
Distributori di senso di colpa
Serie: Personalissimo buio
- Episodio 1: La voce di una sirena colma di pietà pt.2
- Episodio 2: La voce di una sirena colma di pietà pt.3 (FINALE)
- Episodio 3: Quel posto che cresce all’incontrario
- Episodio 4: Accordi
- Episodio 5: Distributori di senso di colpa
- Episodio 6: La voce di una sirena colma di pietà pt.1
STAGIONE 1
«PORCA PUTTANA!»
Nel caffè solubile dentro al tazzone bianco tra le mani di Alex si stavano formando onde superficiali concentriche violente e stranamente regolari, intervallate da un forte imprecare che andava avanti da quattro-cinque minuti.
«MACCHINA DI MERDA!» Altre onde, altro calcione. Il muro dietro di lui tremava, e così pure tremavano il paio di metri di pavimento attorno al distributore di sigarette nella reception. Lui era seduto spalle al muro ad un tavolino nella piccola sala-mensa della struttura. Pessima scelta di muro, rifletté.
Gli inservienti, abituati a sopportare bizze di tutti i tipi, per adesso non sembravano eccessivamente turbati dalla scenata e portavano avanti le loro faccende in mezzo agli avventori. In fondo, da quando Sarah era stata ammessa, questa scena si ripeteva tutte le mattine. Di solito, dopo una dozzina di oscenità in forte crescendo per contenuto e fantasia, la successiva si troncava a metà, si sentiva un bzzzzzzz… tlunk eloquentissimo, accompagnato da un sospiro grato, e poi un forte battere di tacchi in allontanamento.
Seduto al muro antistante, il biondo infermiere alto due metri, Hans – appassionato di fitness, che avrebbe potuto far venire complessi di inferiorità a Thor in persona per il centimetraggio delle fasce muscolari del collo – finora con un’espressione zen stava soltanto cercando di far calare ritmicamente l’infusore nella sua tisana, dopo una nottata probabilmente piuttosto lunga, nello spazio di un istante sembrò smascellare incurvandosi in avanti, come per un crampo improvviso; da sopra due profondissime occhiaie piantò le pupille su Alex, che finora non aveva degnato di uno sguardo, senza dire nulla, ma facendo uscire l’aria dalle cavità nasali allargate. Alex si guardò prima a sinistra, poi a destra. Poi stiracchiò forte un sorriso inerme dai due lati della faccia, fece spallucce.
Hans sembrò allontanare la sedia all’indietro con il solo spostamento d’aria della flessione dei polpacci scattando in piedi.
Bzzzzzzz… tlunk. Sospiro. Tap tap tap tap…
Hans, lentamente, si risedette.
In quel mentre entrò nella saletta Gabe.
«Ciao, moccioso», disse, sedendosi di fronte al ragazzo.
«Quindi sono promosso a “moccioso” adesso?»
«E non fare il musone… Marianne, ciao. Puoi portarmi un caffè per favore? Anche due uova ed una brioches. Grazie.»
«Il caffè fa schifo, tra l’altro» commentò Alex poco dopo che Marianne si fu allontanata.
«Bella scoperta… Piuttosto, dì un po’: Sarah è passata?»
«Te la sei persa.»
«Nooo, cazzo! Che cos’è la colazione senza Sarah che distrugge la macchinetta?»
«Io le policy di questo posto non le capisco. Non potrebbero mettere uno spaccio, come negli ospedali?»
«Sei un pivello, ma ti ricordi dove sei? È una clinica per il recupero dei tossici, questa.»
«E allora?»
«Allora…» Arrivò la colazione e Gabe la accettò con un occhiolino, addentò la pasta, proseguì con la bocca piena: «dicevo, è tutto calcolato. Se tu andassi ad uno spaccio normale ti compreresti quello che ti serve, giusto? Snack, giornali, sigarette. Incontreresti gente, parleresti con chi te le vende, e sarebbe tutto “accettato” e trasformato in un rito quotidiano, senza vittime».
«Stiamo davvero facendo un’analisi complottistica sulle sigarette nei centri di recupero?»
«Perché, hai di meglio da fare? Ascoltami che la so lunga io, potrei essere tuo padre!»
