano provarci da uomini liberi.

Edward Powell divenne così ufficialmente un pirata, con una carriera di abbordaggi di tutto rispetto, alla stregua di nomi come Vane o Morgan, sia pur con obiettivi differenti. Al contrario dei suoi colleghi, non sarebbe stato ricordato nei libri di storia, non sarebbe stato ricordato affatto, poiché è meglio rammentare la crudeltà al servizio del potere e del denaro che non un uomo che lottò contro ciò che nella sua epoca era considerato ordinario e convenzionale.

***

All’incirca trecentosettanta anni dopo, a Henry Powell capita tra le mani un antico diario. Non sa come sia arrivato fino a lui: benché conosca la storia del suo avo pirata, non si capacita di come un simile documento non fosse stato considerato un reperto storico d’interesse.

«Non lo vollero» gli spiegò il suo vecchio. «Quando tuo nonno, dopo la guerra, pensò bene di venderlo offrendolo al museo di Storia della marineria». Così Henry ha modo di leggere ciò che ancora era leggibile, ed era abbastanza.

Vi erano annotati minuziosamente i numeri dei convogli che dall’Africa caricavano uomini nelle stive e le loro rotte verso il nuovo continente; rotte che verso la fine della carriera di Sir Powell erano divenute un’ossessione, al punto di pagare di tasca sua l’equipaggio poiché, al di fuori del capitale umano trasportato, sulle navi negriere il bottino sovente era misero.

Riflettendo sui dati raccolti da Amnesty International, Henry scopre che nel ventunesimo secolo, numericamente, la pratica della schiavitù è assai più estesa che non all’epoca del Capitano Powell, considerando i quasi cinquanta milioni di persone attualmente soggiogate nel mondo [1], contro i circa dodici milioni catturati e deportati tra il 1450 e il 1900.

Fatti che i media normalizzano sistematicamente, sminuendoli fino a dissolverli. Henry è consapevole che si tratta di un’altra forma di privazione che affligge lui e tutte le persone che vivono il suo tempo. È indignato, perché la forza insidiosa di quella negazione lo fa sentire impotente.

***

«Capitano, così finiremo per tirarci addosso tutte le navi corsare inglesi, e le spagnole, e olandesi, francesi…» si lamentò il quartiermastro di Sir Powell, all’ennesima negriera liberata.

«Tu non ci pensare, non ti pago forse? Per la tua pellaccia che non vale certo quel che mi costa, poi. Diamo un po’ di vela agli Alisei… andiamo avanti!»

[1] https://www.amnesty.it/pubblicazioni/le-forme-moderne-schiavitu-scheda-didattica/

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Discussioni

  1. Ciao Paolo! Una tematica, quella di questo ottimo racconto, trattata in un modo molto originale. Mi è piaciuta la divisione su due piani temporali, e ho apprezzato molto il lessico adottato. Anche l’utilizzo di due lingue è una scelta particolarmente azzeccata. L’informazione riguardo i livelli di schiavitù odierni è agghiacciante.

    1. Ciao Nicholas, grazie per l’ attenzione riposta, e confesso che anch’io sono rimasto basito quando sono incappato in questi dati… ciò che di fatto ha ispirato questo brano.

    1. Grazie mille Irene, per fortuna scrivere non è come imbracciare le armi, ma tutto sommato credo che sia un modo per sollevare certe questioni, fosse solo per rammentare che, anche se non vogliamo vederle, sono sempre lì.

  2. “è meglio rammentare la crudeltà al servizio del potere e del denaro che non un uomo che lottò contro ciò che nella sua epoca era considerato ordinario e convenzionale.”
    Bellissima

  3. Un raconto molto interesante, soprattutto nei riferimenti al presente con i dati forniti da Amnessty International. Dati che inducono a riflettere e a renderci conto di quanto, oggi come in passato, la disumanità – nelle sue varie forme – sia spesso dominante in tante parti del mondo. Ho letto subito anche il documento e mi piacerebbe saperne di piú sulle aree geografiche in cui é presente questa piaga. Faró qualche ricerca. Peccato questo racconto non abbia almeno una seconda parte.

    1. Grazie Maria Luisa per la tua attenzione, per brani più lunghi sto ancora prendendo le misure qui… Per lo più, per orchestrare nelle dimensioni degli episodi dei pezzi che stiano in piedi… E anche perché l’improvvisazione non è il mio forte 🙂

  4. “È indignato, perché la forza insidiosa di quella negazione lo fa sentire impotente.”
    Molto bravo, Paolo e davvero bello questo resoconto che, a specchio, riflette due realtà, le quali, se tralasciamo il tempo trascorso fra l’una e l’altra, non sono differenti. Come tu hai portato in primo piano, la schiavitù moderna che spesso si cela sotto bieche forme accettate dalla comune volontà, è di gran lunga peggiore di quella passata. I numeri, se vogliamo leggerli, sono sotto gli occhi di tutti e tu hai fatto bene a lasciare il link per chi abbia voglia di saperne di più.
    La lettura è molto scorrevole perché lo stile che hai usato è quasi giornalistico, asciutto ma efficace.
    Una curiosità. Ho cercato di rintracciare la citazione iniziale e google mi ha indirizzata verso una pista, che però non so se è quella giusta. O magari, semplicemente, la citazione è tua.

    1. Grazie Cristiana per i tuoi commenti sempre ricchi, che esprimono attenzione alla lettura. Quanto all’apertura, se ti riferisci a quella, è banalmente una mia nata in italiano e tradotta per fare un po’ di effetto “diario di Edward Powell”, come mi sia venuta in mente non so, un’immagime rimasta da qualche film o romanzo…

  5. Ho letto con interesse questo racconto. L’ambientazione storica è resa bene e il personaggio di Sir Edward risulta credibile nella sua ambiguità morale. Bello anche il collegamento con il presente, che offre uno spunto importante di riflessione attuale.
    Personalmente, in alcuni passaggi avrei preferito meno spiegazioni dirette e più spazio ai fatti e ai dialoghi per far emergere i concetti. Nel complesso però una lettura piacevole e con un messaggio che arriva chiaro.
    Bravo Paolo!

    1. Grazie Mariano per aver letto, concordo con quanto dici sul “molto spiegato”, ero concentrato sul curare il pretesto per parlare della schiavitù e mi è uscito così… non è detto che non lo riveda. Grazie ancora.

  6. Scritto in maniera impeccabile come sto imparando a riconoscere sia la normalità per i tuoi scritti. Sarei curioso di sapere quale sia stata la tua fonte, non storica ma di ispirazione.

    1. Grazie Roberto, e boh, credo ci sia dentro un po’ di tutto (libri, serie o film…) di ció che riguarda i pirati e quel periodo che mi ha sempre affascinato. Il libro che forse preferisco è “La Vera Storia del Pirata Long John Silver” di Bjorn Larsson