
FIUMI DI PAROLE
Pur privo d’idee e di logica mi sto dando alla scrittura. Scrivo nei tempi morti per i vivi, cose mie private nella mia casa privata, privata di tante cose ma non della privacy: questa è la mia scrittura privata.
La mia scrittura fa rima con frittura perché scrivo pesante, resto sullo stomaco a molti, d’altronde la verità fa male si sa e nessuno mi può giudicare*. Sono parole di una canzone che non so dove l’ho sentita, forse in auto fermo in coda ai Caselli autostradali mentre ero in viaggio: io e Caterina**. O era Catherine? È una domanda per Sordi, chiedetelo ad Alberto! Se non l’avete ancora capito dal testo, sono un po’ fuori di testa; infatti la mia testa volevo testarla con una testata, ma non prima di aver fatto testamento.
A volte la mia scrittura è graffiante, come quella di un gatto e forse ancor di più; non mi taglio le unghie da tempo perché amo essere pagato cash, sull’unghia.
E poi i miei scritti sono manoscritti. Li scrivo a mano, a mani nude; è un lavoro faticoso, certosino. Certo, sino a che non mi stufo: ho provato anche con i guantoni ma le storie erano meno graffianti, ma non meno pericolose: erano un pugno nello stomaco.
E poi scrivo maniacalmente. Scrivo e riscrivo, scrivo ancora, ancora più forte, riscrivo forte, ho dei riscritti fortissimi; non smetto mai di scrivere quando scrivo, chi mi ferma lo ammazzo perché mi disturba: ho la mente disturbata dallo scrivere sempre le stesse cose già scritte. Però continuo a scriverle e riscriverle, scriverle e riscriverle ed adesso, non so il perché – lo scrivo solo per tenervi informati – mi hanno rinchiuso in una stanza chiusa. Non ho la carta per scrivere ma solo quella del cesso perché qua dentro solo questo mi è concesso. Così non cesso di scrivere; lo faccio sui muri dove i miei scritti sono come graffiti: graffiati e graffianti. Uso le unghie e le dita per dire che la mia vita non è finita. Voglio lasciare il segno in questo grande disegno che è la vita.
Ora sto meglio, nonostante sia ancora in cura. La mia mente è più sicura ma sento ancora le ferite del cuore ben impresse nella mente, che grondano sangue, buon sangue non mente. Di mente, io, che per un periodo son stato demente, ne mangio di continuo ed ancor di più: incessantemente. Ora sto bene. Scrivo avanti davanti un foglio bianco: compulsivamente. Cesso solo quando la mente è stanca; allora mi fermo un attimo e resto ad occhi chiusi. Le mani nervose non trovano riposo neanche per una piccola pausa, una pausina, giusto il tempo di una canzone di Laura , ma Laura non c’è****, è andata via, la mia mente malata l’ha cancellata e così sia.
A volte scrivo nel contesto, a volte fuori dal contesto ma sempre con testa, finché nessuno me lo contesta.
Scrivo ogni giorno maniacalmente per non perdere il filo logico del discorso e non andare fuori strada, non ho neanche un 4 × 4.
Scrivo tante cose a Vanvera ma lui non le legge mai, perché Vanvera è un mio amico analfabeta; lo chiamo così perché alle mie domande sensate lui non risponde mai a tono, d’altronde anche quello che sto dicendo non ha senso, perché è un discorso a vanvera e per questo che ci capiamo bene lo stesso.
Di certo non sono uno scrittore serio: faccio dell’umorismo spicciolo. Racconto le mie storie non ai posteri e neanche le posto sui post, sul Washington Post o sui postit, le urlo davanti ai portoni e poi allungo la mano, anche per pochi spiccioli. Non so chi è il vero matto: io che per qualche spicciolo attacco bottone per strada o chi premendo il bottone attacca il mondo per le vie “spicciole”?
Salto di palo in frasca e viceversa. Questo è il mio senso logico (illogico per chi non conosce la mia logica perché ha la mente quadrata, e fa difficoltà a stare in una testa rotonda). Lo so, voi mi odiate, ma io VI AMO TUTTI!
Non mi piacciono i sensi unici: sono illogici. I doppi sensi, come quelli sulla strada, sono più pericolosi perché puoi scontrarti con chi non li coglie, ma ti aprono un mondo inesplorato. Bisogna sforzarsi di capire i doppi sensi: io ne faccio spesso uso anche se possono sembrare dei non sens.
Scrivo sul tavolo; non è proprio uno scrittoio anche se scrivo scritteriate banali idiozie, però non me ne vergogno: le sottoscrivo tutte in fondo. In fondo, per chi mi comprende, infondo un piacere infondato. Ho dato fondo a tutte le mie idee, anche le più perverse, e sotto questo verso cerco di capire il diverso non facendone il verso.
Non scrivo con cura o con bella calligrafia; più che uno scritto il mio è uno scarabocchio, che fa rima con pastrocchio. Forse chissà, questo pastrocchio un domani vi costerà un occhio, come un dipinto del Verrocchio; non credetemi dai: sono un po’ Pinocchio.
Chi scrive sui muri deve avere una grande penna o un pennello grande. Non capisco la scritta T.V.T.B. però devo dare aTTo a chi le scrive che non è di certo un grande letter’aTTo: avrà al massimo una laurea in lettere “puntate”. Lo metterei al muro: puntate e fuoco! Giustizia sia fatta: direi che è lecito punire così l’illecito stravolgimento della lingua italiana. Però, nonostante tutto, V.V.T.B.!
Sto scrivendo di tutto è di più. Son parole ben spese: se lo dice la Clerici, credici.
