Fabbrica

Serie: Gabbia Metallica


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Sam viene fermato da una delle terribili sentinelle. Proprio mentre il ragazzo sta per essere sottoposto ad un controllo, appare una figura misteriosa che assassina il soldato come se niente fosse.

Il ragazzo strinse con forza il coltello nascosto nella tasca laterale della giacca. Il sudore gli imperlava la fronte, colando sugli occhi e offuscandogli la vista. Un tremito incontrollabile gli attraversò il corpo, serrandolo in una morsa dalla quale sembrava impossibile liberarsi. Sentì che la morte gli era vicina, e la paura lo teneva paralizzato, annullando ogni possibilità di reazione.

Il tempo scorreva lento, mentre l’assassino restava immobile a fissarlo. Quel comportamento inquietante e inspiegabile non faceva che accrescere il suo terrore. All’improvviso, l’uomo scattò in avanti per poi bloccarsi di colpo. Sam, stordito, riuscì a malapena a fare qualche passo indietro, incapace di comprendere co-sa stesse accadendo. Rivide quei due puntini rossi lampeggiare nell’oscurità che nascondeva il viso dell’assassino. Questi si voltò bruscamente: i suoi movimenti, innaturali e spezzati, rendevano le sue intenzioni indecifrabili.

Si allontanò con calma, dando le spalle a Sam, ma fu subito circondato da tre sentinelle. Il ragazzo vide due teste volare in aria, schiantandosi contro l’edificio al lato della strada.

Poi un boato, simile a un tuono, squarciò il silenzio e un lampo bianco inondò tutto di una luce accecante.

Le ultime immagini che Sam riuscì a cogliere prima di fuggire furono il corpo decapitato dell’uomo metallico che crollava al suolo, e un liquido nero che schizzava ovunque, imbrattando strada e facciate degli edifici circostanti.

Poi iniziò a correre a perdifiato, risalendo la via in salita, senza curarsi di nulla. Era come cieco: tutto ciò che riusciva a immaginare era un rifugio dove nascondersi.

Giunto all’ingresso della fabbrica, spalancò il massiccio portone e si fermò. Rimase immobile a lungo, fissando il corridoio illuminato da fioche luci rosse, percepite come aloni sfocati a causa della sua vista ancora annebbiata dal bagliore dello sparo. Le orecchie gli fischiavano; i rumori metallici e i tonfi provenienti dall’interno dell’edificio gli giungevano ovattati e distorti, simili a lamenti.

Restò lì, pietrificato, senza sapere per quanto. Il cuore martellava nel petto e i tremori non accennavano a placarsi. Si sentiva come cinquant’anni prima, quando le creature avevano invaso Avalon. Le immagini dei genitori massacrati riemersero con violenza, seguite dall’eco agghiacciante dei lamenti mostruosi, che si mischiarono con i suoni distorti dei macchinari della fabbrica. Un brivido gli percorse la spina dorsale fino ad arrivare alla nuca.

«Sei in ritardo di quasi un’ora, Sam. Questo è il secondo avviso, e sai cosa succede al terzo.»

«Questa volta non è colpa mia, Mason…»

«Non mi interessa», lo interruppe secco, «devo registrarlo, lo sai che non dipende da me. Ho già chiuso un occhio troppe volte, e ci ho sempre rimesso. Pensi che mi faccia piacere? Dai, mostrami la tessera ed entra.»

«Non ce l’ho, l’ho persa.»

«Come sarebbe a dire che l’hai persa? Lo sai che senza non posso farti entrare!»

«Mason, ti prego, là fuori c’era un assassino, è scoppiato il finimondo. Non hai sentito l’esplosione e lo sparo? Rifarò la tessera, ma lasciami passare per questa volta, non posso farmi trovare di nuovo fuori dalla fabbrica.»

«Lo sai bene che se passano le sentinelle e ti beccano, ci finisco di mezzo io. Sarei nella merda!»

«Ti do cento crediti! Mason, ti prego, fammi entrare adesso!» gridò Sam disperato, afferrandolo per la giacca. Mason lo strattonò via, liberandosi dalla stretta.

«Centocinquanta. E non farmi aspettare, o giuro che ti ammazzo» disse, puntandogli il dito contro.

Sam annuì senza fiatare.

«Muoviti, entra!» sbottò, accompagnando le parole con un gesto brusco del braccio.

Sam lo superò in fretta e si avviò verso la porta in fondo al corridoio. Ma prima che potesse aprirla, la voce furiosa di Mason lo colpì alle spalle: «E non provare mai più a toccarmi, o te le taglio via quelle mani!»

Sam lo ignorò ed entrò, chiudendosi la pesante porta alle spalle.

Attraversò l’ampio e buio antro principale: decine di addetti operavano alle loro stazioni, circondati da robot che si muovevano avanti e indietro tra macchinari stridenti. Due lunghi nastri trasportatori scorrevano dietro le postazioni, trasportando ininterrottamente pezzi e componenti. Umani e automi li prelevava-no prontamente, per poi passare alla fase di assemblaggio. Il pavimento, fatto perlopiù di grate in metallo brunito, lasciava filtrare una fioca luce rossastra che saliva da sotto, insieme a una rarefatta nube di fumo appena percettibile. Il soffitto, altissimo e costituito dallo stesso materiale, era interrotto di tanto in tanto da enormi travi sorrette da giganteschi supporti, i cui bulloni erano grandi quanto teste umane.

Sam raggiunse la sua postazione e si mise al lavoro. Le mani si muovevano in automatico e gli occhi, nonostante fossero rivolti verso i nastri, erano persi nel vuoto. Continuò ad eseguire il suo lavoro alienante, muovendosi come un automa e sentendosi un tutt’uno con i macchinari e i robot che operavano accanto a lui. Un piccolo monitor gli mostrava i progetti. Sam ordinava i pezzi necessari, mentre i robot lo assistevano nel prelievo e nel posizionamento dei componenti. Li impiegava anche per farsi passare gli attrezzi o per mantenere in posizione i pezzi più instabili.

Ripeté gli stessi gesti per ore, sentendo di aver perso il controllo del proprio corpo, finché sullo schermo non apparve il progetto di un’arma contenente un pezzo che gli serviva. Con il cuore in gola, ordinò due di quei componenti: ne afferrò uno e lo posò sul banco da lavoro, poi si mise a seguire l’altro, che avanzava lentamente sul nastro.

Giunse in una zona morta in cui era sicuro che le telecamere non lo potessero riprendere. Deglutì e si assicurò che nessuno lo stesse guardando. Il cuore batteva all’impazzata, il sudore iniziava a colargli dalla fronte. Con un gesto rapido, tremante, afferrò il componente e lo nascose nella tasca interna della giacca. Poi si incamminò con passo calmo verso la postazione, cercando di nascondere l’agitazione. Fece un respiro profondo. A poco a poco, il battito rallentò. Si riposizionò davanti al nastro. Stava per rimettersi a lavorare, quando una mano gli si posò sulla spalla.

Sobbalzò, voltandosi di scatto, gli occhi sgranati.

«Che ti è preso? È ora della pausa, andiamo» disse Kala sorridente.

Continua...

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