
Fotografia di famiglia
Serie: Ginevra
- Episodio 1: Fotografia di famiglia
- Episodio 2: Consegna speciale
- Episodio 3: Passi
- Episodio 4: Caduta
STAGIONE 1
Si-lu-ro.
Ginevra guardò la parola appena composta e sorrise: stava capendo come funzionavano le lettere! Le piaceva mescolarle tra loro, comporre quello che sentiva dire e crearne di nuove, vedere come le parole si formavano davanti a lei e cambiandone anche solo una il tutto potesse prendere un altro significato.
“E’ pronta la cena!” la voce di sua madre Anna le interruppe il gioco.
La tavola si popolò con tutta la famiglia: i genitori di Ginevra, i fratelli, i nonni, gli zii ed i cugini. L’azienda di famiglia era nel periodo del suo massimo splendore: avevano un oliveto da cui ricavavano olio che rivendevano a tutta la zona.
Vivevano tutti insieme, com’era usanza in quell’epoca e avevano appena costruito un piano aggiuntivo alla loro casa, con delle camere da dividere.
“Siete pronti per la foto di famiglia? Appena finiamo di mangiare andiamo a prepararci” ricordò la nonna, con la schiena diritta e fare orgoglioso.
Quanto aveva desiderato quella foto tutti assieme! Sarebbe stato un onore appenderla in casa, mostrarla a chi sarebbe venuto in visita e tramandare quel ricordo ai nipoti.
Ginevra annuì senza dare particolare importanza all’evento, già con la mente alle corse successive per l’uliveto e nel grande prato verde davanti a casa.
Proprio lì fu scattata la foto.
Ginevra sbuffò nel suo vestitino tutto pizzo e merletti, col colletto ben inamidato che le arrivava alle spalle, la coccarda nei capelli, tenuti indietro in modo che le si vedesse bene il viso.
“Ginevra stai ferma! Guarda tua cugina quanto è brava!” le urlò la madre, prendendola per le spalle e risistemando ancora una volta le pieghe del vestito.
Il fotografo aveva finito di preparare l’attrezzatura, così richiamò la famiglia all’ordine.
“Bene, mettetevi in posa. Il capofamiglia al centro, per favore, la signora sulla sedia. Le metta una mano sulla spalla” accompagnò i nonni di Ginevra al centro della scena, dov’era posizionata una sedia dallo schienale importante e ricamato. Il fotografo allungò poi le mani verso i nipoti più piccoli.
“Voi bambini vi metterete proprio qui ai loro lati” li dispose due a sinistra e tre a destra, in modo che si vedessero bene. Subito dopo passò agli adulti, disposti dietro in corrispondenza dei propri figli.
Tornato alla macchina fotografica chiese immobilità assoluta per poi scattare.
°°°°°
A Ginevra sembrò passare tanto tempo alla consegna delle foto. Oltre a quella di famiglia ne erano state scattate anche ai singoli membri da soli e poi ai bambini con i genitori; il fotografo aveva assicurato che poteva unire i vari volti e creare delle composizioni.
Lei stava giocando con le sue tessere quando percepì delle voci al piano inferiore. Si mise in ascolto e capì essere il fotografo che parlava con sua madre. Abbandonò il gioco e scese le scale per raggiungerli.
“Per qualsiasi altra cosa mi potete trovare in bottega” stava finendo di dire lui, mentre sua madre guardava le fotografie incorniciate posate sul tavolo di legno scuro.
“Vi ringrazio a nome dell’intera famiglia. Avrei voluto farvi salutare da mio padre ma oggi la malattia non gli permette di muoversi” disse la donna, le mani giunte in petto.
“Cos’è successo al nonno?” Ginevra spuntò accanto alla madre, toccandole la gamba nascosta dalla lunga gonna verde.
La donna le fece cenno di star zitta. Tornò a conversare col fotografo, che però sembrava distratto da qualcosa…o qualcuno.
“Che bella figlia avete, signora Anna! Mi è rimasta impressa dalle foto grazie ai suoi occhi: spiccano davvero molto, sia sulla pellicola che dal vivo” si abbassò un poco con le mani sulle ginocchia per osservarla bene e Ginevra si sentì perforata da quello sguardo, quasi intimidita, così tornò a stringere la gonna della madre cercando riparo dietro di essa.