Il mio non è un “dolce stil nuovo”. Sono amare parole da molti disapprovate; e hanno ragione, perché se tutti la pensassero come la penso io che mondo noioso sarebbe il mio, un mondo dove tutti sono uguali, come tanti 🐤 🐥 🐣 Pio.
Mi sia concesso, ho scritto anche sul 🚽cesso; ma questa è una mia poesia intima, scritta per davvero nel momento del bisogno. Per chi è interessato gliela leggerò in privato.
Corrono le mie parole perché chi si ferma è perduto, non lo avrei mai creduto. È una frase fatta, non so da chi, forse da chi si è “fatto” di sostanze: in sostanza un tossico dipendente. Un tossico che dipende sempre dalle tasche degli altri perché non trova lavoro: un tossico dipendente disoccupato. Uno come tanti italiani disoccupati, che scrivono tanti curricola che nessuno legge perchè vengono cestinati da chi è occupato a fare altro. Curriculì, curriculà! Mi ricordano tanto una canzone napoletana. È proprio vero: che pizza cercare lavoro, che pizza la vita senza lavoro. Poi un cartello: LIPIZZA (SLO). Ma è fuorviante, perché vedo solo tanti cavalli bianchi purosangue oltre la staccionata e lungo la vallata. Ho varcato anche il confine della logica. Mi trovo in Slovenia a mia insaputa senza neanche essere un ministro. Però che bello questo mondo senza confini. In confidenza me ne ritorno a casa, dove ogni giorno sono confinato; anche se son nato fuori dal confine: a Pula. Non è in Sardegna e neanche su di un’isola, è in fondo ad una penisola.
Sono quarantaquattro 🐈 🐈 anni che non scrivevo niente da quando ho lasciato i banchi della scuola perché dicevano che ero maturo (dicevano!). Ma solo adesso ho maturato la voglia irrefrenabile di scrivere come un fiume in piena; come i JALISSE in “fiumi di parole”.***
Se le mie storie sono troppo lunghe, e non mi basta un giorno per scriverle, le continuo nei giorni a venire. Vista la mia mente labile (abile sotto un certo verso ma disabile per altri), la sera scrivo un appunto e me lo appunto in un punto bene in vista per aver memoria di dover continuare la storia. Una volta, con mio grande disappunto, mi sono dimenticato anche dell’appunto. La mattina dopo incontro per caso il mio amico Vanvera; mi racconta una barzelletta con protagoniste due donne in divisa che non faceva ridere perché non se la ricordava tutta; d’altronde lui è fatto così, dico io che è un “mito” mentre altri dicono che è un “mato”, anche quando parla a vanvera. Pazienza, finirà di raccontarmela domani. Sono molto curioso, appunto, di sentire la barzelletta sulle due Appuntate nella puntata seguente. Ora, per l’appunto, mi è ritornato in mente il punto dove avevo messo l’appunto, e così ho continuato la mia storia a puntate.
Che gran dispendio di parole e di ragionamenti inutili. Però le parole sono utili perché con loro posso dare un senso ai doppi sensi e ai miei pensieri, come anche alla mia vita senza farla sembrare inutile.
In definitiva sono verso la fine. Una fine breve, concisa, che non fa rima con niente e non è parente di nulla. Una fine che preclude ogni altro doppio senso o catena di parole insensate.
La fine definitiva,
un arresto immediato,
anche senza reato,
mi fermo e aspetto che tutto passi.
*”Nessuno mi può giudicare” è un brano interpretato da Caterina Caselli del 1966.
** “Io e Caterina” è un film del 1980 diretto e interpretato da Alberto Sordi, con Edvige Fenech, Catherine Spaak e il robot Caterina.
*** “Fiumi di parole” è un brano dei Jalisse vincitori del Festival di Sanremo 1997.
**** “Laura non c’è” è un brano di Nek del 1997
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Come un luna park, leggerti è come fare le montagne russe, gli autoscontri, il tiro al bersaglio e il calcinculo… in contemporanea.
Rileggendomi è il libriCK più fuori di testa, non che quelli dopo non lo siano. Grazie Giuseppe per leggere con costanza tutta la mia opera, la strada però è ancora lunga. Sono contento che ti diverta, la mia vita allora non è del tutto inutile.
Bello. Mi viene in mente la scrittura automatica dei surrealisti, ma ‘mediata’ dal tuo stile, che continuo ad apprezzare.
Hai ragione, c’è del surrealismo. Peccato che la costruzione del racconto non è stata per niente automatica. Non ho contato quanti ripensamenti, tagli, aggiunte mi hanno impegnato fino alla stesura definitiva.
Mi ha divertito leggere questo librick!
Sono contento. A me un po’ meno perché ho partorito più che un pezzo divertente uno alquanto delirante.
La mia sensazione e’ stata piu´ quella di certe rapide sul corso di un fiume in piena, o di una bella cascata, con un getto forte, un po´ spumosa e un po´ tonificante, che sparge schizzi intorno, pieni di riflessi colorati, rendendo l’ aria piu´ frizzante.
Effettivamente è un fiume in piena che travolge e coinvolge ogni parola ad un’altra simile. La storia che si crea porta sempre a delle soluzioni impensate. In questo caso mi ha portato in quel mondo tragico di chi soffre quel male invisibile che si annida nella mente. D’altronde un pizzico di follia” aiuta ad esplorare mondi ancora sconosciuti.
Te l’ho già scritto in un precedente racconto, io sento il ritmo di un pezzo rap. La prima parte l’ho letta rappando, seriamente. Mi hai fatto ricordare Like toy soldiers di Eminem
Non avrei mai immaginato un accostamento con Eminem. Di rap non me ne intendo, però le parole dette a raffica, legate da assonanze e rime, hanno già una loro musicalità.