Freddo Agosto
E così, al termine di una serata di agosto inaspettatamente fredda, dopo essere scappato dal mio cattivo umore e dallo scazzo generale del bar Berto e dopo aver ascoltato, ad un tavolo di distanza, una discussione tra due ragazzi, che alle tre e mezza di notte, ubriachi, onniscienti e irritanti come possono esserlo certi studenti universitari, pareva volessero finire tutta quanta la birra rossa del Green Pub, mi è capitato di pensare ai parametri emotivi che determinano non tanto l’inizio, quanto la fine di una generazione. Le prossime righe, che spero non offendano nessuno, ma che temo potrebbero anche farlo, hanno a che vedere con questo, con Miss Liceo Scientifico 1998, che ho incrociato l’altro giorno in città e che non vedevo da anni, e con tutte quelle ragazze di cui alle superiori si sapevano nomi e cognomi e che adesso assomigliano a quella signora che, in riva al mare, grida al figlio di non andare troppo al largo. Ma torniamo ai miei studenti. Non riporterò per filo e per segno il dialogo impregnato di alcool che ho potuto ascoltare, o per meglio dire origliare mentre, davanti alla mia birra solitaria e al mio panino, smaltivo quella cosa balorda che dovevo smaltire quella sera e che ogni tanto, comunque sia, mi capita di dover smaltire. Sarebbe complicato. È piuttosto, il mio, un tentativo di esegesi. La costruzione di un testo che, rimanendo fedele al contenuto originale, che quella sera era vivo e pulsante, lo ripercorra, appianandolo e sistemandolo. Ripulendolo da quella particolare marca di urticante pedanteria a cui accennavo prima. Ne vale la pena. Condivisibile o meno che sia quei due hanno toccato qualcosa. L’hanno azzeccata. Almeno secondo il mio parere. Che qualcosa dovrà pur contare dato il fatto che a scrivere, al momento, sono io. Colmando i buchi ed eliminando i giri a vuoto, i cali di ritmo, le impennate di stile, i rutti, i grugniti, una mezza dozzina di bestemmie e specificando, come ultima indicazione per il lettore, che non aggiungerò commenti, né chiose, né considerazioni finali, che pure ho in mente e che hanno a vedere con questioni di sommarietà e contestualizzazione, la cosa potrebbe suonare più o meno così. E in effetti è più o meno così che suona: «Tu pensi ancora che la bellezza femminile sia un segno d’intelligenza del destino. È questo il tuo guaio, la tua debolezza. Invece è soltanto una collisione tra imprudenze, è soltanto un piacevole incidente. Sta lì per un po’, a bloccare un incrocio e ad attirare i curiosi che capitano da quelle parti. Se ne rimangono sul ciglio della strada a guardare, a discutere, a fare battute. In mezzo vanno soltanto quelli che contano qualcosa. Quelli che hanno un ruolo da giocare. C’è chi prende le misure, c’è chi valuta, c’è chi decide, c’è chi soccorre, c’è chi si scambia quello che c’è da scambiare e c’è chi chiama quelli che devono essere chiamati. Per ultimo arriva il carro-attrezzi e porta via tutto quanto. Sgombra l’incrocio per il prossimo incidente. Ed è questa è la fine della bellezza femminile, ed è questo invecchiare, ed è questa la fine di tutto».
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