Due solitudini
Serie: Cinquanta Racconti
- Episodio 1: L’idraulico
- Episodio 2: Telefono erotico
- Episodio 3: Denise
- Episodio 4: La risata
- Episodio 5: UNA PASSEGGIATA SUL LATO SBAGLIATO DELLA NOTTE
- Episodio 6: Due solitudini
- Episodio 7: Novantanove palloncini rossi I
- Episodio 8: Novantanove palloncini rossi II
- Episodio 9: Novantanove palloncini III
STAGIONE 1
Era marzo del 2021 e Milano puzzava di disinfettante e pioggia vecchia. La città tratteneva ancora il fiato. I tram passavano vuoti, la gente camminava piegata, le vetrine chiuse riflettevano un’ansia muta.
Sedevo nel dehors di un bar di Brera. L’ombrellone gocciolava sul marciapiede. Il gin tonic aveva perso ghiaccio e sapore. I camerieri si muovevano lenti, infagottati nei giubbotti. Da un altoparlante usciva una musica che non voleva esserci.
Non scrivevo più da mesi. Ogni volta che aprivo il computer mi pareva di violare un silenzio collettivo. Tutto si era ridotto a un’attesa.
Lei attraversò la piazza senza ombrello. L’acqua le scivolava sui capelli raccolti in fretta, lasciando ciocche umide sulle guance. Indossava un impermeabile scuro, troppo grande per il suo corpo sottile.
Aveva il passo stanco di chi conosce ogni gradino della propria solitudine. Si sedette al tavolo accanto, tolse la mascherina e ordinò un Negroni. Le mani, lunghe e nervose, tremavano appena mentre accendeva una sigaretta.
Non era bella. Aveva un volto che non chiedeva niente, ma ogni tratto sembrava raccontare una rinuncia: la bocca disegnata con precisione e mai sorridente, le palpebre lievemente arrossate, il mento che tradiva un’antica testardaggine.
Sembrava una donna che aveva amato fino a perdere la misura, e ora cercava solo superfici asciutte dove posarsi.
«Ti va di dividere il posacenere?» dissi.
Mi guardò. «Condividere mi dà fastidio.»
«Nemmeno io lo sopporto. Ma il vento porta via la cenere.»
Fece un cenno, breve, d’assenso.
Avvicinai la sedia.
«Rocco.»
«Francesca.»
«Hai l’aria di chi ha bisogno di bere piano.»
«E tu di chi non vuole restare solo.»
Bevemmo. La pioggia cadeva a tratti, la gente passava veloce, gli ombrelli parevano maschere in fuga.
«Ti piace Milano?» chiesi.
«Una volta sì. Ora mi trattiene.»
«A me fa pena.»
«E tu che fai nella vita?»
«Fingo di scrivere.»
«Io fingo di vivere.»
Il silenzio che venne dopo non era ostile. Solo sospeso. Le luci del dehors disegnavano riflessi storti sui bicchieri.
«Ti va di camminare?» disse lei.
Pagai e andammo via.
Brera era deserta. I semafori lampeggiavano per nessuno, le vetrine chiuse tracciavano croci di luce sui marciapiedi. Procedevamo senza direzione, spinti dal bisogno di non tornare a casa.
«Dove abiti?» chiesi.
«Porta Venezia. Un bilocale che non sopporto.»
«Io in corso Buenos Aires. Troppo rumorosa per dormire, troppo vuota per restare sveglio.»
Lei rise. Il suono si spense subito, lasciando un’ombra d’imbarazzo, come se ridere non le fosse più concesso.
Arrivammo sotto un portone.
«Vuoi salire?» chiese.
«Solo se non parliamo di speranza.»
«Promesso.»
L’appartamento era ordinato per abitudine, non per cura. Bottiglie sul tavolo, un libro aperto, la finestra sul cortile.
«Non aspettavi nessuno.»
«Non aspetto nessuno da un pezzo.»
Versò gin in due bicchieri.
«Hai un marito?»
«Ne avevo uno. È rimasto altrove. Tu?»
«Mi sono perso. Non ricordo nemmeno quando.»
Restammo sul divano. La lampada gettava ombre larghe sui muri.
«Mi hai guardata troppo a lungo per non dire nulla.»
«Ti ho guardata per assicurarmi di esistere.»
«Ti è servito?»
«Per ora sì.»
Si chinò e mi baciò. Un bacio calmo, preciso. Il corpo cercava calore, non futuro.
Ci spogliammo senza fretta, con la cautela di chi non è certo del proprio diritto.
