I miei difetti mi servono

Serie: Uomini


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: .

«Hai un sacco di difetti, Rocco.»

Non mi offendo. Mi verso da bere.

«Lo so.»

Lei mi guarda come se stesse leggendo la diagnosi di una malattia contagiosa.

«E non fai nulla per cambiarli.»

«Perché mi servono.»

«A cosa, scusa?»

Sorrido.

«A non diventare come te.»

Bevo. Il vino è cattivo, ma brucia al punto giusto.

Non lo dico per spocchia. È la verità. I miei difetti mi tengono in piedi. Mi tengono storto. E storto è l’unico modo che conosco per stare al mondo.

La pigrizia mi salva. Quando gli altri sgomitano per una carriera, io resto fermo. Non per saggezza. Perché non ho voglia. Ma alla fine evito di farmi mettere il collare.

La rabbia mi difende. È silenziosa, corrosiva. Non esplode. Si limita a tenermi sveglio quando la vita cerca di anestetizzarmi.

L’egoismo mi protegge. Mi dicono che dovrei pensare agli altri. Lo faccio, finché non mi trascinano a fondo. Poi taglio la corda.

Lei continua a guardarmi. Vorrebbe un uomo lucido, ben stirato, da mostrare agli amici come una medaglia.

Io non lo sono e non ho alcuna intenzione di esserlo.

Accendo una sigaretta. Il fumo si sparge come nebbia tra noi.

«Non cambierai mai, vero?»

Inspiro, espiro.

«Mai. Perché i miei difetti sono la mia unica verità. Tutto il resto è un trucco.»

Lei si alza. Fa una smorfia, prende la borsa, sbatte la porta.

Resto solo. Il vino nel bicchiere, il silenzio addosso.

Potrei darmi del coglione. Forse ha ragione lei. Forse i miei difetti non sono scudi. Forse sono solo catene.

Ma poi guardo la stanza. È vuota, sì. Ma è mia. Nessuno mi sta dicendo cosa essere. Nessuno mi chiede di sorridere mentre vado in pezzi.

Finisco il bicchiere. Mi stendo sul divano. I miei difetti mi servono. Non mi rendono migliore. Mi rendono vero. E a volte, è già tanto.

Continua...

Serie: Uomini


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Discussioni

  1. Bella questa rassegna di assenze di qualità. Mi è venuto in mente il capolavoro di Musil (L’uomo senza qualità). Leggendo ho avuto la sensazione che i difetti (o presunti tali) che vengono tratteggiati dal protagonista, in parte su invito dell’interlocutrice, siano riconducibili a uno solo: una sorta di ignavia autoreferenziale, che in qualche misura parrebbe essere un comportamento contrapposto al contesto sociale di cui il protagonista si sente vittima. Il che un po’ richiama certi concetti sollevati da Musil. Nel finale, fa capolino un barlume di obiettività, ma è subito scacciato dalla più comoda conclusione che in fondo c’è di peggio, quindi va bene così. Grazie Rocco per la lettura interessante

  2. A volte anche io faccio pensieri simili a quelli del protagonista. A volte mi dico che sono fatto così dunque così sono fatto.
    Altre volte invece mi chiedo se libertà e autodeterminazione voglia dire ostinarmi a voler rimanere uguale a me stesso per sempre.

    1. Condivido in pieno il tuo pensiero, anche se nessuno rimane uguale a se stesso per sempre. Diciamo poi che raggiunta una certa età è veramente difficile cambiare ( se non in peggio).