
Farcela
Non posso farcela.
Me lo ripeto ogni sera, prima di infilarmi nel letto e lasciare che la mente vaghi verso le strade che più gradisce.
Non posso farcela.
Il soffitto si fa più vicino, la stanchezza accumulata scivola via come olio. Il desiderio di dormire è forte, ma i miei demoni hanno altri piani per me. Nella testa le parole che mi hanno rivolto per tutta la giornata, quelle parole cariche di odio e sdegno che ormai sento da troppo tempo, alimentano il mostro.
Non posso farcela.
Mi rigiro tra le lenzuola, il mio vivere e i mie sentimenti sono ormai così lontani l’uno dall’altro da apparire come due linee parallele destinate a non incontrarsi in qualsiasi modo le si ponga. Sono sempre stata del parere che durante la notte, si affrontino tutti i propri demoni. Come in un perfetto cliché, ogni paura si cela tra le pieghe del buio e nel ticchettio dell’orologio. Sembra quasi che quest’ultimo sia stato messo lì appositamente per scandire il battito cardiaco che precede un attacco di panico. Quel magico momento inserito in una diapositiva di un perfetto film horror; calma, ansia, sudorazione, panico. Il cuore prende ad andare per la sua strada, non ha bisogno della Stella Polare che gli indichi il nord, lui sa quale sentiero prendere per portarmi a rannicchiarmi sotto le coperte e vedere nella mia libreria l’ombra di quella me stessa che odio. Del mostro.
Non posso farcela.
Le pupille si sgranano, le gambe tremano e inizio a domandarmi se stenderle rischiando l’attacco di qualsiasi cosa ci sia sotto il letto o portarle al petto e farmi piccola. Di colpo fa freddo e la coperta non può fare più di quanto stia già facendo. Ogni fruscio, ogni rumore, ogni scricchiolio, muta in un qualcosa di terribile e pronto a qualsiasi cosa. Mi alzo, controllo la mia camera con la torcia del cellulare trasfigurando le forme ed allungandole. Non vedo niente, non ci sono mostri che strisciano e nessuno attenta alla mia vita, ma poi il fascio di luce collide con la piccola parte di vetro che esiste sulla porta chiusa della camera. Al di là di questa, nuovi pericoli minacciano la mia incolumità.
Non posso farcela.
Indietreggio fino al materasso, finché non sento il morbido sotto di me e mi ci rifugio come fosse l’ultima ancora di salvezza. Il cellulare mi cade di mano e le ombre rimandate sul muro mi proiettano di colpo nella caverna di Platone. Tiro le coperte fin sopra il naso, il cuore batte troppo velocemente e sento l’aria mancare. Vorrei infilare la testa sotto il cuscino, ma ho paura di non vedere l’altra me stessa pronta a colpirmi.
Non posso farcela.
Resto paralizzata al centro del letto, fiato corto e cuore in gola. Sto cercando in ogni parte di me il coraggio per prendere il telefono e decidere se mantenere ancora la torcia accesa e lasciar vivere le ombre che danzano sul muro, oppure spegnerla e lasciarmi in balia di qualunque cosa si celi nel buio. Le gambe tremano troppo forte, temo che se provassi a mettermi in piedi finirei per terra. Non posso permetterlo. Vorrei urlare, ma la voce non viene fuori. Preferisce restare incastrata in gola e far compagnia al cuore.
Non posso farcela.
Cerco in ogni modo a me conosciuto di riprendere quantomeno a regolarizzare il respiro, cerco in ogni modo possibile di non soffocarmi da sola. Chiudo gli occhi solo per un attimo, poggio due dita sulla giugulare e mi concentro sul battito irregolare. Inspiro a fondo e faccio la stessa cosa per espirare, lo faccio diverse volte e almeno adesso so che odore abbia l’ossigeno. Impongo alle gambe di restare ferme. Sono io che comando il mio corpo, io e non questo mostro che mi striscia dentro.
Forse posso farcela.
