FRA UN SORRISO E UN COLPO DI PISTOLA

Serie: L'ODIO


Storia di un'anomalia in due episodi. Episodio finale.

Anche i miei sforzi per intercettare le vecchie amicizie si risolsero con lo stesso squallido esito: i più controllati si defilarono silenziosamente, come aveva fatto il Necchi, mentre i più biliosi arrivarono a offendermi e a minacciarmi dopo aver imbastito ridicoli alterchi al solo scopo di giungere allo scontro.

Sembrava proprio che la mia presenza li snervasse senza un’apparente ragione.

Così, come se il mio solo esistere mandasse in subbuglio tutti i loro istinti più feroci.

Quando anche l’ambiente lavorativo iniziò a subire questo “contagio” – a partire dal mio diretto superiore, che non perdeva occasione di umiliarmi, per proseguire poi sino ai miei sottoposti, ormai completamente ridotti ad ammutinati – ecco che mi trovai in serie difficoltà.

Dovetti persino abbandonare la possibilità di andare a lavoro in auto, dato che a ogni fine turno trovavo ad attendermi la scoraggiante visione dei quattro pneumatici bucati.

Sapevo che l’idea di un complotto mondiale ordito a mie spese era pura follia; tuttavia conoscevo anche la forza devastante di una fissazione, ed ero certo che di lì a poco mi sarei convinto definitivamente di essere inviso all’umanità.

Per ovvie ragioni non feci parola ad Olga di questi miei timori, proprio per la paura di risultare patetico e lamentoso.

Mi decisi invece di rivolgermi segretamente a uno specialista.

Il dottor Aspici parve prendere a cuore la mia situazione, esigendo un resoconto accurato di tutti i miei problemi, salvo poi ridermi istericamente in faccia e definirmi un “noioso vittimista”, “una larva umana che avrebbe meritato l’estinzione”.

Quella fu la prima volta in cui sentii nascere una rabbia mai provata prima.

Guardai con odio l’odio riflesso nel volto dello psicologo, e per un istante lo vidi temere per la propria incolumità.

Se lo avessi anche solo sfiorato, probabilmente il Governo avrebbe istituito la pena di morte unicamente per me, o peggio: conoscendo questa mia spaventosa condanna a catalizzare l’odio altrui non sarei scampato un giorno in galera.

Me ne andai in silenzio, senza nemmeno badare alle risate di scherno e di sollievo del dottor Aspici.

Ecco quindi che anche stavolta mi trovavo isolato da un’intera categoria di persone: medici, scienziati, psicologi.

I soli che avrebbero potuto dare una spiegazione alla mia “malattia”.

Ma come comunicare l’esistenza di un morbo il cui unico effetto era di rendere i “sani” cagione del mio male?

Pochi giorni dopo accadde ciò che ormai avevo previsto da mesi: Olga confessò di odiarmi.

Se n’era accorta da poche settimane e la cosa l’aveva lasciata di stucco.

Il suo sentimento, tuttavia, aveva continuato ad attizzare il nostro rapporto, dato che – come recita l’adagio – il contrario dell’amore non è l’odio, bensì l’indifferenza.

E lei non provava affatto indifferenza, anzi: le sue giornate si erano alimentate di odio, proprio come in una coppia sana si sarebbero alimentate di amore, e il suo obbiettivo non era più quello di rispettarmi e di preservarmi, ma al contrario di umiliarmi con altri uomini e di ferirmi avvelenandomi lentamente con cibi scaduti e contaminati dai suoi liquidi più infimi.

Suoi e dei suoi amanti.

La confessione non fu altro che il gradino successivo della sua volontà di mortificarmi: non avrebbe infatti goduto appieno della mia umiliazione se non mi avesse veduto atterrito dalle sue malefatte.

Quel giorno uscii definitivamente dalla vita di Olga.

La mia mente distrutta mi costrinse a una fuga psicogena, una corsa che durò giorni lungo le vie della città.

Quando tornai dai miei genitori ero ormai sporco, affamato e senza lavoro.

Sapevo di non poter contare sul loro aiuto: ogni giorno che passava, il mio catalizzatore d’odio s’intensificava, e probabilmente ora avrei rischiato di buscarmi una coltellata da mio padre.

Entrai quindi in casa di nascosto, in un momento di loro assenza, approfittandone così per lavarmi e abbuffarmi, in attesa di andare incontro al mio oscuro avvenire.

Ormai non restavano più alternative: dovevo rinchiudermi da qualche parte e sopravvivere lontano dai miei simili, sperando che il raggio d’azione di quell’aura malefica che mi circondava non si espandesse oltre misura.

Dopo la doccia mi studiai allo specchio.

Osservai il mio viso, domandandomi se fosse qualcosa nella conformazione dei connotati a scatenare l’odio.

In fin dei conti, simpatia e antipatia erano sempre state il frutto di un semplice fraintendimento del nostro aspetto.

Il mondo andava avanti grazie a una catena di equivoci: uno sguardo sbagliato, un’espressione male interpretata, stava tutto lì il confine fra un sorriso e un colpo di pistola.

