Esiliato

Il fiume Rodano, un vecchio nastro d’argento liquido, mormorava segreti sotto i ponti di Lione, la città dove il mio respiro iniziò a strappare l’aria. Samuele. Così mi chiamarono. Un nome che non portava il peso della laguna, ma quello silenzioso della seta e delle cripte. Mio padre, un matematico distratto dalle stelle. Mia madre… legata non alle volte vaticane, ma ai fili invisibili di una Fraternità Custode, tessitrice di un sapere che non si insegnava nelle università. Fanciullo, vidi ombre non di demoni urlanti, ma figure silenziose strapparla via, inghiottita da un Ordine che cercava non anime, ma chiavi. Quelle che la Fraternità tesseva. Crebbi sull’eco di quella assenza, un vuoto che nessuna formula matematica di mio padre poteva riempire. Lione rimase un nodo irrisolto. Finché un codice cifrato nel margine di un vecchio atlante non mi spinse oltre, un sussurro dalla tela strappata della mia origine.

Prima tappa: Edimburgo. Non il marmo solare di Venezia, ma la pietra scura che gronda storia, la città divisa tra la luce dell’Old Town e l’ombra del South Bridge sotterraneo. Qui, tra gli spettri sussurranti dei close e l’odore di torba, incontrai Elsbeth, occhi come vetro antico, custode non di reliquie, ma di pergamene polverose. Parlava di fili interrotti, di un Ordine che recideva connessioni, di un sapere che poteva riavvolgere il tempo, o svelarlo. Edimburgo fu il mio primo passo nel labirinto: la verità non è solida, ma intessuta nel buio sotto i nostri piedi.

Poi Vienna. Dalle streghe scozzesi alle waltzer viennesi, un cambio di ritmo, ma non di mistero. L’aria densa di psicanalisi e imperi caduti. Palazzi sfarzosi che nascondevano nervi scoperti. Qui, incontrai Dorian, un artista che dipingeva l’invisibile, affascinato dalle geometrie nascoste della città, dai simboli occulti celati nei parchi e nei musei. Parlava di specchi che riflettono non immagini, ma possibilità. Un seduttore di menti, Dorian. Mi offrì scorci della mia stessa psiche frammentata, manipolando la mia ricerca con la finezza di un illusionista. Il suo inganno non fu un coltello, ma un riflesso distorto, mostrandomi come la verità potesse essere una prospettiva, non un assoluto. Vienna, la città specchio, mi insegnò la fluidità dell’ombra.

Meta ultima: Granada. Non la convivenza lacerata di Sarajevo, ma la cicatrice splendente della Reconquista. L’Alhambra, una fortezza-palazzo costruita su antiche fondamenta, dove mondi si scontrarono e coesistettero in un delicato, temporaneo equilibrio. La mia Fraternità e l’Ordine cercavano qualcosa qui, tra le geometrie Nasridi e le fondamenta cristiane. Una verità. Una tessitura finale.

Sotto i soffitti intarsiati, nell’odore di mirto e storia, la verità si rivelò non come una profezia urlata, ma come una risonanza. Le città non erano solo tappe, ma nodi nella tela. Lione, la nascita del filo. Edimburgo, il filo spezzato nel sottosuolo. Vienna, i riflessi distorti della sua trama. Granada, il punto dove tutti i fili convergevano.

L’Ordine cercava non di distruggere la conoscenza, ma di controllarla, di tessere una nuova realtà manipolata. Mio padre, il matematico, cercava la formula dell’armonia. Mia madre, la tessitrice, custodiva il modello originale. E io, Samuele, ero il filo errante.

La battaglia finale non fu di spade, ma di comprensione, un duello nel cuore simbolico dell’Alhambra contro il Maestro Tessitore dell’Ordine, un uomo il cui volto era una maschera di storie rubate. Usai non la forza, ma la conoscenza acquisita – la sottigliezza di Edimburgo, le distorsioni di Vienna, la geometria nascosta di Granada. Svelai il suo inganno tessiturale, mostrai le cuciture visibili della sua realtà falsificata.

Nell’aria immobile della notte andalusa, sotto le stelle che mio padre osservava, compresi. La verità non è un monolito, ma un disegno complesso, spesso nascosto, talvolta rivelato, non nonostante, ma attraverso le menzogne, le omissioni, le distorsioni.

“La verità” mormorai, l’eco che si perdeva tra le colonne del Patio de los Leones “è figlia dell’inganno.”

Non avevo riavuto mia madre. L’Ordine non era stato annientato, solo respinto. Ma avevo trovato la verità. Avevo compreso il disegno. E i fili, ora, li potevo vedere anch’io. Il mio cammino era appena iniziato, un tessitore solitario in un mondo dove la realtà è una tela che attende solo di essere svelata, o ritessuta.

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