Fame d’amore 

Serie: Morirò d'estate


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: ● Guardai l’orologio a forma di caffettiera appeso in cucina: non erano neanche le venti, ma ero distrutto e spossato, quindi senza neanche lavarmi né cenare andai a dormire, sperando di risvegliarmi e scoprire che era stato solo un brutto sogno. ●

Nei giorni a seguire non feci altro che pensare a quello che mi era accaduto: era tutto così surreale che mi sembrava di vivere dentro un incubo da cui non riuscivo a svegliarmi.

Ma era anche tutto così reale da avere l’impressione di essere vittima di uno scherzo di cattivo gusto, che stava durando troppo.

Avrei voluto parlarne con Simone: raccontargli tutte le cose assurde che stavo vivendo.

Sicuramente avrebbe esordito con un bel «Ma che amico sei? Mi potevi almeno invitare, che almeno bevevi la metà!»

Io lo avrei mandato a quel paese, ma poi si sarebbe seduto con le braccia conserte e avrebbe cercato insieme a me di trovare un senso logico a tutta la vicenda.

Avrei voluto prendere il telefono e chiamare Simone. Ma non potevo!

Dio, quello che tutti chiamano “Dio che è vita; dio che è amore”, la vita aveva deciso di toglierla a lui e di strapparlo all’amore dei suoi cari.

Avrei voluto raccontarlo a mia madre, ma cosa le avrei potuto dire?

«Sai mamma? Ho incontrato una signora dalla voce maschile e con accento tedesco, che mi ha mostrato un uomo con la mia voce che farneticava profezie sul mio futuro».

Avrebbe sicuramente pensato che ero impazzito o che probabilmente era colpa del trauma cranico che avevo avuto a sette anni, quando un giovane ragazzo neopatentato mi aveva travolto con la sua auto sul marciapiede.

Rimasi in ospedale quasi due mesi, con una paresi facciale che mi deformava il viso, la perdita dell’udito all’orecchio sinistro e un trauma cranico, che per mia madre sarebbe stato, da quel giorno in poi, la giustificazione a ogni difficoltà che la vita mi avrebbe presentato. 

Le avrei probabilmente dato l’ennesimo dolore, al pensiero che ero distante chilometri, solo e con allucinazioni in corso. 

Decisi allora, ancora una volta, di stare in silenzio. 

Quel silenzio, che da anni ormai era il mio amico più fidato. 

Un amico che non mi avrebbe mai tradito, che non sarebbe morto all’improvviso lasciandomi nello sconforto e che non mi avrebbe mai giudicato. 

Passai le ultime due settimane di dicembre lavorando ininterrottamente di giorno e andando a dormire prestissimo la sera, pur di non pensare a tutto quello che mi era successo da quando ero arrivato in quest’isola baciata dal sole e adombrata da cilindriche ciminiere fumanti sullo sfondo del mare. 

Con scuse assurde evitavo di uscire per paura di incontrare Enza e ogni volta che ero costretto a farlo, come ad esempio per andare da casa al lavoro, utilizzavo i mezzi pubblici, pur di non rimanere solo.

Mi ero in qualche modo convinto di essere spiato e per non so quale ragione, mi sentivo in pericolo. 

Allo stesso tempo, però, sentivo di voler risolvere questa assurda situazione in cui ero capitato. 

Ma c’era qualcosa che al momento mi preoccupava ancora di più di Enza: le imminenti festività natalizie. 

Dovevo trovare in qualche modo la soluzione per non tornare al paesello, dove, oltre a mio padre, avrei sicuramente incontrato parenti festanti e sorridenti, che improvvisamente apparivano per auguri e convivialità ipocrite, visto che durante l’anno ci si ignorava vicendevolmente. 

Ma a Natale no! A Natale eravamo sempre tutti insieme: tra pranzi e cene condivise, tombolate infinite e chiacchiericci da bar in sottofondo. 

A Natale miracolosamente eravamo una famiglia e come fantasmi arrivati da chissà dove, zii e cugini riempivano la casa per poi sparire di nuovo una volta spente le luminarie.

