Helter Skelter

Serie: Rifugi


(Immagine di copertina di Fabio Elia)

Come mi pongo rispetto alle storie di fantasmi? Sono possibilista. Credo che, finchè non si possa mostrare che esistano sul serio fenomoneni paranormali (intendo prove realmente concrete), nè che non esistano affatto, l’unica strada empirica sia sospendere il giudizio e mantenere il dubbio sul fatto che siamo concepiti, attraverso i sensi che abbiamo in dotazione, per cogliere alcuni stimoli del mondo fenomenico, selezionandoli in base a ciò che è strettamente utile per la nostra sopravvivenza, ma ciò non toglie che possiamo non essere “configurati” per coglierne degli altri. Pensiamo alla vista dei gatti, alla vista dei tori, a quella dei pipistrelli o a quella dei rettili. A volte, nei documentari, ne ho sentito parlare in un modo che faceva trasparire l’idea che la loro abilità percettiva fosse incompleta, attraverso un enunciato implicito che sottintendeva, invece, che la nostra fosse completa. Spesso prendiamo il nostro punto di vista ( “nostro”, intendo, di uomini dalla cultura positivista occidentale e “civilizzata”) per farne un meridiano di oggettività e completezza. E non ci limitiamo a farlo solo verso il regno animale, bensì anche quando ci paragoniamo ad altre culture o etnie; ma non c’è da farsene venire un senso di colpa perchè quelle, dal canto loro, faranno lo stesso, poichè è un’attitudine insita e connaturata nella specie umana, per fornire spinta psichica utile a promuovere la sopravvivenza e l’espansione del proprio gruppo di appartenenza. Il mio punto di vista, invece, è differente. Non mi allargo sul discorso dell’etnocentrismo altrimenti ci vorrebbero più di dieci librick; intendo invece tornare al ragionamento relativo ai sensi configurati in maniera differente pr ciascuna specie animale. Non credo percepiscano in maniera difettosa rispetto agli umani, bensì in maniera differente, utile alla loro sopravvivenza entro il proprio habitat. Quel modo di vedere e sentire è perfetto per cogliere gli stimoli che sono loro utili, così come il nostro modo di percepire i fenomeni esterni è congeniale al nostro stile di vita. Uno non è migliore dell’altro, nè più o meno completo. Così che, non ha senso parlare di oggettività in termini assoluti, poichè possono esserci aspetti fenomenici della realtà circostante che passano attorno a noi totalmente inosservati e sconosciuti ed altri che, al limite delle nostre “frequenze”, possiamo solo presentire, ma non cogliere. Ecco, quindi, da quali assunti parto per giungere alla mia opinione riguardo alle storie sui fantasmi.

Nonostante io abbia queste intime convinzioni, quando mi trovo in presenza di persone che prendono molto sul serio le percezioni extra sensorali, mi piace stuzzicarle, sminuendo e razionalizzando, con un po’ di sarcasmo, ciò di cui vanno raccontando enfaticamente. Certo, quando ho sentito raccontare da uno scettico come mio padre che, trovatosi una volta solo a casa dei miei nonni e percependo un’energia negativa attorno a sè, ha detto a voce alta:

-Chi sei? Cosa vuoi? Fatti vedere!-,

mi sono molto stupito. Di fronte a lui, ho razionalizzato dicendo che forse tutti gli eventi intercorsi lo avevano suggestionato tanto da fargli sembrare di percepire quella “energia” di cui parlava, ma dentro di me ho pensato che, se era arrivato al punto di fare ciò, è perchè davvero gli avvenimenti a cui aveva assistito e anche ciò che percepiva in quel momento erano così strani ed inquietanti da indurlo a tanto.

Fatto sta che, anche di fronte alle storie di Ele, e nonostante gli avessi riportato anch’io le vicende di cui ero a conoscenza, mantenevo un atteggiamento distaccato ed ironico. Una difesa, forse. Tant’è che, quando Favie e Blaco sono usciti dal rifugio, abbiamo liquidato in fretta l’argomento e ci siamo incamminati per il sentiero che portava alla cima di Rocca Sella. Piovigginava, ma accoglievo con piacere quelle goccioline d’acqua, dato che, dopo alcuni minuti di camminata, si era già molto accaldati. La fatica mi faceva riacutizzare il mal di testa da hangover che un Oki aveva tenuto a bada fino ad allora. Il solito escursionista stronzo, o incompetente, o entrambe le cose, ci ha suggerito un percorso ripidissimo che, ad un certo punto, diventava un ammasso di rocce da scalare, usando anche le mani per via dell’accentuata pendenza. Favie imprecava contro la musica che usciva dal mio smart phone, prima blandamente, poi sempre più inferocito, fino a chiedermi espressamente di spegnerla. L’ultimo tratto era una vera e propria scalata, ma il panorama ne valeva la pena. Sotto di noi, la val di Susa si stendeva in tutta la sua bellezza. I laghi di Avigliana sembravano due grandi occhi lucidi che ricambiavano il nostro sguardo amorevole. Il mio mal di testa era al culmine. Tra le irte rocce della cima, mi sono steso sulla meno scomoda e sono rimasto lì ad occhi chiusi, cercando di rilassare i miei nervi e far scemare il dolore, mentre gli altri si arrampicavano su una cima antistante, sulla punta della quale stava ritta la statua di una madonna che, a braccia allargate, in modo simile ma un po’ più dimesso rispetto alla statua di Rio de Janeiro, vegliava sulla valle sottostante. I tre hanno cominciato a fare selfie, al limite del profano, con la statua, finchè stufi e coi cellulari saturi di materiale da social, sono tornati a scuotermi e ad incoraggiarmi in vista della discesa. Già, perchè la ripidità di quel percorso, unità alla pioggerella, aveva reso i tratti terrosi simili ad un idroscivolo, ma un idroscivolo intervallato da spuntoni di pietra. Il rischio minore era di rimanere castrati. Saremo scivolati almeno una decina di volte ciascuno, tanto che, ad un certo punto, ho rinunciato a risollevarmi su due piedi ed ho proceduto scendendo, culo a terra, come un ragno, utilizzando braccia e gambe finchè la ripidità non è diminuita. Qualcuno mi ha prontamente imitato e, alla fine, siamo arrivati sani e salvi (mio mal di testa lancinante a parte) di fronte al rifugio che ci aveva visto partire. Qualcuno voleva fermarsi a mangiare lì, cinghiale e polenta, ma eravamo a corto di contanti e, a quelle altezze, purtroppo o per fortuna, i posse per i bancomat non sono ancora arrivati. Perciò, accantonata l’idea, ci siamo infilati in macchina e sulle note nostalgiche di “How deep is your love” dei Bee Gees, siamo rientrati verso un’uggiosa Torino, contenti di quella piccola escursione, che ci aveva riempito gli occhi e lo spirito con un bellissimo panorama, e della doccia calda che avremmo fatto a breve.

Serie: Rifugi


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