Questo era vero. Stava parlando come si parlerebbe con il compagno delle superiori in un pomeriggio estivo seduti su un muretto. Ma questo qui aveva almeno una cinquantina d’anni, o giù di lì. Come ci si era trovato? Trangugiava una colazione da hotel, ma era qua per abuso di sostanze. E parlavano di distributori automatici.
«Senso di colpa. Solitudine. Questa è la base del concetto», sentenziò mentre prese a sorsate il caffè lungo che sembrava una sciacquatura di piatti. Fece una smorfia mentre lo sorbiva. Riprese, attaccando le uova: «qua tutti hanno problemi più gravi, e la sigaretta è il perno di permissività su cui si regge un castello intero di proibizionismo funzionale: tu non puoi farti con la roba che ti fai fuori, ma ti consentono una valvola di sfogo. Però, non te la possono dare col sorriso. Non possono neanche dartela guardandoti male, perché tu ti sentiresti vittima, e tramite il vittimismo legheresti con altri fumatori…»
«No, aspetta. Che c’è di male a legare? E poi tutte quelle riunioni, quelle sedute di gruppo…?»
«Non è il “legare” in sé il problema. Segui. È che in realtà con la gente così legheresti grazie ad una comune dipendenza, giustificandola. Se tu giustifichi mentalmente una dipendenza ne puoi giustificare anche altre. E rimani fottuto. Se ti vai a prendere le sigarette… dopo esserti ciucciato l’ultimo pacchetto… ad ogni ora del giorno e della notte e, mentre lo fai, sei anche da solo…» Mentre lo diceva usava la forchetta come la bacchetta di un direttore d’orchestra, facendola rotolare come tirando avanti il carro dei suoi concetti, con aria trionfale, aggiunse: «Volendo, ci puoi andare anche di nascosto… Mantieni tutto il senso di colpa per il fumatore ed elimini la giustificazione mentale».
Alex non sapeva se questo discorso lo affascinava di per sé o se era affascinato perché effettivamente aveva senso. Era una sorta di pensiero creativo che godeva più dell’aspetto narrativo dello scenario mentale che dell’effettiva veridicità delle basi da cui prendeva le mosse. Si accese dicendo: «Okay, quindi non va bene legare attraverso la sigaretta, perché le daresti un’aura di positività extra, ma va bene perché è un’utile valvola di sfogo che vietare farebbe più male che bene?»
«Bingo.»
«Ma il distributore che funziona male?»
«Serve a farti riflettere sulla tua vulnerabilità. Tutte le volte che fa i capricci, sei obbligato a prendertela con te stesso perché stai perdendo tempo dietro ad uno stupido distributore del cazzo che non ti fa neanche prendere la tua dose di nicotina in pace.»
«Vaffanculo!» Alex gli lanciò sul muso una bustina di zucchero.
«No, ehi, ascoltami!»
«No, che non ti ascolto! Mi stai dicendo che hanno messo lì apposta un distributore che funziona male per farti riflettere sul fatto che fumare fa male. Dici cazzate!»
«Questa è la quarta volta che vengo in questa benedetta clinica svizzera costosissima. Ho visto un saaacco di macchinette diverse», si sporse in avanti sul tavolo «…funzionano male DAGLI ANNI OTTANTA!»
Risero. Stavano persino facendo girare qualche testa, Hans però aveva consumato la sua tisana e sembrava un agnellino.
«Scherza, scherza. Ma ci pensi se fosse vero? Distributori che funzionano male apposta, per far sentire i tossici ancora un po’ peggio con sé stessi, un altro motivo per sentirsi in colpa.»
«Già Gabe, ma questo trasformerebbe tutti questi “percorsi riabilitativi”» Alex fece con le dita il gesto delle virgolette nell’aria, pronunciando le ultime parole con la voce grossa «…queste “TERAPIE”, così ben radicate nella scienza, in dei semplici corollari della morale giudaico-cristiana del peccato. Penoso.»
«Ah! Bhè, è un modo di vederla. Però di penoso ci siamo solo noi, qui. Non è che la morale della colpa sia poi così sbagliata.»
«Sei serio? Non ti avrei mai fatto un tipo religioso.»
«Non lo sono, infatti. Sei tu che hai tirato fuori Cristo. Però, pensaci: dopo esserti fatto del male. Dopo aver fatto male alla tua famiglia, a chi ti vuole bene. Non ti sentivi in colpa?»