Mentre pensavo a questa cosa, seduto in cucina con una tazzina di caffè in mano, realizzavo però che ultimamente i fantasmi erano arrivati prima: d’altronde, chi poteva garantirmi che Enza e l’uomo burlone che imitava la mia voce non fossero degli spettri? 

Li immaginai con i cappellini di Babbo Natale che sbucavano dal nulla e mi dicevano: «Buon Natale!» mentre in TV trasmettevano per la millionesima volta “Mamma, ho perso l’aereo” e scoppiai a ridere da solo.

In quel momento entrò Dario, il mio coinquilino, ed io mi vergognai come quando si lascia la porta del bagno aperta per errore. 

Mi alzai dalla sedia, sciacquai velocemente la tazzina, la riposi sul gocciolatoio e accennando un sorriso, andai in camera da letto. 

Ci rimasi giusto il tempo di stemperare la vergogna e poi ritornai in cucina a parlare del più e del meno come se nulla fosse. 

Era già pomeriggio inoltrato e Dario mi chiese se per cena, mi andava di andare con lui nella pizzeria in fondo alla strada. 

Rifiutai con la scusa che mi ero già organizzato, ma non era vero.

Quella sera non avrei cenato, così come non lo facevo da parecchie sere, e non avrei fatto colazione l’indomani, con la scusa che dovevo entrare in servizio ed era tardi, e poi non avrei pranzato perché sicuramente sarei stato troppo stanco e stressato, e così via per la cena seguente e per tutti i giorni a seguire.

Questo era il mio segreto da anni: avevo perennemente fame, ma il mio stomaco era come chiuso con un lucchetto a doppia mandata ed io non trovavo la chiave. 

Le uniche cose che riuscivo a mangiare erano tre spicchi di mela inzuppati nella cioccolata di nocciole o un mandarino, e se proprio avevo troppa fame, per tappare lo stomaco, bevevo litri di brodo vegetale e niente più. 

Se poi mi capitava di dover mangiare perché non potevo evitare la compagnia di qualcuno, avevo comunque la soluzione in mano, anzi sull’indice e il medio: li conficcavo su per la gola e vomitavo il cibo e insieme a lui, tutto il mio dolore. 

I medici avrebbero detto che ero anoressico, io avrei detto che avevo “fame d’amore”, ma il risultato era comunque lo stesso: la vergogna di dovermi nascondere da una malattia definita “femminile” e l’impotenza nel vedermi scomparire mentre il mio più grande desiderio era di essere visto. 

E adesso, oltre a questo segreto, se ne aggiungeva un altro: le mie visioni, o forse allucinazioni, o peggio ancora la mia pazzia.

Continua...

Serie: Morirò d'estate


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Discussioni

  1. “La vergogna di dovermi nascondere da una malattia definita “femminile”. Una malattia non è mai una vergogna; se poi la società ancora fa differenze tra quello che può provare un uomo o una donna, ci spieghiamo molti drammi, soprattutto dei giovani. Bravo, Corrado, il tuo è un racconto molto interessante e attuale.

  2. Interessante, delicato e insolito il tema della fame d’amore applicato al mondo maschile. solitamente, e a torto, se ne parla soltanto riferendosi alle donne In realtà è un tipo di disagio che tutti possono sperimentare sulla propria pelle. Dietro la fame d’amore cova un dolore enorme, e sono davvero curiosa di sapere come il protagonista lo affronterà.

    1. Hai ragione: a torto, si parla di disturbi alimentari quasi sempre al femminile.
      E nel mio racconto l’ho volutamente fatto emergere.
      Mi fa piacere di averti incuriosita e spero apprezzerai il seguito. 😊

  3. Ciao Corrado, è il primo episodio della tua storia che leggo, è ho percepito tutta l’angoscia che prova il protagonista senza avere cognizione piena di quello che è successo. Bravo! Leggerò anche il resto così seguirò meglio la trama. Alla prossima.

