Eserciti di spie

I ninja vestirono di nero da cranio a piedi e si armarono di lame. Agli ordini del loro comandante, si mossero come una muta di ratti.

La stessa cosa fecero gli altri eserciti di ninja, o spie che dir si voglia, e ogni reparto si preparò all’azione.

Quando i primi due eserciti giunsero in vista, le avanguardie diventarono come tumori ed esortarono il resto della formazione a seguirli.

Così si fece.

Presto, gli eserciti si affrontarono in una lotta senza fine, occhi cavati, stomaci squarciati, le braccia e le gambe che venivano amputate come se quella fosse una festa.

Non era una festa.

L’obiettivo degli eserciti era un diamante che si trovava in cima alla mia montagna, ma via via che si combattevano in quella maniera, come se non avessero altro pensiero che lottare perché uccidere e morire era la loro ragione di vita, io li guardavo dall’alto e applaudivo a ogni singolo gesto di eroismo, li esortavo a fare di più, poi rimanevo seduto sul trono, in attesa che qualcuno di loro fosse più intelligente di quel che avevano dimostrato fino a quel momento.

Senza che accadesse.

Io sono il re della montagna e gli eserciti di spie si eliminarono gli uni con gli altri finché non rimasero che pochi superstiti i quali, indecisi e troppo spaventati dalla morte cui avevano assistito, si dispersero.

Risi di loro, non erano più bravi ninja determinati a prendere il mio diamante, ma semplici omini che non avevano più cervello, degradati a belve senza intelletto, non riflettevano e l’unico loro pensiero era salvarsi la vita. Niente più coesione, niente più rispetto del sacrificio dei loro amici, tenevano soltanto a non sacrificare se stessi.

Li disprezzai.

E ora, stavo lì, in attesa di un nuovo pugno di eroi che desiderava raggiungere il diamante, prenderlo e arricchirsi.

Non successe.

Almeno, non nel breve termine.

Annoiato, vidi altri eserciti di spie equipaggiarsi alla guerra, prepararsi e motivarsi a lottare contro i loro stessi simili, e lo facevano per semplice avidità; li capivo, non quando preferivano cedere tutto e sputare sulle sofferenze altrui.

La situazione sarebbe durata a lungo…

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Discussioni

  1. Ciao, ho trovato intrigante il preludio alla battaglia, e man mano che leggevo (qualche passaggio vagamente splatter), pensavo si trattasse della scena di un videogioco, con un’intelligenza artificiale non proprio esaltante… un po’ criptico il finale: i contendenti se le danno di santa ragione e poi, senza un vero vincitore, i reduci se ne vanno per i fatti loro, sotto lo sguardo annoiato dello Re spettatore (o forse del protagonista). Immagino possa trattarsi di una metafora che io non ho compreso, una qualche allegoria nascosta…? Grazie per la lettura

    1. Grazie per il tuo commento! Il racconto l’ho scritto in marzo. Semplicemente gli eserciti si affrontano per il Signore della montagna e a lui non interessa nulla di loro, tutto qua

  2. “Agli ordini del loro comandante, si mossero come una muta di ratti.”
    Questa frase mi ha colpito. E inoltre ho notato che non rischi di sforare sulla lunghezza del testo.
    Ciao Kenji, buona giornata.

  3. Forse è una mia impressione, ma nel “Re della Montagna” vedo una falsa ideologia o un falso Dio a cui combattenti, in preda al fanatismo, sono pronti all’immolazione. Tuttavia, quando restano in pochi, l’istinto di conservazione diventa predominante. Bravo Kenji.