Il cuore rallenta appena, ma lo fa. I polmoni seguono le mie indicazioni e non le loro. Calcio via le coperte, recupero il cellulare dal pavimento e non temo le ombre. Mi alzo, le gambe mi sorreggono e posso comandare loro di arrivare all’interruttore della luce e accenderla. Così anche le ombre sono state annientate. Sto vincendo io, oggi vinco io.
Si, posso farcela.
Sorrido alle mie pareti, l’altra me ha paura della luce e non verrà qui a tormentarmi. La conosco ormai, non striscerà accanto e dentro di me, non attenterà al mio cuore ancora una volta. Sono calma ora, il cuore compie i suoi regolari battiti e non avverto alcun senso di oppressione. Mi infilo di nuovo nel letto. Chiudo gli occhi, c’è buio, ma non lo temo. La mente riprende a vagare sola, senza che le imponga una direzione, senza che mi obblighi pensieri.
C’è l’ho fatta.
Sospiro, posso addormentarmi ora. Il panico non ha vinto su di me.
“Un fallimento su ogni fronte, questo sei”.
Sgrano di nuovo gli occhi, quelle parole rimbombano ancora e il mio corpo mi ha solo presa in giro. Tutto ricomincia, tutto ruota di nuovo.
No, non posso farcela.
La frase stride nella mente, torna il tremolio, l’apnea, la tachicardia. Non posso batterlo di nuovo. Salto fuori dal letto, corro al bagno e scavo nel cassetto dei medicinali. So che i tranquillanti sono qui, devo solo riuscire a non far tremare le mani come foglie al vento. Scavo, ribalto, trovo. Apro il contenitore, ma tremo così tanto che si spargono sul pavimento. Sembrano fiocchi di neve sulle mattonelle azzurre. Le raggruppo avvicinandole con le mani, ma non riesco a respirare. Una paura estranea e tiranna si insinua nelle vene, come iniettata da una siringa. Ne raccolgo il più possibile, cercandole con i palmi sudati. Non vedo più bene, ho gli occhi appannati e non so se per le lacrime o per il cuore che pompa troppo, troppo velocemente. Ne caccio in bocca un numero che mi rimane sconosciuto e le ingoio senz’acqua. La bocca mi si fa secca, il corpo cede. Mi accascio sulle mattonelle azzurre, mi rannicchio e aspetto. Aspetto che tutto passi, che tutto termini, che le pillole siano la diga contro il fiume di emozioni. Lentamente tutto scompare. Il tremolio, la sudorazione, la tachicardia, il respiro, la vista, il tatto.
Non posso farcela, non di nuovo.
Il corpo si rilassa, si rilassa più di quanto avessi potuto immaginato. Più di quanto avessi programmato. Il cuore rallenta troppo, il respiro anche. Non avverto più nulla, non sento la paura e non sento il mostro dentro di me. Non sento il sangue scorrere, né i pensieri arrivare. Gli occhi sono pesanti e si chiudono da soli, vorrei lottare e resistere. Non vorrei lasciarmi cadere, perché è questo che sto facendo. Cado senza fine e nessuno mi tenderà la mano per tirarmi su. Calo definitivamente le palpebre, non le controllo più. Non controllo nulla, ormai.
È tutto nero, non c’è più niente.
Ho perso.
Non c’è l’ho fatta.
Avete messo Mi Piace1 apprezzamentoPubblicato in Narrativa
Un giro su una montagna russa letteraria con i suoi saliscendi.
Grazie mille!
S.
@simonalombardi c’è sempre un equilibrio tra azzardo e riuscita, bisogna spingersi quel tanto che basta per saltare senza cadere, brava ancora!
Racconti un tormento che può essere di tutti e lo descrivi in modo efficace e coinvolgente e quindi in questo caso ce l’hai fatta eccome a trasmettere tutta questa emozione!
Grazie mille!
Temevo di essermi cimentata in un qualcosa troppo complicato da trasmettere, mi fa dunque piacere sapere che sia stato apprezzato.
Grazie ancora,
S,