Fra uno Ieri ed un Domani – Andata

Serie: Fra uno Ieri ed un Domani


Racconto di memorie e di futuro

Quando ne parlo con le persone che conosco, le poche volte che ho voglia di aprirmi un minimo al mondo che mi circonda, non mi crede mai nessuno.

Mi sono riferito a persone e non ad amici. Immagino che l’avrete notato.

L’ho fatto consapevolmente, perché non mi piace fregiarmi di quello che non sono, millantare quello che non mi appartiene. Non fa per me, mi sembra di prendermi in giro da solo. Per cosa, poi?

La verità è che io conosco un sacco di gente – anzi, cancellate pure un sacco, io conosco della gente – ma di amici non ne ho nemmeno uno.

La loro incredulità gliela leggo chiarissima negli occhi. Mi guardano con le palpebre leggermente abbassate ed annuiscono come si fa con un mentecatto, con uno che ha perso definitivamente il Frecciarossa della vita e si ritrova a viaggiare sempre e soltanto sull’ultimo regionale della giornata, quello che sferraglia lento quando fuori dal finestrino è solo oscurità.

Ma perché poi, mi chiedo io? Cosa c’è di così insensato, di così incredibile nel fatto che mi piaccia fare il turno di notte?

Non lo so, può essere che sotto un certo punto di vista abbiano ragione loro. Sicuramente, per quanto riguarda il tipo di treno, quello su cui salgo ogni giorno, effettivamente ci hanno preso in pieno.

Probabilmente da me ci si aspetta che dica che la mia vita non è andata esattamente nella direzione che avevo immaginato.

Che se avessi rischiato un po’ di più, se avessi osato, se per una volta avessi fatto a meno della sveglia preimpostata sull’orologio e mi fossi addormentato semplicemente, così, su questo vagone, lasciandomi cullare dalla rassicurante monotonia dell’ondeggiare della carrozza, se avessi lasciato che fosse stato il caso, un rumore inaspettato, o quello che vi pare, a farmi riaprire gli occhi, accogliendo l’eventualità di risvegliarmi e scendere in una stazione diversa, oltre la mia solita fermata, allora forse mi sarei trovato nella posizione di dover finalmente calcare un binario vergine per le mie scarpe.

Così, forse, sarei uscito dalla stazione, avrei annusato l’aria pungente del primo mattino, quella che vi pizzica le guance quando il cielo buio sopra le vostre teste assume quel primo, impercettibile, innegabile punto di luce, sarei entrato in un bar mai frequentato, avrei ordinato un cornetto al cioccolato uscito da un forno mai provato, lo avrei intinto in una tazza di cappuccino dalla forma sconosciuta e poi, forse…

E poi non lo so, perché non è andata così.

In realtà, se proprio dovessimo parlare della mia vita, piuttosto che guardare la cosa dal punto di vista della direzione che ha preso, mi soffermerei di più sull’aspetto accompagnatorio.

La mia vita è come un film senza colonna sonora. Anzi, no, scusatemi, non sono stato abbastanza preciso. La mia vita è come un film senza musica di sottofondo.

C’è una bella differenza fra le due cose. La colonna sonora accompagna saltuariamente, ritaglia un momento particolare della nostra esistenza e gli imprime un marchio circoscritto.

Tutti ne abbiamo una. Qualcuno ha un album doppio, qualcuno ha un EP, qualcuno ha un singolo e basta. Anche io ne ho una mia. Non sono mica un alieno venuto da Marte. Per come la vedo io, però, non bisogna abusarne. Già, perché prima o poi la colonna sonora finisce. Per quanto ricca, presto o tardi, l’ultima canzone arriva sempre. E se si riavvolge il nastro troppo di frequente, si corre il rischio di far apparire il tutto come un qualcosa di già ascoltato.

Io in realtà parlo di una cosa diversa. Parlo di quella melodia che dà un tono alla scena, che le imprime un carattere, quel rincorrersi fluente di note alle quali spesso, inconsciamente, non si fa nemmeno caso, tanto si è presi dal susseguirsi delle immagini. Ma il cui vuoto risulterebbe assordante se, d’un tratto, quelle note venissero improvvisamente a mancare.

È così. Io questa musica di sottofondo non ce l’ho. Perché dovrei descrivere le cose diversamente da quello che sono?

Fermatevi subito, per piacere, non sprecate il vostro tempo, e nemmeno il mio. Non cerco commiserazione, quella fase l’ho superata parecchio tempo fa. Probabilmente, anzi, penso di poter dire di non averla mai vissuta.

L’unica cosa che vorrei è non essere trasparente. Questo sì.

Eppure non dovrebbe essere così. Voi mi avete già visto, ne sono certo. Perlomeno, io ho già visto voi.

Non mi riconoscete? Ci avrei scommesso. Ma tanto ormai non ci faccio nemmeno più caso, non mi offendo più.

Molto piacere allora, mi chiamo… sceglietelo voi un nome, quello che vi piace di più, quello che un giorno vorreste dare a vostro figlio, quello che vi infonde più sicurezza, uno di quelli che non si dimenticano.

Io vengo da un luogo distante da voi. Lontanissimo. Vengo da un posto del quale, anche se vi dicessi il nome, non sapreste nemmeno in che provincia si trova. Quindi a che serve dirvi come si chiama? Per poi sentirmi dire un’altra volta Dove? oppure Mai sentito. No grazie, risparmiamoci il reciproco imbarazzo.

