Gelatina (2)

Serie: L'Urlo Muto delle Ombre


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Gelatina - Capitolo 2

“E tu che hai fatto?” chiese Enrico.

“Arrivato a casa non ci ho pensato due volte prima di buttarla nel cestino dell’immondizia. Poi ho sbrigato qualche faccenda in casa e sono andato a letto.”

“Sta diventando un racconto di fantasmi?” scherzò Enrico. Chiese scusa quando realizzò che Gianni non aveva alcuna intenzione di scherzare.

“Spenta la luce e appoggiata la testa sul cuscino, ho iniziato a scivolare lentamente nel sonno. Mi succede sempre quando lavoro in casa. E mi sarei addormentato come un sasso se non fosse per un tonfo che giunse dal corridoio. Pensai subito che fosse Harley. Mi sono sempre chiesto se quel cane non abbia una crisi d’identità in corso; magari sentendosi un gatto. Di notte si diverte a far cadere gli oggetti dal tavolo.”

Gianni bevve un altro sorso.

“Fa caldo” commentò sbottonandosi la camicia. “No, non aprire” disse rivolgendosi ad Enrico che stava per alzarsi. “Mi tolgo il maglioncino, piuttosto.”

“Quindi accesi le luci e andai a controllare, e mentre camminavo per il corridoio diretto in cucina avvertii Harley che, se avessi trovato il vaso di primule per terra, le avrebbe sentite. Attraversai il soggiorno al buio e varcai la soglia della cucina. Mi bloccai, rimasi scioccato.”

“Ti era entrato qualcuno in casa?” chiese Enrico preoccupato.

“No. Anche se con il senno di poi avrei preferito incontrare un balordo con il volto coperto.”

Enrico gli lanciò un’occhiata interrogativa. “Che diavolo era?”

Gianni buttò giù un altro sorso.

“La prima cosa che mi sorprese era l’atteggiamento di Harley . La trovai in posizione di attacco, i peli sul dorso ritti e i muscoli delle zampe tesi come una molla. Le labbra erano sollevate e lasciavano intravedere i canini. Ringhiava.”

“Lo faceva spesso quando abitavi in campagna, quando incontrava un riccio, o un topo” ricordò Enrico.

“Appunto. Ma in centro città era l’ultima cosa che mi sarei aspettato. E come dici tu, in quel momento in cucina, ancora intontito dal dormi-veglia fu come vederla ringhiare contro un grosso topo; un topo dallo sguardo malvagio. Non so perché, ma ebbi quest’impressione.”

“Ma a cosa ringhiava?” chiese Enrico. Gianni deglutì a fatica.

“È l’altra cosa sorprendente” disse Gianni. “L’antina del mobiletto sotto il lavello era aperta, e il coperchio del bidone dell’immondizia socchiuso, quando ricordavo di averlo chiuso per bene – lo faccio per l’odore. E tra il bidone e Harley , sul pavimento c’era quel vasetto di gelatina.”

“Stava ringhiando alla gelatina?”

“Sì.”

“E lo avevi buttato” chiese Enrico. Gianni annuì. “Beh, sarà andata a ravanare nel bidone” convenne Enrico bevendo un sorso di birra.

“È quello che pensai anche io” confermò Gianni.

“Vuoi dire… che non era così?” chiese Enrico.

“Ho afferrato il vasetto e l’ho gettato in fondo al bidone, poi mi sono assicurato che fosse ben chiuso. Ho preso Harley per il collare – non ne voleva sapere di lasciare la cucina, si era impuntata con le zampe nello stesso punto dove prima c’era il vasetto – e siamo tornati in camera da letto.”

“Harley non riusciva a tranquillizzarsi, così l’ho coccolata per un po’, poi sono tornato a letto. Ho spento la luce, ma il tempo passava sempre più lentamente, e io non riuscivo a prendere sonno. Sapevo che Harley era nella cuccia con il capo alzato e gli occhi aperti a scrutare nell’oscurità. Non faceva rumore, ma mi dava fastidio comunque. Passò un’ora – saranno state le undici e mezzo – e decisi di accendere la lampada sul comodino, sul quale avevo lasciato La Meridiana.”

“Shirley Jackson? Ho letto qualche suo racconto. Non dirmi che ti sei messo a leggere quel libro al buio e da solo ; io me la sarei fatta sotto.”

“Beh, sai come sono fatto. La paura mi rilassa” disse Gianni alzando le spalle. Bevve un sorso di Forst e appoggiò la lattina vuota sul tavolino. “Per lo meno quando è stampata sulla carta, come ho avuto modo di scoprire.”

“Va’ avanti” lo esortò Enrico.

“Dopo qualche pagina, Harley si alza e cammina fino alla porta. Io le dissi di non azzardarsi – avevo capito cosa intendeva fare – e lei, quella sfacciata, mi guardò come per dire sai che lo farò comunque.

“Il giochetto della maniglia?” chiese Enrico divertito. La scenetta del cane sembrò ridurre la tensione per entrambi.

Gianni annuì con un cenno del capo. “Sì… si alza sulle zampe di dietro e con la destra davanti apre la porta. Fece così ieri sera, e sgattaiolò fuori dalla stanza.”

“Geniale quel cane. Sempre detto” commentò Enrico. Vide che gli occhi di Gianni brillavano, e allora iniziò a intuire qualcosa. Gianni prese un respiro profondo e proseguì.

“Non avevo alcuna intenzione di tornare in cucina, anche perché leggendo mi ero rilassato, e iniziavo già a sentirmi le palpebre pesanti. Lessi ancora un po’, poi posai il libro, spensi la luce e mi addormentai.”

“E Harley ?” chiese Enrico.

“Non ci pensai nemmeno. Di colpo il sonno mi era piombato nella testa come l’incantesimo di una strega. E tuttavia mi svegliai lo stesso, un paio d’ore più tardi.”

Gianni si interruppe deglutendo a fatica. “Non ne avresti un’altra?” chiese.

Enrico sparì in cucina per qualche istante, tornando subito con un paio di lattine ricoperte di brina ghiacciata. Le aprì, e lo schiocco della linguetta riportò Gianni alla realtà. Gli sembrava ancora che fosse tutto un sogno.

“Com’è fresca” commentò.

“Sicuro che non vuoi che apro un po’ la finestra?”

Gianni scosse il capo mentre mandava giù un altro sorso. “Vorrei evitare la corrente. Va benissimo così.”

Serie: L'Urlo Muto delle Ombre


Avete messo Mi Piace4 apprezzamentiPubblicato in Horror

Discussioni

  1. “La paura mi rilassa … quando è stampata sulla carta… Fantastico!.
    La storia continua ad appassionarmi.
    L’avevo già notato nel primo episodio, adesso è diventato un mantra: quello delle correnti d’aria.
    Vado avanti…