Gremio

Serie: Contos


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Un viaggio fra le tradizioni e le feste della Sardegna, per fare un viaggio tra usanze antiche arrivate fino a noi.

E come ogni anno, arrivò il 14 agosto. Nicola aspettava quel momento fin dal Ferragosto dell’anno prima, quando tristemente ripiegava la sua maglietta con il simbolo del Gremio dei Viandanti per indossarla alla Faradda successiva. Perché a Sassari, la città dov’era nato nove anni prima, quella data era speciale: era il giorno in cui i Candelieri, i giganteschi ceri votivi di legno per cui la città era famosa, uscivano dalle loro chiese e venivano addobbati a festa per essere trasportati dai gremianti da piazza Castello alla chiesa di Santa Maria. Nicola conosceva a memoria quella storia grazie a suo nonno Nino, che era stato portatore del Candeliere: la pestilenza e il voto per la sua cessazione fatto alla Madonna , che ogni anno viene sciolto con l’arrivo alla destinazione finale. Il sogno del piccolo era quello di diventare tamburino: suo padre Gavino aveva seguito le orme di Nino, e quell’anno, ancora una volta, avrebbe partecipato alla discesa da attore protagonista, mentre lui avrebbe ugualmente preso parte, ma nel variegato gruppo dei gremianti con il suo inseparabile tamburo giocattolo.

Ed eccolo lì, Nicola, che discendeva Corso Vittorio Emanuele accanto al Candeliere portato da suo padre e altri sette uomini che per lui erano come zii: Gavino gli sorrise, mentre il sudore gli rigava la fronte per lo sforzo. Tra i portatori c’era anche Clemente, padre di Eleonora, una bambina di otto anni piena di allegria e voglia di vivere che aveva un grande sogno: portare anche lei il cero, da grande, e per questo aveva cominciato ad allenarsi trasportando un peso da un chilogrammo. Lei e Nicola erano grandi amici, ed erano felici di vivere quell’incanto insieme. Mentre Eleonora teneva i nastri con altri bambini e giovani, Nicola si guardava intorno assaporando tutti gli elementi di quella festa allegra e variopinta: la folla vociante parlava tutte le lingue del mondo, e la città, da piuttosto silenziosa che era, si era trasformata in un luogo allegro e gioioso, dove tutto splendeva di una veste nuova e scintillante. Sassari vestiva il suo vestito migliore, spalancando le sue braccia accoglienti, e Nicola si sentiva vivo come mai si era sentito. Gianpaolo, lo chiamò: “Vieni, Nico’, che suoniamo un po’ insieme.”

Era la prima volta che gli veniva concesso quest’onore: nei mesi precedenti Gavino aveva iniziato a parlare del talento del figlio a colui che dava il ritmo al trasporto del Candeliere.

“Guarda sempre i video che ti ha fatto gli anni scorsi, e il tamburo che gli ho regalato è stato più gradito della console, che pure ha agognato per mesi” si infervorava.

“Portamelo, vediamo cosa possiamo fare” sorrise il tamburino, che progettava di ritirarsi quando le forze lo avessero abbandonato ma nel mentre voleva trovarsi un erede. Nicola aveva suonato davanti a lui a giugno, e l’entusiasmo era stato palpabile: forse i mesi di allenamento davanti allo specchio avevano sortito gli effetti sperati, e ogni complimento o carezza ricevuti erano un passo verso la realizzazione del suo sogno.

Erano arrivati in corso Vico. A Nicola dolevano le mani per il tempo passato a battere e ribattere il suo tamburo, ma era felice così, anche perché Gianpaolo gli aveva concesso di dare qualche colpo al suo tamburo, quello vero, con le bacchette di legno e il cerchio in metallo, così sistemò le bacchette nel suo zainetto e corse vicino ad Eleonora che, stanca, aveva smesso di tenere il nastro.

“Eleono’, mi hai visto?” le disse, radioso.

“Sì, sei stato superfantastico!” rispose, sorridendo e stropicciandosi gli occhi per il sonno.