In certi momenti, ho l’impressione di abitarci solo io in questo posto.

Ci sono volte in cui, quando dormo, ho un incubo ricorrente. Sogno di andare in stazione, a prendere il treno che mi porta al lavoro, come tutti i giorni, solo che questa volta la stazione è chiusa. Anzi, meglio, la stanno chiudendo, proprio mentre arrivo io. Ma non per un guasto, o uno sciopero del personale. La chiudono per sempre. C’è un uomo all’ingresso con delle assi e dei chiodi che sta sbarrando l’entrata. Mi dice che, da oggi, il treno per me non passerà più, e io rimango lì bloccato, da solo, senza che ci sia nessuno in giro che possa darmi una mano. C’è solo il tizio che finisce il suo lavoro e che, poi, se ne va.

Non lo so dove. È solo un sogno.

Ma sapete una cosa, già che siamo in vena di confidenze? Da un po’ di tempo a questa parte, un bel po’ di tempo a dire il vero, questo è l’unico sogno che mi ricordo una volta che sono sveglio. Gli altri li dimentico tutti.

Che spreco. Ma non è sempre stato così.

C’è stato un tempo, quando ero un ragazzo, in cui facevo dei sogni lunghissimi, infiniti. Sembravano romanzi. E come tali riuscivo a raccontarli.

In ogni sfumatura, in ogni particolare, inchiodavo al sedile il malcapitato compagno di liceo che aveva avuto la sventura di finire di fronte a me, salendo qualche stazione dopo la mia e, mentre il treno ci portava dritti a scuola, lo inondavo di descrizioni minuziose sulla vita che avevo vissuto la notte precedente. Non di rado, una volta scesi dal treno, non avevo ancora terminato il racconto.

Forse è per questo che, poco alla volta, dopo un po’, davanti a me non voleva più sedersi nessuno. E forse, di conseguenza, è per questo che, poco alla volta, giorno dopo giorno, stazione dopo stazione, ad ogni scusa, ad ogni pretesto addotto per ignorarmi e lasciare vuoto il sedile di fronte a me, ha iniziato a vacillare, colpo su colpo, l’illusione che a qualcuno potesse interessare quello che avevo da dire.

Adesso, ad ogni modo, il problema non si pone più. I miei sogni si sgretolano inesorabilmente ad ogni risveglio, montagne di argilla che crollano sotto un temporale, e quando il cielo smette di riversare sulla terra il suo fardello, di loro non rimangono che piatte distese di incomprensibili brandelli.

È una delle sensazioni più frustranti che io possa astenermi dall’augurare a chiunque. Tento in ogni modo di rimettere insieme tutto quel mare di fango, ma non mi resta fra le dita che una poltiglia di emozioni senza senso, che alla fine evapora e svanisce nella luce morente del giorno come le lacrime di un uomo raccontate da un replicante.

E in quella luce morente inizia la mia giornata, un altro frammento di una vita che si muove nella direzione opposta alla vostra, sempre sull’altro binario.

Devo supporre che sia proprio questo il motivo per il quale non mi riconoscete. Io sono quello che nessuno nota mai.

A volte sono quello che va, osservatore, riflessivo, vigile, mentre i pochi di voi ancora in giro sono quelli che stanno tornando, quelli che si muovono nella direzione opposta, con la schiena che affonda nel vostro sedile, un libro in mano, il polso che cede e la palpebra pesante come un macigno.

A volte, invece, sono quello che ritorna, stanco, appesantito, mentre voi salite qualche stazione dopo di me, con la vostra giornata tutta da scoprire, il vostro giornale aperto sul tavolino davanti a voi e una manciata di getti d’inchiostro che non vedono l’ora di raccontarvi cosa è successo nel mondo.

Si tratta solo di questo in fondo, ci incrociamo nel momento sbagliato. Quello in cui io non sono pronto per voi, o voi non siete pronti per me.

Serie: Fra uno Ieri ed un Domani


Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. “Si tratta solo di questo in fondo, ci incrociamo nel momento sbagliato. Quello in cui io non sono pronto per voi, o voi non siete pronti per me.”
    👏 Saper definire, e poi accettare, la realtà non ha prezzo. Ti porta via tutto quello che pensi di avere ma lascia quello che sei, vero?👏

  2. non l’avevo ancora letto. Ne sono rimasta incantata, Roberto. A parte il singolare aspetto del personaggio-narratore, che si riversa nelle parole con un’esattezza e una capacità descrittiva notevolissima, mi ha colpita il ritmo. Le frasi sono perfette, equilibrate e quasi musicali. Micol ha detto magico; e sì, lo è.

  3. Posso dirti che è un gran piacere leggerti? Hai uno stile che rasenta la perfezione. Frasi ben costruite, concetti che penetrano taglienti e un’ amarezza inquietante. pura e dura come un diamante. Bravissimo Roberto!

  4. Ci sono delle sensazioni, dei pensieri, che mi prendono sempre più spesso da un po’ di tempo a questa parte. Sono pensieri malinconici che non mi sento di seguire. Che non mi sento di raccontare anche se forse mi farebbe bene farlo, come strappare un dente o togliere una spina da sotto un piede.
    Forse ho solo paura che faccia troppo male.
    Tu invece ci riesci benissimo.

    1. Grazie Giancarlo. Alla fine quello che noto è che scrivete sia un’attività molto terapeutica, e spesso i crucci che mi attanagliano, una volta messi su carta, restano imprigionati lì e smettono di opprimermi