Gigio e Betta

Serie: Lo strano caso della scomparsa di Gigio Zucca e del suo (altrettanto inspiegabile) ritorno


Gigio trattenne il respiro.

Il padre di Betta lo ripeté ad alta voce. Poi attese un momento davvero eterno, prima di dirlo per l’ultima volta. Perché non vi fossero malintesi.

Afferrò la mano di Betta e la strinse.

Finalmente ci fu un segno di vita in quei due corpi che potevano essere scambiati per statue di cera.

Emise un sospiro di sollievo. Non si era verificata nessuna apocalisse, come invece temeva.

Quella stessa sera, Gigio e Betta restarono molto tempo sulla panchina fuori da casa di lui. Desiderava ardentemente di stare con lei, ma non se la sentiva di lasciare troppo soli i suoi. 

Fecero ipotesi su quello che sarebbe stato di loro e si stupirono di non sentirne il peso, come se fosse tutto naturale. Si trattava solo del loro destino, in fondo.

– Come l’hanno presa? – chiese lei, carezzandogli la mano. Lui ricambiò, ma lo sguardo era vacuo.

– Mi immaginavo un gran trambusto e mia madre che urla come una pazza.

– Una cosa come: figghio, figghio mio! – fece lei, mani nei capelli. Era buffa, ma… bellissima. – Scusa se ti chiedo questa cosa: che impressione ti fa essere…

– Temi che non abbia tutti i miei a casa?

Per un attimo la ragazza temette di averlo offeso, ma quando ebbe il coraggio di guardarlo, vide che sorrideva.

Gli appoggiò la testa sulla spalla.

– Mi fa stare bene parlare con te, sai?

In quel momento sentirono il campanile della chiesa battere dodici colpi.

Betta si staccò da lui, frugò nella grossa tasca della salopette ed estrasse una busta rigida. Gliela pose sotto gli occhi.

– Buon compleanno, Gigio.

– Ma… chi te l’ha detto?

Gli strizzò l’occhio. – Ho fatto le mie ricerche.

Era un braccialetto adornato di un cuore diviso a metà. Con il suo nome. Betta sventolò il polso per mostrare la sua parte.

– Dammi la mano. – Gli legò il braccialetto. – Hai le mani così fredde, – osservò.

– Ti va di scaldarle?

– Tu cosa mi dai in cambio?

Gli si accostò guancia contro guancia, naso contro naso e, finalmente, bocca contro bocca.

Mentre si nutriva della morbidezza delle sue labbra, provò a immaginare cosa avrebbe significato tutto ciò per le loro vite.

*

Nei giorni seguenti il salotto di casa Cassani rimase cristallizzato. Una cosa aveva indovinato fin dal primo momento: che Gigio Zucca sarebbe tornato prepotentemente nella loro vita. Aveva cercato di parlarne con Gina, ottenendo sempre cadute di umore preoccupanti.

Gigio era servizievole come non mai, come se dovesse farsi perdonare qualcosa.

Arturo era consapevole che in tutta quella strana storia, non c’era nessuno con cui potesse prendersela. Piuttosto si sentiva come Noè in attesa del diluvio. Pensava a come mettere in salvo tutta la baracca. Eppure non sapeva che pesci pigliare per sistemare la vita dei due innamorati. Era frustrante per lui, abituato com’era a cercare la causa di tutti i mali. E i rimedi.

Pensa e ripensa, si accese la lampadina!

Una sera invitò i due ragazzi a prendere una bibita all’Eldorado. C’era una calma insolita. Il biliardo era deserto e non c’erano partite di calcio in tv. Spiegò il suo piano e disse loro che Gina avrebbe sofferto molto, qualsiasi decisione avessero preso.

– Quindi siate sereni e decidete per il meglio. Siete adulti, ormai.

Betta avrebbe fatto i 18 di lì a pochi mesi, giusto il tempo necessario a preparare ogni cosa.

– Ci vogliamo bene… papà.

Sentì inumidirsi gli occhi e li abbracciò entrambi, per nascondere quella piccola debolezza.

