Fahim non torna a cena stasera

Quel giorno eri particolarmente bello. Le trecce allineate lungo tempie a decorarti il viso, la pelle d’avorio e quegli occhi fulgidi e vivi che solo l’adolescenza sa regalare.

Una giornata come tante. Ti ho rimproverato perché stavi facendo tardi a scuola. «Fahim prendi il casco! E non correre! Esci di casa sempre all’ultimo minuto!» «Ma’, non ti ci mettere anche tu, che sono nervoso oggi, lo sai!» Sì, lo sapevo. Dovevi recuperare inglese. Era maggio e non ti restava molto tempo per evitare di passare l’estate a studiare. Ovviamente il tuo unico interesse era non avermi col fiato sul collo ad agosto per farti ripassare la grammar o la comprehension. Quando hai chiuso la porta, però, ho messo a tacere la signorina “so tutto io” (così mi chiamavi) e ho incrociato le dita.

Una giornata come tante. Ho messo via le tazze della colazione, ho tirato fuori dal freezer la carne per la cena, sono andata in bagno, ho lavato i denti in fretta, poco trucco buttato quasi a caso, due spazzolate tra i capelli. Per uscire sono passata dalla sala, la tua felpa buttata sul divano, “Mannaggia a te, non me l’hai fatta lavare!”. Tuo padre era già in bottega. Usciva sempre presto quando aveva dei lavori da finire a breve; entro venerdì doveva consegnare la gonna alla signora Luisa. La domenica successiva la nipotina avrebbe preso la prima comunione.

Tu i sacramenti non li avevi presi, io cattolica poco convinta e tuo padre musulmano, avevamo preferito che scegliessi tu da grande a chi affidare la tua anima.

In ufficio era tutto noiosamente normale, le solite mail a cui rispondere, i dati da inserire. “Se non avessi già tirato fuori la carne, chiederei a Fahim di andare a mangiare un bel paninazzo sporco come facevamo una volta! Soli io e lui, che tanto Malik queste schifezze non le mangia! Forse sono ancora in tempo, la carne la mangeremo domani”. Sì, sarebbe stata una serata speciale, madre e figlio, una di quelle serate a cavallo tra la nostalgia del passato e la condivisione gioiosa del presente. Aspettavo l’ultima campanella per scriverti.

Sei stato più veloce tu. Alle 14.15 mi hai chiamato: «Ma’, stasera io non ci sono a cena, vado a studiare da Roberto e poi usciamo». «Ma Fahim non puoi rimandare e cenare a casa?» «Ma’, non posso, ci siamo già messi d’accordo. E poi cosa c’è di speciale stasera!?». Un sospiro e gli occhi al cielo, una mamma sa aspettare «Niente di speciale Fahim. Vai pure». «Non fare che te la prendi però! Ciao ma’, ci vediamo dopo» . «Sì, va bene, ridi tu! Non fare tardi però, che domani hai scuola. Ciao Fahim». Inglese, ho dimenticato di chiederti dell’interrogazione. La voce mi sembrava felice. Una mamma lo sa quando il figlio è felice. Decido lo stesso di scriverti un messaggio sapendo che non avresti risposto subito!

Dopo il lavoro mi sono diretta verso casa, non prima di esser passata al supermercato a prendere latte e cereali per la tua colazione. Ho aperto la porta, con la speranza che la casa si fosse riassettata da sola, ma l’ho trovata uguale a come l’avevo lasciata al mattino. Così, di buona lena, ho approfittato di esser sola e ho fatto ordine, ho pulito il bagno, ho avviato la lavatrice con le lenzuola. Senza neanche accorgermene, erano passate un paio di ore buone quando è squillato il mio telefono.

Ecco, il tempo buono della mia vita si è fermato alle 18.45 di una giornata come tante. «Lei è la mamma di Fahim?. «Sì, sono io, con chi parlo?». Sentivo nitidamente solo il mio battito nel petto, tutto il resto era ovattato, «Sono un funzionario di polizia». Ancora il mio cuore prepotentemente accelerato. «La chiamo dall’Ospedale Sacro Cuore, dovrebbe venire qui al più presto». Le parole erano improvvisamente scomparse tutte dalla mia testa. Sentivo solo quel maledetto tamburo esplodere nel bel mezzo del mio torace. «Suo figlio è stato portato qui da un’ambulanza, le spiegheremo tutto quando arriva». Dopo ricordo soltanto un flusso confuso e convulso di azioni e pensieri. Le chiavi della macchina, la corsa, “Devo avvisare Malik”, il cellulare, il pronto soccorso, “Sarà caduto dal motorino”, i medici, il sangue. Il silenzio. Il battito, “tum tum”. «Suo figlio non ce l’ha fatta, ha perso troppo sangue prima di arrivare in ospedale. Mi dispiace». Improvvisamente ho saputo dal mio corpo tutto quello che era stato.  Mi sono piegata su me stessa perché l’ho sentito netto nel mio costato, la lama che incide la pelle, la carne che si squarcia, le ossa sfregate che si lasciano oltrepassare, il fendente che arriva proprio lì, al centro del mio cuore. Lì dove ha smesso di battere.

