Elia, storia di uno che ha scritto invano

Elia aveva troppi anni.

Viveva in un bilocale al quinto piano, in un quartiere che non compariva più nemmeno sulle mappe. Palazzi grigi, ringhiere arrugginite, ascensori rotti da decenni. Il suo appartamento sapeva di carta, di polvere e di fumo vecchio. Niente figli, niente moglie, pochi amici.

Non aveva mai voluto internet. Non sapeva usare uno smartphone. Sul tavolo, accanto a una tazza sbeccata, resisteva ancora la sua vecchia macchina da scrivere, nera e pesante, con i tasti consumati.

Non era mai stato pubblicato. Nessun editore aveva creduto in lui. Dicevano che era troppo crudo, troppo malinconico, troppo ā€œfuori mercatoā€. Lui, però, scriveva lo stesso.

Scriveva di notte, quando il silenzio si faceva più denso, e di giorno, tra le urla dei bambini nel cortile. Scriveva ovunque: sui quaderni rimasti bianchi, sulle buste delle bollette, perfino sul retro degli scontrini.

Aveva riempito cassetti di romanzi, lettere, poesie, confessioni. Aveva raccontato ogni angolo della sua anima, anche quelli più sporchi, quelli che nessuno vuole vedere.

Aveva amato una donna per anni senza mai toccarla. L’aveva descritta cento volte, in cento modi diversi, eppure nessuno di quei fogli le era mai arrivato.

Aveva amato persino l’umanitĆ  che lo derideva. Quella che lo chiamava ā€œfallitoā€, ā€œillusoā€, ā€œfuori postoā€.

Elia non era solo un uomo dimenticato.

Era stato un ragazzo respinto: quello che restava in disparte alle feste, che rideva fuori tempo, che non sapeva ballare. La società lo aveva accantonato presto, come si fa con le cose che non servono. Ma nei suoi occhi era passata più vita che in mille uomini riusciti. Aveva visto più amore in uno sguardo distratto che in dieci storie ufficiali.

Aveva pianto scrivendo. Riso scrivendo. Odiato scrivendo. Ma non aveva mai smesso.

La sua vita era stata un susseguirsi di illusioni: mille tentativi, mille ā€œquesta volta sarĆ  diversoā€, mille attese di una lettera che non arrivava mai.

Nessun premio. Nessuna fama.

Solo pagine. Come figli mai nati.

L’ultimo racconto lo aveva fatto soffrire per giorni.

Si intitolava Io volevo solo essere un bambino.

Era la storia di un piccolo palestinese che sognava di non morire dopo i suoi genitori.

Nessuno lo lesse. Restò nel cassetto.

Come tutto il resto.

Il suo unico compagno era un cane vecchio, con le zampe lente e gli occhi pieni di gratitudine. Lo seguiva ovunque, persino quando Elia si sedeva davanti alla finestra con una sigaretta spenta tra le dita, a guardare la cittĆ  che correva senza di lui.

Un pomeriggio, dopo aver corretto per l’ennesima volta un manoscritto che non avrebbe mai inviato, Elia si fermò.

Appoggiò le mani sulle ginocchia. Guardò il cane, che dormiva raggomitolato sul tappeto, e pensò:

“Non ho cambiato il mondo. Nessuno ha letto i miei sogni. Ma ho resistito.”

E forse non era poco.

In un tempo in cui tutti volevano apparire, lui aveva scelto di restare vero.

Non c’era spazio per gente come lui nel mondo degli algoritmi, dei follower, dei libri venduti prima ancora di essere scritti. Ma c’era spazio nel silenzio. C’era spazio nella veritĆ  di chi vive, cade e si rialza senza che nessuno lo applauda.

Allora prese un foglio nuovo, lo infilò nella macchina e cominciò a battere i tasti, lentamente, come se fosse un respiro.

Non era un racconto. Non era un romanzo.

Era una lettera. L’ultima.

ā€œNon ho lasciato nulla al mondo, tranne le mie parole.

Le ho scritte per chi non ce l’ha fatta a parlare.

Le ho scritte per quelli come me: invisibili, ma veri.