  4. Ciao Corrado, mi sembra piuttosto chiara, fin qui, la situazione (angosciosa); per quanto adornata da un mistero che vela la natura di un sintomo, per così dire, del protagonista che non sa se definire spettri, deliri o follia (c’è poi una differenza?). Quello che mi è poco chiaro, e che mi incuriosisce per il divenire, è come riuscirà a identificare ciò che vuole davvero, traducendo dall’astratto quella “fame d’amore”. E come potrà, di conseguenza inseguire quel desidero, o quel sogno, per quanto osctacolato dai suoi demoni, o dovendo affrontare ciò che non avrebbe mai voluto. Grazie per la lettura

  5. Quando ho letto il titolo di questo episodio, non pensavo avesse a che fare con un disturbo alimentare. Hai toccato un tema delicato, sei stato bravo. Continuo a seguire questa bella serie🙂

  6. Tra le tante storie incrinate che ho letto qui, questa è una di quelle che resta più addosso.
    Sarà che si avvicina al mio modo di raccontare, ma mi ci sono ritrovato tantissimo, come se certe fratture del protagonista parlassero anche delle mie. C’è una delicatezza disarmante nel modo in cui racconti il dolore: non come un’esplosione, ma come una lenta erosione silenziosa. La scrittura riesce a tenere insieme autoironia, angoscia e solitudine, rendendo il personaggio incredibilmente umano.
    E quella “fame d’amore” detta quasi sottovoce… fa davvero male. Tu non usi le parole per dimostrare di conoscerle, per abbellire. È raro trovare una scrittura che riesca a essere così intima senza mai diventare compiaciuta, e così sincera anche nella disperazione.

    1. Grazie Lino per l’apprezzamento del mio “stile” di scrittura ma soprattutto per la condivisione di ciò che la mia storia ti ha trasmesso.
      Credo profondamente che quando un racconto (ma questo a mio parere vale anche per una canzone) arriva anche ad una sola persona, e smuove sentimenti ed emozioni, allora si è nella strada giusta.
      Grazie per la lettura e per il commento

  7. Un trauma remoto che spiega e non spiega. Poi la rivelazione dell’anoressia che tu interpreti come un riferimento alla femminilità. Il tuo personaggio si costruisce lentamente in un clima piuttosto misterioso nel quale il dolore non è mai assente. Fame d’amore, come dici, ma anche il gesto di rifiuto significato da quelle due dita in gola. Forse, anzi senz’altro, un rifiuto di se stessi sulla colonna sonora di “Bastardo!”. Aspetto volentieri il seguito.

    1. L’anoressia e i disturbi alimentari più in generale per un preconcetto sociale sono spesso visti come problematiche che riguardano il mondo femminile (bellezza, magrezza, apparenza,) ecco perché un ragazzo/uomo ha difficoltà a chiedere aiuto. Un uomo non può essere debole e se lo è non è abbastanza uomo.
      Bella la tua interpretazione delle due dita in bocca.

  8. Una vita non facile per il protagonista di questa serie, come per tutti i ragazzi o adulti che hanno avuto genitori assenti o violenti, con i gesti o con le parole. Ci sono ancora tante cose da capire in questa storia, ma siamo solo al terzo episodio. Aspetto i prossimi episodi con curiosità.

      1. Giusto, ma influisce anche l’eredità delle memorie depositate nel nostro DNA. Riuscire a deprogrammare certi codici genetici non é facile. La consapevolezza e la volontà di superare certi conflitti psicobiologici, é comunque uno dei primi passi importanti per il cambiamento.

  9. Hai detto bene il mio protagonista vive un disagio che oscilla tra la realtà e situazioni che hanno del surreale…

    Grazie per l’attenzione che stai riservando al mio racconto. 🙏🏻😊

  10. Ecco che iniziamo a trovare delle risposte, anzi una risposta semplice e implacabile come il disagio psichico. Anche qui sei riuscito a rendere bene la situazione di angoscia del protagonista.

  11. Da un padre che ti chiama ‘bastardo’ al disturbo alimentare, il passo è davvero breve. Come un soffio che dura un attimo. Davvero molto bella l’espressione ‘affamato d’amore’, che dice tutto e spiega tutto, senza troppe parole.
    La vita del tuo protagonista sembra davvero molto complicata, emotivamente sbilanciata. Una solitudine riempita dai pensieri, che tu sai gestire al meglio, alternandoli con piccoli gesti.
    Una bella scrittura, pulita, e una storia che si fa leggere con piacere.