Gli opportuni aggiustamenti

Serie: L'Adelina


Fausto mollò il pennello e corse fuori, con un grido di gioia.

“Lucianooo!!”

“Come vanno i lavori, Faustino?”

Nessuno l’aveva mai chiamato così, forse per via della sua stazza. Gli fu riconoscente per il regalo di quell’imprevista tenerezza; anche se trovò il tutto un po’ troppo intimo e imbarazzante.

“Dai, entra, che ti facciamo il caffè…”

Papi attraversò la soglia di casa, salutando con un cenno della testa. Sembrava decisamente stanco, quel giorno. Forse aveva dormito male?

Era come se gli occhi di Luciano stessero osservando al posto dei suoi.

“Stai bene, Papi?”

Lui non rispose, gli lanciò invece un’occhiata di rimprovero.

Certo: non voleva che Luciano pensasse che era un debole, che si stancava rimettendo a posto una vecchia casa…

Gli tremarono le labbra. Inghiottì in fretta un paio di volte.

Quando i due uomini si mossero verso la casa, rimase un po’ indietro. Per questo si perse l’inizio della conversazione. Quando entrò, il caffè borbottava lungo il cannello, e Luciano stava completando il suo discorso:

“… data la situazione, è meglio che vi spostiate al paese per qualche settimana.”

Papi versò il caffè nella tazzina e la sistemò sul tavolo insieme allo zucchero, in silenzio. Fausto passava da uno all’altro gli occhi sgranati. Non ci voleva mica un genio, per capire che si trattava della donna assassinata. Probabilmente non erano ancora riusciti a trovare il colpevole.

Stava per parlare a Luciano dell’Adelina, quando Papi scosse la testa.

“Niente da fare” disse. “Non lo mollo, questo posto. Mi è costato troppa fatica.”

Evidentemente pensava di dover sostenere la sua posizione; ma Luciano li sorprese entrambi scuotendo appena la testa, come se non si fosse aspettato nulla di diverso.

“Almeno il bambino…”

Dimenticando l’Adelina, Fausto schizzò su come se gli avessero acceso dei razzi sotto i piedi.

“Io non mi muovo!!”

Perché fosse ben chiaro che faceva sul serio, incrociò le braccia sul petto, allo stesso modo di Papi; il quale sorrise, scuotendo leggermente la testa, come a dire che non si considerava responsabile di quella presa di posizione.

Luciano scoppiò a ridere.

“Madonna benedetta, quanto le somiglia!” commentò.

Si diresse alla porta, continuando a ripetere loro di non correre inutili rischi.

L’effetto delle raccomandazioni era un po’ sciupato dal fatto che, tutte le volte che posava lo sguardo su Fausto, gli angoli della sua bocca si piegavano in un sorriso divertito.

Ormai, la casa era quasi pronta.

L’ultima settimana di agosto, Papi fece arrivare diversi carichi di legna. Un camionista pesante e taciturno, che non sorrideva mai, scaricava in cortile il pianale del camion, poi faceva manovra e ripartiva, spesso senza neanche salutare.

“È un bel maleducato!” gli scappò detto, una volta.

Papi scosse le spalle.

“Lo pago per la legna, mica per le belle maniere! Comunque è sempre meglio non giudicare. Ci possono essere cose che non sai, no?”

Passavano quasi tutta la mattina a trasportare i carichi di legna sotto la tettoia, impilandoli con cura.

“Mi dovrò procurare dei teli impermeabili, per via della nebbia… Se si bagna, arrivederci!”

Un pomeriggio andarono in paese, dal ferramenta. Papi scelse quattro teli giganti, mentre Fausto bighellonava lungo le corsie, piene di scaffali che arrivavano fino al soffitto.

Negli ultimi due mesi, quegli odori gli erano diventati familiari: vernice, ferro, colla… Gli piacevano. Non storceva più il naso, come le prime volte.

Quando ritornò al bancone, Papi teneva in mano una cintura da lavoro. Era come la sua, esattamente uguale, solo di una misura più piccola.

“Ogni promessa è debito!”

Sorrideva.

Fausto si tenne addosso la cintura porta-attrezzi per tutta la sera. Non volle toglierla neppure mentre cenava.

Anche se era decisamente troppo ingombrante per dormirci assieme, l’appoggiò sul pavimento, vicino al materasso. Ogni volta che si rigirava nel sonno, per un momento diventava consapevole della sua presenza, a pochi centimetri.

Papi lo prese un po’ in giro, per questo.

“Non è mica un orsacchiotto!”

Ma poi si limitò a spegnere la luce, senza fare altri commenti.

Mancava meno di una settimana all’inizio della scuola. La mamma aveva detto che sarebbe venuta a prenderlo la mattina dopo. Sarebbero andati insieme a comprare i quaderni, l’astuccio e tutte le cose necessarie, poi l’avrebbe riportato a casa.

Fausto era felice di andare a fare compere con lei. Ma non aveva nessuna voglia né di tornare a scuola, né di ricominciare con il solito vai e vieni da casa dei nonni.

Non voleva far rimanere male nessuno, soprattutto la mamma. Non era mica colpa sua, se doveva lavorare.

“Potrei venire qui, quando mamma lavora?” chiese, mentre sparecchiavano la tavola dopo cena.

Papi sembrò sorpreso, ma non scontento.

“Te l’ho già detto” replicò. “Un conto è l’estate; ma dopo, con la nebbia, il freddo…”

“Ma se abbiamo messo a posto un trilione di quintali di legna!” protestò lui.

