Fotografie
Le ho mai potute tanto sopportare io le fotografie. Il fatto è che oggi come oggi non si può mica scrollarsele di dosso con facilità. Ci si incespica dappertutto. Stanno in mezzo ai piedi ad ogni passo. Come ti muovi, o come ti giri di là, oppure di qua, ce n’è sempre una che ti scruta per traverso, con la fregola di darti sui nervi.
C’ho anche pensato sopra a ‘sta faccenda delle foto. Cioè al perché mi stanno sullo stomaco. Se mi guardo attorno, se m’interesso un pochino, se chiedo cosa ne pensano agli altri, allora sembrerebbe che non è normale detestare le fotografie. Per fortuna, di quelli lì, degli altri, ho imparato che si deve diffidare. Ne ho buscate legnate dagli altri! e di quelle troppo dure delle volte. M’han reso una carogna. Non mi fido più fino in fondo. Di nessuno. Tengo riservato un posticino tutto mio: un cantuccio, proprio dietro l’anima, per mandarli tutti al diavolo, gli altri, quando mi pare. In questo sono equanime: non faccio preferenze: parenti stretti, strettissimi o lontani; collaterali; colleghi; conoscenti; estranei; amici, o cosiddetti; tutti a farsi fottere uguale. Di gatte da pelare ne ho già un frego, mica mi servono quelle altrui. Tanto peggio, allora, se non sono normale. Se c’ho qualcosa di sbagliato nella testa. Di obliquo, di storto. Le martellate che ho preso dalla vita, e quante ne ho prese! nemmeno quelle sono state buone a raddrizzarmi. Mi hanno messo a piombo per niente, neanche di mezzo ghello. Anzi, m’hanno reso duro, caparbio. Peggio d’un somaro cocciuto. Gli psico – quello – che – sono, logi o atri, li tengo alla larga. Son troppo cari. Io di soldi ne ho mica tanti. Mi pare più saggio tenermeli per il mal di denti che per i tarli del cervello. Questi, dopotutto, ti fanno compagnia la notte, quando fatichi a prendere sonno. I matti non sono mai noiosi. Il mal di denti invece, oh quello! quello t’inchioda. Ti spacca le meningi quando ci si mette di buona lena, quando picchia col suo battere maledetto, e non vuole saperne di smettere. Allora, lo stesso ci pensi eccome ai soldi! certo! sicuro! come si fa a non pensarci se ce n’hai pochi? ma meglio senza soldi e senza mal di denti che con tutti e due. Non si può avere la moglie ubriaca e la bottiglia piena. È una cosa che s’affina anche questa qui. Col tempo. A sacrificare qualche pedina.
Be’… insomma, adesso diamoci un taglio. Sto divagando. Le foto. Ecco di cosa parlavo. Delle foto. Che non mi piacciono. Non so cosa farmene. Alla fine il perché io credo di averlo capito: è perché le trovo bugiarde. Sono di quelle bugie che alla gente piace prendere per vere, senza troppo pensarci su. Un’occhiata e via! Eccola la realtà! Tutta quanta insieme, raccolta in un comodo quadretto. Val mica la pena di fermarsi a riflettere sopra una roba così banale, che si trova dappertutto a buon mercato. Persino gratis. Però io nelle fotografie ce la vedo mutilata la realtà, una grande invalida. Mentono, quelle, per omissione. Mi salta all’occhio più quello che non c’è che quello che c’è. Mancano i suoni, tanto per cominciare. E poi gli odori; il caldo o il freddo; il vento, che è trasparente lui, lo stupido, e bisogna indovinarlo, che soffia, dai dettagli: dalle cose piegate, o che svolazzano in giro a casaccio: che te le ritrovi in posti in cui non dovrebbero stare.
