Gina Zucca

Serie: Lo strano caso della scomparsa di Gigio Zucca e del suo (altrettanto inspiegabile) ritorno


Qualche settimana dopo, quando fu chiaro come il sole che Gigio era svanito nel nulla, Gina Zucca uscì di casa per andare dal medico. Lo strano malessere da cui era stata presa la notte della scomparsa, non l’aveva più abbandonata.

Fino a quel giorno le indagini non avevano portato a nulla.

Giovanni Vinger era stato ritrovato riverso in un fosso, il mattino seguente la scomparsa dell’amico. Il suo racconto fu pieno di buchi, ma un’unica cosa che gli era chiara: Gigio Zucca non aveva tutti i suoi a casa, lo sapevano tutti. E se uno sconosciuto si fosse avventurato in paese in quei giorni funesti, negli angoli più reconditi e impensabili, si sarebbe ritrovato attonito a fissare gente che si batteva il dito alla tempia.

Era sconvolta Gina. Nervosamente si era accanita contro le cose di suo marito, cercando chissà quale indizio, qualche cosa strana nascosta in un cassetto.

Due giorni dopo si era recata in commissariato per denunciare la scomparsa. E la polizia l’aveva interrogata, con una luce puntata in faccia, come se dovesse confessare di averlo ucciso lei! Aveva ripetuto fino alla nausea che non lo vedeva da quella sera e non l’aveva sentito rincasare la notte.

Il terzo giorno andò a trovarla persino il parroco, che le chiese se voleva confessarsi.

– Per quale motivo dovrei confessarmi?

– Quello che nascondi agli uomini, non puoi nasconderlo a Dio. Egli vede tutto e sa tutto.

– Se sa tutto, dovrebbe dirlo lui a me dov’è finito Gigio, Reverendo.

– Ma lei riuscirebbe a vivere con questo peso sulla coscienza?

– Quale peso? – chiese, stupefatta, ma poi indovinò dove il sacerdote voleva andare a parare. – Se crede che lo abbia fatto uccidere, chieda al suo Dio, visto che sa tutto! Glielo dirà lui quello che è successo! E, guardi un po’, anche a me piacerebbe saperlo! Io mio marito non l’ho più visto da quella sera. L’ho ripetuto anche alla polizia.

Il Reverendo, le mani giunte e il capo abbassato a guardare il tappeto del salotto, disse qualcosa tra sé e respirò forte. Certo, quell’uomo ne aveva combinate di tutti i colori, ma in fondo era un buon uomo. Solo non aveva…

– So a cosa sta pensando, – lo anticipò lei. – Mio marito non aveva tutti i suoi a casa, lo sanno tutti, ma lo amavo lo stesso. Su questo metta pure la mano sul fuoco.

– Certo, ha ragione. Mi scusi per la mia invadenza.

Lo accompagnò alla porta.

– Comunque, se sentisse il bisogno di parlare, la mia porta è sempre aperta. Arrivederci.

– Arrivederci, Reverendo. Grazie comunque per la visita. Avevo bisogno di sfogarmi con qualcuno.

Lui sorrise imbarazzato e si tirò dietro la porta.

Dopo la visita del parroco, le passò la voglia di uscire di casa, ma presto finirono le scorte nella dispensa.

Telefonò dunque a Lucinda, la moglie del droghiere. Che era anche un’amica del salone di bellezza. Ordinò un po’ di generi alimentari di prima necessità. Quando lesse lo scontrino, dopo che Lucinda fu entrata con le sportine piene, si rese conto di quello che aveva risparmiato eliminando il whiskey e il cognac di Gigio.

Si accomodarono sui divani del salotto, una di fronte all’altra. Gina aveva fatto piazza pulita dei libri di Gigio che erano sul tavolino basso, messi in una scatola. Ora c’era solo un posacenere con una montagna di sigarette mezzo consumate.

– Cosa ti è preso? Sei impazzita?

– Dovresti provare a stare come sto io. Non so più dove sbattere la testa! – disse Gina e fece per prendere una sigaretta lasciata a metà. Lucinda le diede una schiaffo sulla mano e il mozzicone cadde sul tappeto.

– Continuo a chiedermi dove possa essere andato, ma non trovo una risposta! – gridò Gina singhiozzando.

L’amica si alzò e andò ad abbracciarla. Nella loro lunga amicizia, non avrebbero saputo contare le volte in cui si erano consolate. Fin dalla scuola, quando finirono per caso compagne di banco. Il fratello di Lucinda corteggiava Gina, ma lei lo respingeva e lui, per ripicca, cominciò a perseguitarla. Lucinda l’aveva difesa davanti a tutti, contro suo fratello che, a suo dire, era una gran faccia di culo.

E su quel divano si sentirono ancora amiche come un tempo. Quando avevano giurato aiuto reciproco in caso di bisogno.

– Sei andata dal dottor Cassani, cara?

Gina si stava asciugando le lacrime.

– A farti dare qualcosa per tirarti su, intendo.

– No. Sono sei giorni che non esco più di casa.

– Ma che, sei matta?

– Tutti mi guardano quando esco. Mi spiano.

– È la tua sensazione, Gina.

– Ti sbagli! Mi guardano e si voltano a dire qualcosa a chi gli sta accanto. Si stanno tutti chiedendo dove l’abbia fatto sparire.

– Che vadano tutti al diavolo!

– In un paese piccolo, le voci corrono e tutti pensano di sapere tutto di tutti.

– Un’altra buona ragione perché se ne vadano al diavolo!

