Gli incubi di stephen king

I due incubi peggiori di Stephen King: le forme passive e l’abuso di avverbi

Anche al Re del brivido si possono drizzare i capelli dallo spavento, ma non c’entrano vampiri, incontri con lupi mannari o clown malefici. A fargli saltare le coronarie sono le parole, almeno quando non vengono utilizzate come vorrebbe. Questo è quanto emerge dalla sua creatura letteraria On writing: Autobiografia di un mestiere (in Italia edito da Frassinelli), nata per omaggiare la curiosità di fan e scrittori desiderosi di scoprire il percorso che ha portato un occhialuto insegnante dell’Ohio ad entrare nel gotha degli autori di fama internazionale.

Nessun piedistallo su cui ergersi per dire cosa scrivere o come scrivere, On writing è piuttosto il romamzo della sua vita, come ha voluto puntualizzare, “non perché la mia vita sia un romanzo, ma perché scrivere è la mia vita”. Ma già che c’era, e dal momento che ha scritto circa una cinquantina di tomoni (alcuni di oltre 1000 pagine, come IT, volume ingombrante, facile da leggere ma difficile da impugnare) ha voluto offrire il suo personale punto di vista su quelli che considera dei veri e propri orrori stilistici.

Meglio un poltergeist in casa che un verbo in forma passiva

Può suonare un po’ esagerato, ma leggendo On Writing, sono pochi i passaggi in cui scorgere un King veramente accalorato, e tra questi spicca il paragrafo in cui si parla di queste figure (passive) demoniache. Tale avversione, peraltro, è avallata da William Strunk, autore di uno dei pochi manuali stilistici ritenuti validi da King, in cui la condanna alle forme passive viene solennemente sancita, ma, purtroppo, non sufficientemente sviscerata. Niente paura, ci pensa King a fare chiarezza sull’argomento, riepilogando che i verbi hanno essenzialmente due forme: una attiva (in cui il soggetto fa qualcosa) e una passiva (in cui qualcosa viene fatto al soggetto). Esempi:

Verbo in forma attiva: Lo scrittore lancia la fune

Verbo in forma passiva: La fune è lanciata dallo scrittore

La posizione del padre di Carrie (1974) su questo punto è chiara e irremovibile: lasciate perdere la forma passiva. Ne fa una questione di virilità stilistica affermando che è una scelta da scrittori insicuri e impacciati che preferiscono scrivere timidamente La riunione sarà tenuta alle sette invece di impettirsi ed annunciare a testa alta La riunione sarà alle sette

Poi, però, con un colpo di scena (d’altrone se la cava egregiamente anche con i thriller) ritratta, e la forma passiva non è poi così mostruosa quando bisogna comunicare che il cadavere fu spostato dalla cucina e disteso sul divano del salotto.

Verbi e forme passive

L’abuso di avverbi e altri crimini

Sugli avverbi sembra essere più indulgente, lui stesso ne fa ampio uso (pur riconoscendone la connotazione maligna) e ammette di essere spesso caduto in tentazione, per paura e timidezza. E spiega: gli avverbi sono parole che modificano verbi, aggettivi o altri avverbi e che di solito finiscono con -mente.

L’uomo chiuse decisamente la porta

La forma è attiva, ok, ma quel decisamente è davvero necessario? Forse demarca la differenza tra chiudere e sbattere, ma non sarebbe meglio affidare questa distinzione al contesto della scena e lasciare che la prosa scorra fluida e libera da elementi superflui? Attenti a non fraintendere però: King sottolinea che gli avverbi non sono da esorcizzare come un demone, ma sono semplicemente da centellinare perché tendono a moltiplicarsi come i gremlins e se si da loro troppa corda ci si ritrova la prosa invasa da una serie di -mente. Ma dove possiamo inserli, allora? Nei dialoghi, spesso, sono d’aiuto:

«Mettilo giù», urlò lei.
«Ridammelo, è mio», supplicò lui.
«Non siate sciocco, Jeckyll», disse sdegnosamente Utterson.

Dobbiamo prendere tutto per sangue colato?

King ha trovato in Elementi di stile nella scrittura di William Strunk un punto di riferimento importante che lo ha guidato nella sua prosa. Si spinge addirittura ad affermare che qualsiasi aspirante scrittore dovrebbe leggerlo.

Bisogna precisare, però, che stiamo parlado delle opinioni – seppur autorevoli – di uno scrittore, con le quali si può essere d’accordo o meno. A conferma dell’assoluta incosistenza di regole rigide, giova ricordare che lo stesso King, nella seconda prefazione di On Writing, afferma:

[…] la maggior parte dei manuali di scrittura creativa sono pieni di stronzate. I romanzieri, compreso il sottoscritto, non hanno un’idea precisa di quello che fanno, del perchè funzioni quando butta bene o perchè non accada quando butta male

A quanto pare non è stata ancora inventata una formula per scrivere bene. Non una magica, almeno.

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Discussioni

  1. Lasciate perdere King e leggete manuali diversi. 😀
    Il malloppone di Strunk e collega lo devo ancora iniziare (trovato a 90 cent, preso al volo), ma è un testo pensato per la lingua inglese da cui è possibile, come già mi è successo in altri casi, estrarre spunti interessanti.

  2. Inizio oggi il mio percorso di approfondimento qui su Open. Passione e lavoro sono due cose differenti, questo Librick mi ha dato dei buoni suggerimenti per delle letture. Anche se, mi sento ignorantemente (nel senso ignorante in materia) d’accordo con l’ultima affermazione riportata dal libro di King.
    “I romanzieri, compreso il sottoscritto, non hanno un’idea precisa di quello che fanno, del perchè funzioni quando butta bene o perchè non accada quando butta male.”
    Nel mio caso la scrittura è una specie di possessione demoniaca 🙂

    1. Ciao Micol, “ignorantemente” è un avverbio che King approverebbe. Sono d’accordo con te: costruite una storia a tavolino, con un finale già nella testa, su molti autori ha una pessima influenza e ridimensiona il demone dell’ispirazione improvvisa. L’esigenza, talvolta l’urgenza di scrivere qualcosa potrebbe risentirne.