Non l’ho potuto salutare Fahim. Ce l’aveva fatta, all’interrogazione aveva preso 7. Io ne ero sicura, ma forse glielo dovevo dire che tifavo per lui. In giro si parla della solita rissa tra teppistelli di quartiere, qualcuno dice che se l’è cercata perché “si sa, a questi stranieri piace fare i bulli”. Qualcun altro dice invece che voleva solo difendere un suo amico. Io non ho bisogno che qualcuno me lo spieghi, una mamma lo sa già.

La casa è in ordine, la mattina mi preparo lentamente. Prendo il caffè, mi vesto. Vado in ufficio, svolgo tutte le mansioni che mi competono con precisione. Rispetto il mio orario. Faccio la spesa, solo per me e per Malik ormai. Sui gradini sotto al porticato c’è una tua foto, quella che abbiamo scattato in piscina l’anno scorso. C’era un sole caldo e prepotente che ti costringeva a strizzare gli occhi per guardarmi e siamo scoppiati a ridere entrambi proprio mentre scattavo. Prima di entrare in casa controllo sempre che la candela sia accesa, che i fiori abbiano l’acqua e che tu stia ancora sorridendo nella foto. Chiudo la porta alle mie spalle. Resto in piedi per un po’, ascolto il nulla.

La carne ormai si è scongelata. Nessuno la mangerà. Fahim non torna a cena stasera.

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Discussioni

  1. Che Fahim non sarebbe tornato per cena si intuisce sin dalle prime righe, eppure fa male comunque leggere che davvero, lui muore. Una narrazione che fa sentire il dolore della madre e la sua sofferenza diventa anche un po’ anche la nostra di lettrici, donne, madri o nonne che hanno cuore la vita dei propri ragazzi e stanno spesso in ansia per loro quando mancano da casa.

  2. Un bel pezzo. Hai scelto un soggetto che fa breccia prepotente nella platea, ma anche tanto difficile. Perché basta un niente a travalicare certe misure quando si gioca coi sentimenti; così come a prendere derive splatter per rafforzare quella che, di per sé, è già una fucilata. Credo che l’esercizio sia riuscito. Il flusso scorre, e anche certe “apprensioni”, con la prima persona, trovano senso nel turbamento di una narrazione concitata. Grazie davvero per la lettura

  3. Complimenti hai una scrittura matura, la lettura scorre rapida e ti trascina dentro la storia. È un crescendo: percepisci din dal principio che qualcosa di brutto sta per succedere. Hai calibrato bene il tono narrativo. Mentre leggi speri che la tua intuizione sia sbagliata e poi arriva la rivelazione. Complimenti ha scritto una storia forte che invita alla riflessione.

    1. Grazie, l’ho tenuto chiuso nel cassetto per un pò temendo di essere “irrispettosa”, di banalizzare il dolore, per cui mi fa particolarmente piacere leggere i tuoi commenti…

  4. “l’ho sentito netto nel mio costato, la lama che incide la pelle, la carne che si squarcia, le ossa sfregate che si lasciano oltrepassare, il fendente che arriva proprio lì, al centro del mio cuore. Lì dove ha smesso di battere.”
    Straziante…mi ha lasciato senza fiato.

  5. Scritto benissimo. Non hai cercato immagini crude o effetti speciali, hai usato parole semplici, come semplici sono l’amore e la vita di tutti i giorni, quelli che questa donna non ha piu. L’effetto è potentissimo. Il dolore, lo sconforto, la rabbia, l’incredulita’, le lacrime arrivano tutti. Bravissima.

  6. “e che tu stia ancora sorridendo nella”
    Dovessi scegliere un punto in cui dolore e amore esplodono insieme sarebbe questo. Cercare la felicità del proprio figlio prima delle nostra, premurarsi sorrida, anche ora che non c’è più.

    1. Hai proprio colto, la premura verso le persone che amiamo non termina in un tempo e in uno spazio, ed è in qualche modo consolatorio continuare a “prendersi cura”.

  7. Cara Biadina, sinceramente me lo sono chiesta miliardi di volte come sarebbe se…Come starei se…Ce la farei? Immagino le stesse domande che ogni persona che ama si fa e poi si fa ancora per poi scacciare si malo modo quel pensiero.
    Hai scritto un racconto naturalmente commovente e scioccante, stilisticamente davvero valido, come un cerchio a chiudersi male, ma comunque a chiudersi; come un ingranaggio che si inceppa per poi tornare a filare. Si chiude come si apre: con quella sorta di sensazione di calma apparente che ti distrugge dentro perché anche se non lo sai come va a finire, lo sai già. Bravissima.