– Se fosse così facile, l’avrei già fatto. È che mi sento…

Le lacrime le ritornarono agli occhi. In effetti sapeva che Lucinda si faceva le stesse domande di tutti gli altri, ma almeno non le manifestava. Sarebbe stata una pugnalata nella schiena. Le rimaneva solo lei come amica, le sussurrò all’orecchio, tra i singhiozzi.

– Hai chiamato qualche parente? Tua sorella?

– Quella stronza. Mi ha riattaccato il telefono in faccia. – In verità non erano mai andate d’accordo.

– Potrebbe interessarsi almeno a sua sorella, dico io!

Gina scosse la testa, sconsolata.

– Da quando sono morti i nostri genitori, non ci siamo più viste.

– E tuo fratello, quel delinquente? – chiese Lucinda, cercando di metterla sul ridere.

– Appunto! È proprio un delinquente. Vive a spalle dello stato in una comoda cella.

L’amica sgranò gli occhi. – Vero? – Le giungeva nuova quella cosa. – E che cazzo ha combinato?

Gina le raccontò della rapina che aveva cercato di fare con una banda di balordi. Ne aveva visto una foto sul giornale. Che facce da dementi avevano. Compreso suo fratello.

– Non sembravano a cento. Difatti li hanno beccati tutti. – Rise amaramente.

– Che famiglia sgangherata, – disse Lucinda, accarezzandola.

Gina la invitò a fermarsi a cena. Le avrebbe fatto qualcosa di semplice, con le cose che le aveva portato.

– Ti ringrazio molto, Gina, ma ho una famiglia che mi aspetta. Anzi, Alfredo sarà già incazzato nero, perché mi sono trattenuta così a lungo… Oooh! gli dico, se rompe! Questi uomini ci vogliono comandare sempre!

Si fecero una grassa risata

Sulla porta si scambiarono tre baci come se fossero ancora ragazzine. Invece le vicende della vita le avevano invecchiate e si vedeva. Non che in gioventù fossero reginette di bellezza, ma non erano state niente male.

Quando Lucinda se ne fu andata, si sentì un po’ meno sola.

Gina si svegliò con il sole in fronte. Finché aveva potuto voltarsi nel letto e riprendere sonno, l’aveva fatto. Ma adesso la stanza era illuminata a giorno e non riusciva più a dormire. Si alzò e fece colazione, come non faceva da tempo.

Si sentiva molto meglio.

Scrisse una lettera allo zio Samuele. Era il suo zio preferito quando era piccola e se era ancora nel mondo, le avrebbe risposto. L’ultima volta che l’aveva sentito viveva a Torino e lavorava alla Fiat. Spiegò la sua situazione, anche se lui aveva sicuramente letto la notizia da qualche parte. La zia Cati era molto attenta alle vicende della sua terra di origine.

Scritta la lettera chiamò il dottor Cassani.

– Pronto, dottor Cassani?

– Come si sente, Gina? – Alle orecchie di Gina la sua voce suonò rilassata, quasi sollevata.

– Meglio. C’è un bellissimo sole che illumina la mia camera. Senta, potrei venire per una visita? Da qualche giorno ho un leggero malessere.

– Lei deve venire! È molto meglio che venga adesso. Può?

– Stavo giusto venendo da lei.

– L’ambulatorio apre alle nove e mezza, ma io sono già arrivato. Faremo con calma.

– La ringrazio.

Indossò il vestito della festa, si truccò per bene, non troppo, e uscì per andare all’ambulatorio. Camminò a testa alta, guardandosi attorno e salutando tutti quelli che incontrava. Come a dire che lei non aveva niente da nascondere a nessuno. Qualcuno ricambiò il saluto, ma la maggior parte preferiva voltarsi dalla parte opposta o fingere di occuparsi di qualcosa. Gina sorrideva a quelle scene, mostrando tutto il suo orgoglio. Non aveva dovuto piangere nessun corpo. Cosa ne sapevano gli altri se sarebbe tornato, un giorno?

Il dottor Cassani la accolse sorridente. Cercò di metterla a suo agio, evitando di andare sul discorso. Le offrì un caffè, che lei rifiutò cortesemente.

La fece distendere sul lettino. Le provò la pressione, il battito, la auscultò con lo stetoscopio.

Dopo la visita si sedette alla scrivania, per compilare le carte. Le fece alcune domande di routine, alle quali rispose con un sì o un no.

– Le mestruazioni sono regolari? – buttò lì, quasi per caso, concentrato com’era a riempire tutti i campi del modulo.

Silenzio.

– Signora Zucca?

Alzò la testa solo quando udì qualcosa cadere con un tonfo sordo, bruciante. Inaspettato.

– Signora Zucca!

Serie: Lo strano caso della scomparsa di Gigio Zucca e del suo (altrettanto inspiegabile) ritorno


Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Sci-Fi, Umoristico / Grottesco

Discussioni

  1. Ciao Emanuele, la faccenda si fa complicata per la povera Gina. Con tutti i pensieri che ha, l’attesa di un bimbo non cade a fagiolo. Anch’io ho apprezzato le tinte con cui hai tratteggiato questa donna, mi è stato facile provare empatia per lei. Mi piacciono anche i nomi che hai scelto per i protagonisti del tuo sci-fi tutto italiano 😀

  2. Ciao Emanuele, il senso di disagio provato dalla povera Gina è palpabile, una donna che deve sopportare gli sguardi accusatori, le maldicenze e persino le prediche, tutto frutto di pregiudizi verso un uomo che adesso si trova chissà dove. Altro episodio che scivola via leggero, scorrevole, ben scritto a mio modesto parere, e il mistero di Gigio rimane fitto, chissà se quello che ha visto è successo davvero… inoltre il finale mi spinge a volerne sapere di più su cosa accadrà a Gina. Ti muovi tra serietà e ironia in maniera piacevole, e attendo il seguito?!