“Smettila di fare la sciocca e lasciati guardare” Anna la prese per le spalle e la mise davanti a sé.
Il fotografo sorrise, chiedendo se poteva farle un’altra foto. Gli occhi della bambina lo avevano incantato e gli sarebbe piaciuto ritrarli con la giusta luce per metterli in evidenza.
Scelsero un angolo della casa tranquillo, dove la luce entrava di traverso da un lucernaio e Ginevra fu posizionata in modo che il fascio le dividesse in maniera netta il volto in due parti oblique. Un occhio al buio ed uno al sole.
Lei rimase ferma senza dire nulla fino alla fine dell’operazione, dove si mise ad osservare ogni cosa: sua madre stava in un angolo ed era pronta ad aiutare, spostando la figlia quando serviva, raddrizzandole le spalle e sistemandole i ciuffi ribelli con un leggero sbuffo. Non amava particolarmente Ginevra: era l’ultima figlia e lei non l’aveva desiderata ma il marito sì, la pressione per un altro figlio si era fatta forte in casa e Anna aveva ceduto. Ora voleva solo che crescesse in fretta per potersi riprendere la propria vita.
Ginevra aveva sempre sospettato che la madre non la sopportasse molto ma cercava comunque le sue attenzioni, per lei era una figura di riferimento e lasciarsi fotografare in quel modo era un ulteriore modo per avere la sua approvazione.
Anna vedeva nella figlia quelle possibilità che a lei mai si sarebbero presentate: sapeva che il mondo stava cambiando e Ginevra avrebbe potuto avere più libertà di lei, avrebbe potuto esprimere il suo carattere e avere successo. Una vita dove nessuno poteva dirti cosa fare.
Cavoli, le opportunità le si stavano presentando già adesso, come questo fotografo ammaliato dai suoi occhi! Quei maledetti occhi color ghiaccio che nessuno riusciva a capire da chi li avesse ereditati e tormentavano la donna dal giorno in cui l’aveva data alla luce. Sapeva che vi avrebbe visto tutto quello che lei non era potuta essere, speranze e sogni e dolori. Questo dolore se lo sarebbe portata dietro ogni giorno vedendola.
Ginevra questo non poteva immaginarlo mentre spostava lo sguardo sul fotografo, il quale stava armeggiando con la macchina fotografica, la sua tendina e una lastra molto scura, quasi nera, con sopra dei puntini bianchi. Era concentrato e così Ginevra si soffermò ad osservargli il volto: non sapeva quanti anni avesse, sembrava sia giovane che vecchio allo stesso tempo, tra l’assenza di rughe profonde ma alcuni solchi nella fronte mentre l’aggrottava, capelli neri con qualche ciuffo grigio che spuntava dai basettoni. Ginevra rimase stranita dai suoi occhi.
Fino a quel momento non vi aveva fatto caso ma erano marrone scuro, con un’aureola verde all’esterno. La cosa strana era che non avevano venature, risultavano piatti. Non vi erano sfumature, increspature o altro. Un colore steso in maniera piatta, non tridimensionale, come quando lei pitturava. Sembravano degli occhi colorati da un bambino.
La cosa le diede un brivido lunga la schiena e non riuscì a capire che quello era un presentimento che qualcosa in lui non andava. Percepiva qualcosa di strano, quell’inquietudine, ma non avendola mai provata e non sapendole dare un nome si ritrovò senza uno scudo per fronteggiarla.
“Ora rimani immobile fino a quando te lo dico io” lui abbozzò un sorriso mentre dava il via allo scatto. Era un sorriso strano, che si estendeva solo ai lati della bocca, senza includere il resto del volto.
Anna non notò nulla di tutto questo.
°°°°°
“Le dobbiamo qualcosa per questo lavoro?” chiese Anna una volta finito il lavoro.
“Nulla, la gentilezza è stata vostra ad avermi concesso il vostro tempo. Vi ringrazio per questi scatti” il fotografo accennò un inchino verso Anna e le sorrise, per poi rivolgere lo stesso trattamento a Ginevra.