– Allora dovete partire.

Si crogiolò per un po’ negli sguardi di intesa tra i due, così sereni, appassionati. E capì di avere fatto la scelta giusta.

Una mattina all’ambulatorio ne parlò con il padre della ragazza.

– Sono sollevato che tu la pensi come me.

– Mi sembra l’unica cosa da fare, – concordò. – Ne hai parlato con Gina?

Cassani scrollò il capo, mordendosi il labbro.

– Ci vorrà del tempo perché lo accetti.

– Si tratta del bene dei nostri figli.

– Assolutamente, – sentenziò Arturo Cassani. – Ma dovremo essere forti. Anche noi.

Giorgio Vinger annuì, grave.

Cominciò subito l’opera di persuasione, ma ci vollero mesi per instillare in Gina l’idea del distacco. Come un veleno preso a piccole dosi, a cui assuefarsi per non morirne.

Nel frattempo i due uomini avevano architettato il modo di portare a termine la cosa senza clamori.

Per sviare le attenzioni della gente, Arturo Cassani non perdeva occasione per annunciare la partenza del figlio. Da Marziale, ogni volta che si faceva radere i capelli o in studio durante le visite. Con le pazienti che riteneva più inclini a mettere in giro voci, non disdegnava di accennare la cosa, ogni volta che ne aveva occasione.

Dall’altro lato, la madre di Betta si curava di far passare il messaggio dalla parrucchiera o dall’estetista, nei negozi che frequentava o nelle iniziative mondane a cui partecipava.

Con il passare delle settimane l’interesse per la partenza si faceva sempre più palpabile.

– Sì, i ragazzi hanno deciso di trasferirsi per frequentare l’università, – spiegò la madre di Betta alle amiche, ammirate. Non era usuale che i figli decidessero di studiare. La prima cosa di cui i loro genitori si preoccupavano era mandare avanti le imprese – disperate – di famiglia.

Loro malgrado, si dovette organizzare una formale festicciola d’addio, nel giorno del diciottesimo compleanno di Betta, a cui i ragazzi non parteciparono. Nessuno se ne curò, l’importante era mangiare, bere e mettersi in mostra.

– D’altronde, figli di due dottori… – la moglie del sindaco era l’unica che pareva sospettare ci fosse sotto qualcosa. Tuttavia non avrebbe mai ammesso di non riuscire a venirne a capo.

Una tizia che la madre di Betta nemmeno conosceva, fece tintinnare il bicchiere, chiedendo silenzio.

– Propongo un brindisi a Betta e Gigio: che trovino la loro strada! – Sembrava sinceramente commossa.

Tutti alzarono i bicchieri. Era fatta.

*

La banchina della stazione era deserta.

Il giorno della partenza era stato tenuto nascosto. Non volevano mostrare a nessun altro il dolore del distacco. Gina aveva minacciato di mandare tutto all’aria, se qualcuno l’avesse saputo. Si presentò con un abito elegante, nero come il suo umore.

– Mi raccomando, ragazzi.

– Ricordatevi che dovete cambiare treno. Hai con te i biglietti, Gigio?

Il ragazzo li sventolò sopra la testa.

Il padre di Betta aiutò a caricare le valige.

Le due mamme avevano gli occhi come pozzanghere. Aggiustarono gli abiti dei ragazzi, quasi sperassero di vederli ritornare la sera, dopo la giornata scolastica, per raccontare quello che gli era accaduto.

– Chi ti preparerà la merenda, tesoro? – chiese Gina.

Gigio le sorrise. Avrebbe voluto vedere almeno una accenno di sorriso sulle labbra della donna.

– Cara, – intervenne Arturo, – non vanno in Africa, – disse, mostrando una risata che doveva essere distensiva!

Il capotreno fischiò. – In carrozza!

Si abbracciarono tutti.

– Ora andate.