Oppure si trattava di qualcosa di più subdolo?

Forse un suono che emettevo senza accorgermene, oppure un odore.

Avevo sentito parlare di certe sostanze secrete dal corpo degli animali, i feromoni, capaci di esercitare una vera e propria influenza sul comportamento delle bestie.

Magari producevo un ormone del tutto sconosciuto alla scienza.

Qualunque diavoleria fosse, dovevo per forza isolarmi dal mondo.

Fu così che presi di nascosto le chiavi di un vecchio appartamento di nostra proprietà, uno dei tanti monolocali che già da tempo mio padre aveva smesso di amministrare, lasciandolo ad ammuffire all’ultimo piano di un condominio della capitale.

Sarei partito immediatamente con la mia auto e, una volta là, avrei provveduto personalmente agli allacci e alle utenze, stipulando contratti da remoto e cercando un lavoro che non comportasse il colloquio di persona o la presenza fisica in ufficio.

La mia laurea in ingegneria informatica mi sarebbe stata preziosa e, con un po’ di fortuna, la distanza dai colleghi mi avrebbe preservato dall’odio che sembrava perseguitarmi.

Questa è, in definitiva, la mia storia.

La scrivo qui, a grandi linee, nascosto nell’appartamento sfitto di mio padre.

Mi trovo nella capitale già da qualche settimana e ancora non mi capacito di questa condanna surreale che sembra avermi colpito come un castigo divino.

Un paio di volte sono uscito, solo per provare a me stesso che l’odio è tutta una mia invenzione, ma in entrambi i casi il risultato si è rivelato disastroso: in un’occasione sono stato aggredito al bar da una donna inizialmente avvicinatasi per flirtare; in un altro caso, invece, ho visto un intero locale devastato da una rissa.

Ora l’odio si ripercuote anche sugli altri.

Osservo i tetti della capitale dall’alto del mio nascondiglio: non posso uscire, dato che il balcone è affollato di uccelli d’ogni tipo, tutti impalati sulla ringhiera a fissarmi con quei loro occhi incapaci d’odio… eppure avversi.

Dalla finestra del bagno noto qualche passante fermarsi sotto al palazzo, proprio al di là del marciapiede, e guardare su, all’altezza del mio appartamento.

Credo che l’influsso arrivi ormai fino alla base del condominio.

Ciò spiegherebbe le minacce scritte a bomboletta sulla mia porta d’ingresso, oppure lo snervante battere al soffitto dell’inquilino di sotto, infastidito da ogni minimo spostamento.

Ripensando alla mia ipotesi dei feromoni, sono giunto alla conclusione che nemmeno questi c’entrino.

Da qualche giorno, infatti, persino gli apparecchi elettrici hanno iniziato a comportarsi in modo bizzarro. Sembra quasi che cerchino di ostacolarmi.

Ora ho il terrore che anche le più piccole particelle della materia comincino a odiarmi: che l’ossigeno si rifiuti di gonfiarmi i polmoni, che la luce rifugga il mio occhio, che i microscopici parassiti del mio corpo inizino una ribellione silenziosa… che le cellule di cui sono composto insorgano in una spaventosa metastasi d’odio.

FINE

Serie: L'ODIO


Avete messo Mi Piace4 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Mi ha molto colpito la persistenza e progressione claustrale della voce narrante, ben congegnata in tutti i suoi espedienti, nonché il flusso persecutorio che sembra contaminare senza speranza ogni cosa, aspetto e dimensione. Le domande, i dubbi, le sensazioni invalidanti sono parti vive di un labirinto narrativo di grande efficacia, che non lascia scampo.

  2. La cattiveria della fidanzata supera ogni limite immaginabile e l’idea che uccelli carichi d’odio ti fissino è veramente inquietante. Applaudo all’originalitá del tuo racconto e a quel finale lasciato in sospeso con il vicino di casa che picchia al soffitto. Spaventoso

    1. Ciao Cristiana! Grazie mille per aver letto il mio racconto e per i bellissimi commenti! In effetti questa storia è particolarmente nera. Credevo di aver toccato un buona vetta di orrore esistenziale, poi l’altro giorno ho iniziato a leggere qualcosa di Thomas Bernhard… e mi sono sentito subito un pivello 🙂

  3. Un racconto che punta dritto a quella parte della psiche dalla quale nascono le ansie, le paure e le psicosi.
    Mi è piaciuto molto il crescendo, fra il primo e il secondo episodio, delle paranoie del protagonista e delle situazioni surreali da lui vissute, fino a giungere all’esacerbazione del tutto, quando lui si convince che perfino i microbi e le cellule del suo corpo inizieranno ad odiarlo.
    Una miniserie davvero originale e ben strutturata, che coinvolge dal primo all’ultimo rigo!

    1. Ciao Giuseppe! Grazie mille per aver letto il mio racconto! Volevo giusto toccare una paura atavica poche volte considerata, portando al limite estremo quell’angoscia che a volte ci prende quando sembra che il mondo ce l’abbia solo con noi. Un altro frammento di scrittura terapeutica… almeno per il sottoscritto 🙂