Ci toccammo finché la pelle non bastò più a contenere il bisogno.
Non c’era urgenza, solo una resa tranquilla.
Dopo, restammo distesi. Lei fumava, io fissavo la finestra. La luce dell’alba esitava sul muro.
«Mi manca la normalità ,» disse. «La spesa, un litigio, un abbraccio senza pensieri.»
«Mancano anche a me, pur non avendoli mai avuti.»
Si addormentò sul mio petto. L’odore dei suoi capelli coprì quello del disinfettante.
All’alba la pioggia si era fermata. Lei si alzò, indossò una camicia bianca.
«Devo andare al lavoro.»
«Dove?»
«Commessa in un negozio di scarpe. Mascherine, clienti nervosi, turni senza fine.»
«Un nuovo girone dell’inferno.»
«E tu?»
«Torno a casa e provo a scrivere qualcosa che non mi disgusti.»
«Scrivi di me.»
«L’ho già fatto, prima ancora di conoscerti.»
Sorrideva mentre cercava le chiavi. Io presi il suo taccuino dal tavolo.
«Posso?»
«Se trovi spazio tra le liste della spesa.»
Scrissi una poesia e il mio numero.
Chiusi il taccuino e lo lasciai accanto al portacenere.
Uscimmo insieme. Le strade erano lucide, i tram riprendevano a passare.
Ci salutammo davanti alla fermata.
«A presto, Rocco.»
«A presto, se il mondo non chiude di nuovo.»
Camminai fino a casa. Preparai un caffè, accesi il computer. La pagina restò bianca. Respirava, anche lei.
La sera il telefono vibrò.
Ho letto la tua poesia. È malinconica e vera. Se non hai impegni, torna a trovarmi. Fai un po’ di compagnia a chi non dorme.
Rimasi seduto con il bicchiere in mano. Poi scrissi: ci vediamo tra poco.
Spensi le luci, indossai l’impermeabile e uscii.
Milano era tutta riflesso. Respirava piano, stanca ma viva.
Serie: Cinquanta Racconti
- Episodio 1: L’idraulico
- Episodio 2: Telefono erotico
- Episodio 3: Denise
- Episodio 4: La risata
- Episodio 5: UNA PASSEGGIATA SUL LATO SBAGLIATO DELLA NOTTE
- Episodio 6: Due solitudini
- Episodio 7: Novantanove palloncini rossi I
- Episodio 8: Novantanove palloncini rossi II
- Episodio 9: Novantanove palloncini III
Ciao Rocco, con questo racconto intenso e malinconico mi hai fatto rivivere la Milano del 2021, sospesa tra pioggia e solitudine. E’ scritto con grande sensibilità e ritmo
Ah, e se Francesca non sopporta più il bilocale in Porta Venezia… io lo prendo volentieri!
Bello. Un po’ come le ciliegie, quando sono particolarmente buone, delicatamente agrodolci. Anche leggendo questo tuo racconto, una frase tira l’altra. Un po’ – direi anche – come la famosa mozzarella dello spot pubblicitario di qualche anno fa: meglio consumarla lentamente, “che sennò finisce subito”. Così pure “Due solitudini”. Hai reso bene l’ idea di due corpi e di due cuori intirizziti. L’ incontro e il loro modo di ritrovare un po’ di calore, in un periodo in cui il mondo era spaventosamente chiuso, trasmette sensazioni confortanti.
Grazie Maria Luisa per aver letto è commentato. E’ la prima volta che riesco ad ambientare un racconto durante il covid. Vivendo a Codogno ho vissuto molto male quei momenti e faccio ancora fatica a scriverci sopra.
Sono lieto ti sia piaciuto.
«A presto, se il mondo non chiude di nuovo.» Questa frase, invece, mi è piaciuta molto.
Ciao Rocco, parto da quello che mi è piaciuto, il finale che lascia uno spiraglio sul futuro e le descrizioni, immagini vivide come l’ombrellone che gocciola.
I dialoghi, invece, mi sono sembrati forzati, poco realistici e troppo astratti.
A differenza di altri tuoi racconti, l’ho apprezzato a metà .
Ciao Melania. I dialoghi sono il mio punto debole. Faccio sempre fatica a scriverli in maniera naturale. Soprattutto non riesco a distinguere le voci. Ci sto lavorando.
Un rapporto naturale e senza pretese in una giungla senza anima.
Bravo
Alla fine, se si smette di guardarsi solo dentro, la solitudine si può superare. Bravo, Rocco!
Però! Bello, mi è piaciuto
Grazie