“E tu ti sei divertita?”

“Certo, anche se volevo essere lì.”

Detto ciò, la bimba indicò suo padre.

“Lo sai che non puoi essere stanca se vuoi portare il Candeliere” la riprese benevolmente Nicola.

“Ma io adesso sono una bambina! Poi quando sarò grande mi farò fare il caffè da mamma, lei dice che il suo risveglia anche i morti. Vorrei provare a darlo ai miei nonni, per vedere se si risvegliano.”

I bimbi rimasero pensierosi per un po’, prima di riprendere i loro discorsi.

“Che ore sono?” chiese Eleonora.

“Le undici” fece Nicola, guardando il suo orologino.

“Tra poco sciogliamo il voto!”

“Eh, bisogna prima aspettare i Massai.”

“Che gran tiratardi!”

“Ma loro fanno il brindisi con il sindaco.”

La bambina prese una bottiglia d’acqua dal suo zaino e la alzò.

“Sì. A zent’anni, Nico’!” disse.

“A zent’anni, cuntendoli da abà!” rispose l’amico, brindando anche lui.

Era mezzanotte e mezza. Gran parte dei Candelieri erano sulla piazza antistante la chiesa in restauro, dove il voto sarebbe stato sciolto, attendendo come giganti silenziosi che i Fabbri, i Macellai, gli Autoferrotranvieri e i Braccianti trasportassero anche i loro ceri insieme agli altri, per completare il cerchio e ricevere la benedizione dell’Amministratore diocesano. I due bambini sedevano per terra, contro una transenna, e tra le spighe cadute ai Massai e le arance dei Contadini, a Nicola venne un’idea.

“Eleono’, vuoi ballare?” chiese all’amica, recuperando le bacchette.

“Sì! Che bello!” gridò lei, saltando in piedi.

Erano entrambi in mezzo alla via, fra le due transenne: Nicola iniziò a suonare con tutto il suo entusiasmo, mentre Eleonora, fingendo di tenere una delle estremità dei pali che, incrociandosi, servivano a reggere il cero, iniziò a muoversi replicando i passi che suo padre le aveva insegnato. Fu una danza lunga, estenuante ma meravigliosa: i due dettero prova di tutto il loro talento, muovendosi come due veterani della Faradda. Si fermarono, stanchi: solo allora notarono una ragazza che gli faceva cenno di avvicinarsi da dietro una transenna. I due, guardandosi, andarono da lei, e la osservarono: aveva una maglietta nera con un orsacchiotto, dei pantaloncini a righe e dei sandali bianchi, e teneva qualcosa in mano.

Quando si avvicinarono, lei disse: “Siete il futuro della nostra festa, Dio vi benedica” gli fece scivolare qualcosa in mano e, con un ultimo sorriso, sparì tra la folla. I due ammirarono il regalo della sconosciuta. Erano due medagliette con l’effige dell’Assunta, e scambiandosi uno sguardo si fecero una promessa reciproca: avrebbero realizzato i loro sogni.

Serie: Contos


Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

    1. Francesca, prima di tutto grazie per la lettura! Sono molto felice che tu abbia apprezzato l’atmosfera del racconto, e mi fa molto piacere averti fatto fare un piccolo viaggio a Sassari nel suo giorno migliore!🤗

  1. Un racconto che trasmette tutta la magia e l’energia della Faradda, vista con gli occhi dei bambini. Bellissimo il legame fra tradizione, sogno e amicizia: sembra quasi di sentire i tamburi e di essere lì in mezzo alla folla. E poi resta la curiosità per quella donna misteriosa, che aggiunge un tocco magico al finale.

    1. Grazie, Lino! Ho cercato di portare nel racconto quello che è lo spirito della nostra festa, una giornata che unisce tutti e nella quale Sassari dà davvero il meglio di sé. Ho voluto poi aggiungere un personaggio sospeso tra realtà e fantasia, sono felice che ti sia piaciuto! Grazie per la lettura!