Il tempo di un amen e il treno si mosse. Lui, una mano sulla spalla di Betta e lei, stretta al suo corpo, guardarono le due donne che li avevano messi al mondo. Li salutavano con la mano e mandavano baci. Erano di certo molto tristi, ma non immaginavano quanto i loro figli sentissero dentro la felicità per la loro vita insieme.

La campagna prese a scorrere veloce, abitata da poche e lontane case.

Cambiarono treno quando ormai era buio.

Gigio rimase per un po’ a guardare la sua immagine riflessa nel vetro, mentre intrecciava le dita nei capelli di Betta.

– Dormi? – chiese, non sentendola muoversi.

Lei rispose con un singhiozzo. Le sfiorò la guancia ed era bagnata.

– Accarezzami.

Si coricò accanto a lei, abbracciati stretti.

– Vuoi che ti canti una canzone?

– Sì, per favore. Una ninna nanna.

Accostò le labbra al suo orecchio e cantò.

*

La casa in affitto era molto carina. Luminosa e con un bel giardino. Ci avevano perso dietro più di un mese per renderla confacente ai loro desideri. Le stanze erano disseminate di ricordi. Foto, giochi di bambini, oggetti preferiti. Gigio si era portato dietro tutte le storie di fantascienza della collana Urania, appartenute a Gigio Zucca. Completa fino al numero 656, l’ultimo che stava leggendo prima di scomparire. Fuga dal futuro, di Clifford D. Simak. Betta non aveva saputo separarsi dalla sua collezione di peluche. Li avrebbero usati i loro figli, quando ne avessero avuti.

– Caro, porta dentro della legna. – Lo attendeva una zuppa di cereali bella fumante.

Gigio armeggiava con gli attrezzi per l’orto, godendosi il tepore dell’ultimo sole. Ancora poco e sarebbe scomparso dietro le montagne. Le giornate erano già così corte. Buttò uno sguardo soddisfatto al lavoro svolto.

– Faremo tardi alla riunione, se non mangiamo in fretta!

Betta uscì sulla soglia, asciugandosi le mani nel grembiule.

– Ehi, mi ascolti?

Ma Gigio stava osservando immobile l’ultimo riflesso del disco solare, appena sceso sotto le cime innevate. Spalancò la bocca, davanti a quello spettacolo della natura.

Gli si accostò, cingendogli i fianchi.

– Chissà cosa staranno facendo a casa.

– Ma, amore, li abbiamo sentiti ieri!

Gigio cadde dalle nuvole. Poi sorrise.

– Si aspettano che tutti seguano la stessa strada che hanno seguito gli altri. Ma non siamo tutti uguali, Betta.

Sciolse l’abbraccio e si parò davanti a lui.

– No, non lo siamo, amore mio, – disse, fissandolo negli occhi.

Erano così grandi.

Da specchiarsi dentro.

FINE

Serie: Lo strano caso della scomparsa di Gigio Zucca e del suo (altrettanto inspiegabile) ritorno


Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Sci-Fi, Umoristico / Grottesco

Discussioni

  1. Ciao Emanuele, Micol ha ragione e quoto in pieno le sue parole. Una serie ironica ma che fa riflettere parecchio sul fatto di rinnovare la propria esistenza per trovare alla fine proprio sé stessi in una nuova configurazione. Trovarsi fuori posto è sempre spiacevole, ma bisogna anche, o soprattutto, ascoltare se stessi, ciò che si è e ciò che si desidera. Una bella serie che ho apprezzato in ogni episodio! Alla prossima!

  2. Ciao Emanuele, come gli altri episodi anche il finale di stagione lascia molto spazio alla riflessione. Sulla nostra identità, sul dover percorrere una strada già segnata. Sul desiderio di iniziare da zero senza alcuna zavorra e di trovare una sensazione vera, che faccia sentire la nostra anima finalmente a “casa”.

    1. E’ proprio lo stato d’animo che vivo in questi anni, da quando ho deciso di puntare sulla scrittura come lavoro. Lasciando da parte per un momento i risultati concreti di tale scelta, quello che pesa è sentirsi fuori posto per aver fatto una scelta diversa.