«…Che c’entra?»
«Tutto quanto, c’entra tutto quanto. Non è che la morale “giudaico-cristiana”, come dici tu, sia sbagliata in sé. E ti dirò, Bibbia o non Bibbia, quando cresci cominci a capire il senso di tante cose. Ed anche quella morale che citi, ha senso. Moltissimo. Anzi, anche per chi si professa senza dio, forse soprattutto per loro, dopo essersi fatti male in tutti i moltissimi modi in cui ci si può far male. Anche senza metterci la relazione con gli altri… La colpa. La vergogna. È una delle poche cose che senti anche quando hai ammutolito ogni altra sensazione. Quel vuoto che senti quando hai avuto un ruolo a crearlo. Quei fori giganteschi e profondi. Che fanno male a te ed agli altri. Non ti fanno sentire in colpa?»
«Sì.»
«Senza colpa non c’è perdono e senza perdono non c’è redenzione.»
«La cappella è in fondo al corridoio, Padre.»
Una voce femminile, carica di derisione ed ingrigita dal fumo interruppe il filosofeggiare. Sarah si mosse dallo stipite della porta e, facendosi un segno della croce ampio e derisorio, si sedette scomposta al tavolo dei due. Li guardava con le braccia incrociate, masticava una gomma.
«Bah. Starò invecchiando.» Gabe si alzò. Si avviò verso il corridoio senza salutare, si stava già accendendo una sigaretta.
«Quindi tu bevi.» Sarah, sotto la sua frangia nero-pece perfettamente orizzontale, lo incalzò un po’ svogliata, lo guardava sotto due dita di mascara e matita, aveva uno smokey-eye pesantissimo ed una carnagione naturalmente molto chiara. Un look total-black, portava un dolcevita nero.
Il suo essere così diretta ed invadente lo infastidiva. Era tentato di andarsene come aveva fatto Gabe. Era lì da quasi tre settimane e lei gli aveva rivolto la parola direttamente soltanto adesso. Con quelle parole. Voleva dire una delle molte cose che gli venivano in mente. Non fu così entusiasta di dirle, invece: «Già. E tu ti droghi».
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- Episodio 6: La voce di una sirena colma di pietà pt.1
Anche questa puntata è volata. Episodio ben scritto, ben strutturato, scorrevole e che segue il filone (per me affascinante) del rapporto allievo/maestro. Un maestro sopra le righe, forse un esempio al contrario che, come nel più classico dei personaggi di Bukowski, incarna lo stereotipo del lucido beone, instancabile dispensatore di verità. Bravo!
grazie ad entrambi per il vostro tempo ed il vostro interesse 🙂
@antoninotrovato ho cominciato questa storia d’impulso, non l’ho scritta con alcun modello in mente.
sicuramente è frutto di tutte le mie suggestioni ed influenze.
non leggo Nietsche dai tempi di liceo, ma mi piaceva molto. dagli anni dell’università mi ero ripromesso di rivisitarlo con l’edizione integrale riorganizzata postuma dei suoi scritti che sta uscendo da qualche anno (credo fatta da Adelphi), magari è ora che lo riprenda in mano? 🙂
Mi riferivo proprio a questa collana, e ti consiglio proprio la Genealogia della morale, un libro davvero riflessivo che mette in luce le carenze della nostra morale e i concetti di bene e male, ovviamente col suo solito incedere, sprezzante e ironico. Beh, allora complimenti per il pensiero del distributore, senza saperlo ti sei davvero ricollegato a quei temi filosofici proposti da Nietzsche!
Potrei sbagliarmi, ma io, nel discorso tra Gabe e Alex, ho intravisto Nietzsche… Non è che hai letto la Genealogia della morale? Inoltre mi sembrava il maestro socratico col suo allievo, in chiave moderna, ovviamente, col chiaro tentativo di illuminare Alex sulla realtà interiore ed esteriore. Sarah è un bel personaggio, ma la stilettata di Alex è stata superba?! Continua così!
“Non fu così entusiasta di dirle, invece: «Già. E tu ti droghi».”… che bel fine episodio! 🙂 L’idea di Gabe sulle macchinette fa riflettere, ancora più la risposta di Alex. Due filosofi a confronto.