Papi si mise a ridere.

“È vero” acconsentì. “Ma te, sei buono ad accendere il fuoco?”

Fausto rimase lì, con la bocca leggermente aperta, come se l’avesse colpito un fulmine.

No, certo che no. A casa c’erano i caloriferi.

“Merda!” gli scappò detto.

Si morse la lingua, aspettandosi un rimprovero, che invece non venne. Papi rise di nuovo, stavolta fragorosamente.

Andò verso il camino e cominciò ad arrotolare delle palline di carta, sempre ridendo.

“Vieni qui, che ti spiego come fare.”

Il giorno seguente, Fausto trascinò la sua valigia giù per le scale, attraverso il salone e fino alla macchina di mamma. Strano: gli pareva che pesasse meno. Forse si era scordato qualcosa; o forse i suoi muscoli erano davvero migliorati.

La mamma se lo strinse forte al petto, poi lo scostò per guardarlo negli occhi.

“Ma quanto sei cresciuto!”

La sua sorpresa pareva sincera. Fausto ne fu assolutamente compiaciuto. Quando lei tentò di prendergli la valigia per sistemarla nel bagagliaio aperto, rifiutò di cederla. La sollevò da solo, poi richiuse lui stesso il portabagagli, dirigendosi con sicurezza verso il lato del passeggero.

“Andiamo?”

Mamma sembrava un po’ confusa. Guardò verso la finestra del primo piano, poi agitò una mano in segno di saluto.

Papi stava lì, a godersi la scena. Lo intravide per un attimo, dietro i vetri.

Non ricambiò il saluto. Solo un breve cenno con la testa – per Fausto, non per lei.

Dopo aver fatto la spesa per la scuola e per la casa, passarono a salutare i nonni.

Era contento di rivederli, naturalmente; contento, che la nonna non avesse nulla di grave. Ma non appena mise piede nell’appartamento che sapeva di minestra, seppe immediatamente che non avrebbe passato lì dentro nemmeno un altro dei suoi pomeriggi.

Lo disse alla mamma, non appena furono di nuovo soli, in macchina, diretti verso casa. Che voleva stare da Papi, quando lei lavorava.

Non sembrò sconvolta come lui aveva temuto.

“Bisognerà che ci organizziamo” commentò invece, pensierosa. “Ma se per tuo padre va bene, non vedo perché no…”

Fausto tirò un sospiro di sollievo.

Certo, prima mamma aveva bisogno di passare alla cascina, per vedere a che punto erano i lavori, e se fosse un posto adatto ad un ragazzino come lui…

Nessun problema. Fausto si rilassò nel sedile.

“Abbiamo fatto un ottimo lavoro” disse, annuendo con convinzione. “La mia stanza sarà pronta la prossima settimana, Papi deve solo prendere la pittura da Sansoni…”

La mamma sorrideva, gli occhi fissi sulla strada, davanti.

“E Sansoni sarebbe…?”

Fausto sbuffò, sorpreso da tanta ignoranza.

“Il ferramenta! Ci siamo passati davanti mille volte…”

“Scusa tanto, ma di solito non faccio mica la spesa dal ferramenta…”

A settembre, iniziò anche la sua nuova vita.

Dopo i primi tempi, si rese conto che l’unica cosa davvero importante era lo schema dei turni di mamma, perché da questo dipendeva tutto il resto.

Quali libri doveva mettere nello zaino, per poter fare i compiti. Se avrebbe avuto bisogno del borsone, con il pigiama, lo spazzolino da denti e un cambio di vestiti e di biancheria, che mamma lasciava pronto nell’armadio – casomai avesse dovuto passare la notte da Papi…

Confusione, sì. Ma almeno non gli toccava più aspettare sul divano dei nonni che mamma finisse il turno del pomeriggio, mentre il nonno non faceva che chiedere dove fosse andata a finire…

A un certo punto, Papi aveva messo un vecchio cassettone nella sua stanza, e la mamma aveva riempito i cassetti di maglie, maglioni, calze e biancheria.

Ora il suo unico vero pensiero era di non lasciare i libri e i quaderni nella casa sbagliata.

Non poteva fare a meno di chiedersi se la mamma non si sentisse un po’ strana, vedendo le sue cose sparire da casa; un po’ come era successo a lui, dopo che Papi se n’era andato.

Ma era meglio così, davvero. Quell’accomodamento non le toglieva nulla, dato che Fausto stava con Papi quando lei non c’era.

Nelle ultime settimane, il freddo aveva cominciato ad allungare i tentacoli sul paese. La nebbia era sempre più frequente, e Fausto si ritrovava spesso a pensare all’Adelina.

Papi si ricordava di chiudere la porta con il catenaccio?

Non poteva neppure chiamarlo, perché si ostinava a non allacciare il telefono.

Serie: L'Adelina


Avete messo Mi Piace1 apprezzamentoPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Difficile inquadrare le radici di questo brano. Da una parte mi è sembrato di vivere quelle scene di famiglia, sai, tipo la grande commedia napoletana, con l’ironia e l’umorismo tipico di scene surreali venute dal nulla, mentre in altri ho visto una narratività meno teatrale e più cinematografico. Il racconto è molto lungo.

    1. hai ragione Davide. essendo parte di una serie penso sia normale, alcune puntate tendono a inquadrare meglio gli ambienti, i personaggi, la trama – in altre parole: rallentano. La percezione del lettore è quella di essersi infilato nel cotone a testa bassa XD altre puntano sul ritmo dell’azione che accelera, per portarti in posti bizzarri…