Ma là dove sono più spudorate le fotografie, proprio svergognate, è dove pretendono di arrestare il tempo, di tagliarlo in una fettina sottile sottile, e poi di squadernartela la fettina sotto il naso: per farti sentire gli odori dell’ecco! del vedi? del c’ero, io! ero presente; oppure per mostrarti l’immagine di qualcuno che non ti amerà mai; di qualcosa che non avrai; di un posto dove non metterai mai piede; di quello che s’è perduto per sempre, ingoiato dal passato. Tutto un intero istante di lusinghe. A ciascuno la sua. E gli altri, di istanti? Quelli prima? Quelli dopo? Dove sono? Tutto strappato via. Tolto il flusso che compone, e poi decompone, senza fermarsi mai. Senza stancarsi mai di fare e disfare le cose, le persone, i posti. Fermato quello scorrere inesorabile che è, in fin dei conti, l’esistenza. La fotografia è il punto tra un verbo e il suo soggetto: non ci va. Il niente che sta tra il prima e il dopo. Un grande malinteso colorato.
Allora, qualche licenza con il tempo, l’unica cosa che conta nell’universo, il vero padrone, qualche libertà, me la sono presa anch’io, col pretesto delle foto dove non c’è, e non morde. Ci potrò scherzare pure io, o no? Visto come m’ha trattato, come tratta tutti quanti, non può mica aspettarsi granché di meglio. Gli rendo pan per focaccia all’ingordo, che s’è mangiato tutto: il futuro; gli affetti; l’infanzia dei figli; la fiducia nel mondo. Voglio camminargli nel ventre, avanti e indietro, su e giù. Finché mi garba. Non potrò fargli poi chissà che al tempo. Lo so, certo. Non m’illudo. È troppo forte, lui. Troppo cattivo. Ma giocargli un tiro, quello sì! Quello posso. Intortigliarlo un pochetto. Che si accorga infine di me! che la smetta d’ignorarmi, una buona volta! di fare i suoi comodi come gli pare, indifferente alla vita mia. A quella altrui, ci pensino loro. Io non ne voglio sapere. Non m’impiccio.
Così, quando per caso rovistando nel fondo di qualche cassetto, o nelle profonde cronologie del cloud di silicio, mi salta tra le mani una foto dei miei figli piccoli, mi vendico un po’ del tempo, a modo mio. Sono lì, ma non ci sono. Osservo di nascosto uno storico di mille anni nel futuro, mille anni nel futuro anch’io. La guarda lui la foto. E si chiede chi siano i due bimbi, belli come il sole, con due sorrisoni così, colorati d’ambra, in braghette corte. E io? Io piango. Mi commuovo di quella curiosità che ridiscende dal futuro verso vite lontane, già vissute. Perché io so. Lui ignora. E il tempo l’ho gabbato stavolta, anche se per un istante solamente. Di meglio non mi riesce.
Ho qualcosa di obliquo nella testa, qualcosa di storto. E non c’è verso di raddrizzarlo. Neanche a martellate. Ma questo l’ho già confessato.
Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Ciao Curzio, mi è piaciuto il ritmo, mi è piaciuto lo ‘slang’, mi è piaciuta la storia. Bello, ti seguirò con piacere.
Sei gentile. Ti seguirò anche io con piacere.
“Sono di quelle bugie che alla gente piace prendere per vere, senza troppo pensarci su. “
Questo passaggio mi è piaciuto
Quando ho letto il primo testo di questo autore mi è scappato un”wow”. Espressione poco elegante, certo, peraltro monca poiché senza audio: è stato un gaudio interiore che, come le foto, ha impresso una muta emozione nel tempo.
Faccio i complimenti a Curzio che, se non mi sbaglio, è una new entry ma di quelle che contano. Ciò che gli invidio è la maestria nel maneggiare lo stile che, unita a contenuti d’impatto, rende i suoi scritti davvero validi.
Nel caso specifico, una riflessione sugli istanti rubati che fa pensare, con un ribaltamento finale di qualità e spessore. La scrittura è (apparentemente) minimalista, oserei dire colloquiale, come discutendo con un interlocutore in un bar.
Che io abbia letto solo due testi poco importa, o si tratta di una mia cantonata di quelle spaziali, o siamo di fronte a un talento spiccato.
Ti ringrazio molto Roberto. Sei troppo gentile.
Molto originale questo librick!
Bello questo monologo. Ciò che più ho apprezzato è il linguaggio colloquiale con cui il protagonista si esprime