Questa si trovava in fondo alle scale, qualche passo dietro di loro. Accennò un delicato saluto con la mano, non troppo convinta.
Terminati gli scatti erano tornati al piano terra e i due adulti si stavano salutando sulla soglia. Oltre, il giardino era illuminato dalla luce del mezzogiorno ed entrava la tipica calura estiva dalla porta aperta.
“Ginevra ti ho insegnato a salutare come si deve!” Anna si girò verso la figlia, facendole segno di andarle accanto. Questa lo fece, salutò il fotografo e quando fu uscito la madre chiuse la porta, riportando l’ingresso alla penombra. L’unica luce ad illuminarlo proveniva dalla cima delle scale.
“Cos’è successo al nonno?” Ginevra si ricordava ancora quello che aveva sentito dire, mentre scendeva le scale.
“Nulla” Anna emise un sospiro.
“Ma io…”
“Ti ho detto che non è successo niente, torna al piano di sopra!” Anna urlò contro la figlia, indicandole le scale. La bambina non ebbe altra scelta che abbassare la testa e fare come le era stato ordinato.
Anna, una volta sola, si sedette sul piccolo sofà lungo la parete e rimase lì, a pensare alla sua vita. Prese il viso tra le mani e pianse in silenzio, nel buio dell’atrio.
Sarebbe solo voluta volare via.
°°°°°
Il fotografo sviluppò subito le fotografie, una volta giunto nella sua bottega. Non aveva potuto farsi scappare un’occasione del genere: aveva sentito l’astio della madre nei confronti della figlia, tutti i sentimenti repressi che vi erano in quella casa. Aveva dovuto incanalarli e quale soggetto migliore di quella bambina dagli occhi così penetranti?
Sviluppò quelle lastre particolari: funzionavano bene su animi tormentati e persone che li circondavano. Quelle lastre potevano incanalare l’essenza di una persona nella fotografia.
Il processo richiese tre giorni. Voleva farlo al meglio: il caos va seminato per bene, altrimenti ti si riversa contro.
Passati ammirò il tutto: i riccioli della bambina erano perfetti, il viso serio e gli occhi spalancati.
Uno completamente illuminato, l’altro nell’oscurità.
La fotografia aveva un aspetto inquietante, da volerne distogliere lo sguardo eppure non vi si riusciva, ti catturava e rimanevi incantato a guardarla, cercando di vedere oltre, cercando di percepire l’essenza della piccola.
Mancava solo un passaggio per rendere il ritratto vivo.
Serie: Ginevra
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- Episodio 3: Passi
- Episodio 4: Caduta
Un inizio molto intrigante. Mi è piaciuto come hai messo in risalto il fatto che solo la bambina riesca a notare le stranezze del volto del fotografo, come fosse qualcosa che gli adulti, privi, ormai, della loro innocenza, non riescono a cogliere.
Seguirò con curiosità.
Leggendolo un paio di volte, ho avuto la piena coscienza del fatto che la vera protagonista sia la madre. Dentro di lei c’è l’essenza del testo e i personaggi sono ‘costruiti’ partendo dalla sua maniera di guardarli. Molto brava
Sai che con questo tuo commento mi hai aperto una finestra di cui non mi ero resa conto? Involontariamente ho notato di aver delineato quel personaggio e grazie alle tue parole vi sto facendo caso, ne terrò conto! Grazie mille!
il tuo stile, un po’ vecchia maniera, mi piace molto. Ho notato la corrispondenza fra l’attività combinatoria della bambina con le sillabe e quella del fotografo con le immagini. In pochi tratti hai delineato una condizione familiare che mette a disagio, una severità asfissiante: sembra che solo un’occhio esterno, mediato dalla macchina fotografica, possa estrarne il senso e il dolore.
Ciao e scusa la risposta tardiva, prima di tutto. Ti ringrazio per queste tue parole, fa piacere sapere di esser riusciti a delineare qualcosa in così poco spazio (a volte si vorrebbe dire tantissimo di più). Sto provando a tornare ad uno stile che mi era famigliare quando ero più ragazzina e sono contenta di sapere che, anche se un po’ assopito, riesce a riemergere. Spero continui così anche nei prossimi capitoli
Interessante