Se qualcuno le leggerĆ , forse capirĆ .

Se nessuno lo farĆ , va bene lo stesso.

PerchƩ io ho amato.

Io ho sentito.

Io ho scritto.

E questo, per me, ĆØ stato vivere.ā€

Quando finì, tolse il foglio e lo posò accanto agli altri, con una cura infinita, come si posa un neonato in una culla.

Richiuse la macchina da scrivere.

Fece un ultimo sorriso al suo cane, che alzò appena la testa come per dire: ā€œSono qui.ā€

Si avvicinò alla finestra. La città sotto di lui era la stessa di sempre: rumorosa, indifferente, distratta.

Eppure, in quell’istante, sembrò fermarsi.

Come se sapesse che un uomo vero, ignorato da tutti, aveva appena concluso la sua storia.

Avete messo Mi Piace1 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Difficile per me non soffermarmi su molte delle righe che hai scritto e non trovarci qualcosa che mi parli. Credo sia un linguaggio universale per molti di quelli che hanno una passione come la nostra, e tu lo sai dominare con parole appropriate.

  2. L’ho trovato uno scritto di grande intensitĆ  e poesia. Un ritratto sobrio, misurato, legato alle cose non dette, alle lettere non spedite, a quelle parole scritte, o solo immaginate, che a volte, solo perchĆ© tenute per sĆ©, raggiungono l’infinito.

  3. Ciao Lino, ĆØ particolarmente interessante questo tuo personaggio. Da un canto impietosisce la sua solitudine, giacchĆ© gli individui, per come li conosciamo, hanno la necessitĆ  di essere riconosciuti e considerati dal proprio prossimo; ma da un’altra prospettiva, in cui ci conduci raccontando, pare che la sua sia piuttosto una scelta, al di la di essere poco estroverso in gioventù, dice di amare, ma non spedisce nessuna lettera, scrive storie e romanzi che restano chiusi nel cassetto… e aspetta che qualcosa succeda, ma chi potrebbe mai rispondere a una lettera mai spedita…? Quindi, mi viene da pensare che il secondo tratto sia quello della paura, il timore di esporsi, il dubbio che ogni inevitabile compromesso porta con sĆ©… in definitiva, un personaggio ben più profondo di quanto possa apparire, perchĆ© anche nei peggiori frangenti della vita c’ĆØ sempre anche qualcosa di buono, ma bisogna correre dei rischi, mettersi in gioco. Alla fine, io la sigaretta gliel’avrei fatta accendere… ƈ giusto una personale chiave di lettura. Grazie molte per il bel racconto

  4. Quanta malinconia e quanto dolore, nel dramma della solitudine… trovo che tu descriva benissimo una vita segnata solamente dell’abbandono, e soprattutto trovo bellissimo il finale: la cittĆ  che si ferma sembra quasi una possibilitĆ  di redenzione per Elia, e mi fa sperare in un futuro più luminoso per lui, per quanto la sua vita si avvicini alla fine. Bravo.

  5. Identificarsi nel protagonista con cui condividiamo la stessa dedizione alla scrittura, é inevitabile. Noi tutti, peró, non possiamo piú fare a meno di internet, anche se puó capitare ancora, qualche volta, di segnare appunti nelle buste delle bollette e anche negli scontrini. La conclusione non é un lieto fine e, per quanto fosse non del tutto inaspettata, é come incassare un duro colpo.

    1. @cedrina Credo che in ogni racconto ci sia sempre qualcosa di noi: a volte una frase, a volte un ricordo, a volte solo una sensazione. Qui ho voluto intrufolarmi proprio cosƬ. Il finale resta sospeso… magari arriverĆ  una telefonata, magari un ripensamento… o magari deciderĆ  di usare per la prima volta internet, iscriversi a Edizioni Open e scoprire un nuovo mondo, dove i suoi pensieri e i suoi scritti possano finalmente essere letti. Magari…

      1. Queste tue parole sulle diverse possibilitâ di un finale mi confortano. Che resti sempre una speranza, anche quando tutto sembra perduto, mi pare un bel messaggio. Buona giornata, Lino.