
Fragile
Serie: Morti bianche
- Episodio 1: Il promontorio della paura
- Episodio 2: Fragile
- Episodio 3: Tophet
STAGIONE 1
“Norigae!”
Si svegliò di soprassalto, con le coperte sul pavimento e la bottiglia di whisky vuota fra le mani. Pronunciò la parola ad alta voce, con grande enfasi comunicativa, come se qualcuno fosse lì ad ascoltarlo.
“Ma certo! Si tratta Norigae!”
Si alzò, barcollò fino al gavone di poppa e cominciò a rovistare. Dopo qualche minuto, nel diario di bordo del 2028 trovò una fotografia sfocata, una di quelle che aveva fatto in un viaggio precedente. Rappresentava un Norigae impreziosito da un Maehwa, il nodo a forma di fiore di albicocca, intrecciato secondo l’antica arte del Maedeup. Era tradizione che le donne coreane creassero questi nodi, simboli di protezione, come regali per le figlie, legando così insieme le generazioni, la natura e il destino. L’amuleto apparteneva alla donna incontrata il giorno prima?
Il capitano si preparò la colazione e riempì lo zaino subacqueo con il necessario per una lunga esplorazione del territorio. Si tuffò e raggiunse la riva in pochi minuti.
Lasciò subito la spiaggia, percorrendo la strada lastricata che conduceva al Castellum Acquae, tra i resti di edifici di età romana imperiale e piccole edicole sacre. Mentre camminava, fece humming per tutto il tempo, diffondendo nell’etere una rassicurante melodia, che si mescolava allo sciabordio delle onde e al fruscio delle foglie. Dichiarava così le sue intenzioni del tutto pacifiche.
“Eccola lì!” esclamò.
In piedi sui resti della fontana a cupola per la distribuzione di acqua dolce, l’anziana indigena lo guardava dall’alto in basso. Il capitano mostrò le mani e pronunciò solennemente:
“Naneun dori eopseoyo” Non ho un sasso, in coreano maccheronico.
Lei rise.
“Naneun dori duryeopji anjiman, soni duryeowoyo” Non ho paura della pietra, ma della mano.
Continuando a sorridere, fece un cenno e da una conca nascosta, comparvero altre due donne più giovani, con capelli simili alle spighe di grano al tramonto, dorati e fragili. La pelle era chiara e liscia, arrossata dal sole. La più piccola, magrissima, indossava un vestito di pelle marrone scuro e camminava scalza, tenendo per mano la più grande, che la nascondeva in parte dietro di sé.
L’anziana lo invitò a seguirla con un gesto della mano, gli sorrise, segno che le piaceva, era benvenuto.
Ma cosa ci faceva una coreana in quel punto del Mediterraneo? Perché si era fermata lì? Cosa vi aveva trovato? Forse era una Haenyeo e immergendosi aveva scoperto qualcosa tra le rovine millenarie? Dove aveva preso la polvere d’oro con cui era decorato l’amuleto? E le altre chi erano? Nessuna di loro aveva i tratti somatici tipici del luogo. Le domande scorrevano nella sua mente come un fiume in piena. Cominciò a sentire una certa tensione, voleva sapere, voleva.
Avevano lasciato quello che anticamente era il centro pulsante della città e percorrevano un sentiero sterrato, lungo le antiche cinta murarie che proteggevano gli abitanti dagli attacchi provenienti dalla terra ferma.
Mentre camminava, il capitano fissava con insistenza i simboli sul pastorale dell’indigena, evidentemente eletta a capo spirituale della piccola tribù. Non ne riconobbe alcuno, quindi cercò di memorizzarli. Nel contempo si guardava intorno con attenzione. Era poi così sicuro che fossero solo in tre? Di chi erano gli stivali da motociclista? E se ci fossero stati altri uomini? Lo stavano forse conducendo dal resto del gruppo? Impossibile! Non aveva mai visto nessuno le altre volte. Voleva sapere, voleva.
Improvvisamente sentì un forte brivido alla gamba sinistra, il respiro si fece affannoso, poteva sentirlo fuori e dentro di sé. Una goccia di sudore scivolò sibillina dalla fronte sulla palpebra e cadde come una lacrima sul selciato secco. Il corpo sembrò sporfondare in uno stato di agitazione totale, la testa sembrava un masso immerso nell’acqua, lento e gonfio incapace di galleggiare. Tutto era annebbiato, i colori stanchi delle piante parevano putrefarsi al sole e un odore acre di muffa e sangue gli penetrò la pelle e risalì fino ai polmoni. Ebbe un conato di vomito, a stento si trattenne. In equilibrio precario si appoggiò alla cinta di contenimento, cercando sostegno nella roccia. Le onde, il vento, le foglie erano rumori assordanti e tutto sembrava ostile e pericoloso.
Con la vista offuscata si guardò intorno: si trovava in un punto inesplorato del sito archeologico, in una conca panoramica rotonda scolpita nel terreno dalla mano dell’uomo, circondata da ciottoli e sassi che ne delimitavano il perimetro. La parte centrale, in cui si era formato un grande avvallamento, era suddivisa in sette cavità ovali disposte simmetricamente, come uno spartito musicale scavato nella terra. Sentì il terreno sotto di lui pulsare, un battito profondo che faceva eco nelle vene.
L’anziana, ormai lontana, urlò e gli fece segno di avvicinarsi.
Camminò barcollando, sentendosi incredibilmente vulnerabile. Guardò l’anziana negli occhi, poi aprì lo zaino, prese il Norigae, lo racchiuse in entrambe le mani, come si fa con i pulcini e glielo porse. Un gesto riverente, quanto arrendevole.
“Chijeuneun ne geoya” le disse, questo è tuo. La donna ringraziò con un sorriso carico di autorevolezza, che non derivava certo dalla sua corporatura minuta.
“Geugeosman namgiji anhasseo” rispose. Non hai lasciato indietro solo questo.
Sollevò una vecchia pentola dal focolare al centro della conca, versò del liquido in una tazza sporca di terra e gliela diede, invitandolo a bere. La postura della donna non rivelava la minima insicurezza, sapeva di avere già vinto. Il capitano cercò di dire qualcosa, ma la sua bocca era paralizzata, come se avesse le labbra cucite.
Così, con i piedi per terra, dopo anni di mare, amori e delitti, noia e felicità, sogni e vergogne, memorie e oblio, carriera militare, missioni di pace e di guerra, dopo tutto ciò che credeva di aver imparato, John non oppose alcuna resistenza: avvicinò la tazza alle labbra, bevve con due mani, tutto d’un fiato come un bambino, ebbe un forte capogiro e cadde rovinosamente in una delle cavità.
DIARIO DI BORDO
Nave: Cassiopea – Dufour 312
Capitano: John Guy Ripamonti
Data: 9 Luglio 2067 Ore: 5h50
Latitude: 39° 52′ 23.88″ N
Longitude: 8° 26′ 22.99″ E
Tharros
Credo di essere svenuto. Non ricordo molto.
Serie: Morti bianche
- Episodio 1: Il promontorio della paura
- Episodio 2: Fragile
- Episodio 3: Tophet
Affascinante e intrigante.
Buongiorno Giuseppe! Grazie!